Immagini ad alta definizione della superficie solare (a sinistra) e della bassa cromosfera (a destra) prese dal New Solar Telescope (NST) del Big Bear Solar Observatory. Questa regione del Sole mostra alcune zone scure (solar pores) e la struttura delle celle convettive (granulation) in cui sono immerse. La zona nel circolo bianco è un ingrandimento che evidenzia l’azione del tubo di flusso magnetico che interagisce con il plasma e deforma la forma dei granuli. In basso nell’immagine a destra gli scienziati hanno individuato il getto di plasma che si estende per parecchie migliaia di chilometri. In entrambi i pannelli la Terra è riportata in scala. Crediti: Vargas/BBSO-NJIT
Ogni pixel di queste spettacolari immagini prodotte dal telescopio solare NST del Big Bear Solar Observatory (BBSO) in California copre una porzione della superficie del Sole di appena 50 chilometri di lato. Una risoluzione elevatissima, che dà loro la palma delle più accurate riprese della nostra stella mai realizzate. Un primato che gli stessi ricercatori dell’Osservatorio statunitense hanno sfruttato per scoprire e studiare fenomeni legati al movimento e riarrangiamento dei campi magnetici su piccola scala che avvengono sulla superficie solare.
Il team guidato da Santiago Vargas Dominguez è riuscito a individuare, come lui stesso ha presentato in un intervento al 224-esimo convegno dell’American Astronomical Society in corso a Boston, l’emersione di tubi di flusso magnetici sulla superficie della nostra stella e quindi l’avvio di potenti eruzioni di plasma nell’atmosfera, grazie anche alle osservazioni congiunte con gli osservatori spaziali IRIS, SDO e Hinode. Le riprese congiunte da terra e dallo spazio hanno regalato agli scienziati una visione accurata dell’evoluzione di un ‘piccolo’ tubo di flusso magnetico della lunghezza di quasi 10.000 chilometri che emerge brevemente sulla superficie del Sole, ne deforma la struttura granulare e, interagendo con i campi magnetici locali, rilascia un getto di plasma che si propaga alla velocità di oltre 100.000 chilometri all’ora su un arco di quasi 25.000 chilometri. Il tutto quindi è avvenuto nell’arco di una manciata di minuti.
Le tracce più evidenti dell’attività magnetica sul Sole sono le macchie, a cui sono legati fenomeni come i brillamenti e le espulsioni di massa coronale. A questi fenomeni su ‘ampia scala’, che possono coinvolgere porzioni significative della superficie e dell’atmosfera della nostra stella, si affiancano eventi più modesti per estensione (alcune migliaia di chilometri) e durata (qualche minuto), proprio come quello osservato al BBSO. Piccoli sì, ma non per questo meno interessanti dal punto di vista scientifico, anzi. È sempre più forte la convinzione tra gli esperti di fisica solare che queste ‘micro esplosioni’ giochino un ruolo importante nel processo di riscaldamento continuo dell’atmosfera della nostra stella, fino agli strati più esterni che compongono la corona.
“L’atmosfera solare e’ un laboratorio di fisica fondamentale, a disposizione degli scienziati per studiare l’interazione tra plasma e campo magnetico” commenta Ilaria Ermolli, ricercatrice dell’INAf-Osservatorio Astronomico di Roma. “Questa interazione caratterizza la maggior parte dei fenomeni osservati nell’atmosfera solare: macchie, pores, protuberanze, emissioni di massa coronale sono ben noti esempi dei risultati dell’interazione tra plasma e campo magnetico nel Sole. Tuttavia, questa interazione svolge un ruolo cruciale anche in molti altri contesti astrofisici, ad esempio nel determinare i getti di plasma osservati nei dischi di accrescimento di buchi neri e i fenomeni di attività osservati nei sistemi binari. I telescopi solari e la strumentazione più avanzata disponibili al momento permettono di svelare nuovi dettagli osservativi utili a migliorare le attuali conoscenze dei fenomeni magnetici, ma non permettono di risolvere le scale spaziali caratteristiche dei processi di interazione tra plasma e campo magnetico. Queste scale spaziali potranno invece essere osservate e studiate con i telescopi solari di futura generazione: ATST, recentemente rinominato DKIST, ed EST, entrambi caratterizzati da un’apertura di 4 m.
Per saperne di più:
- l’articolo Multi-wavelength high-resolution observations of a small-scale emerging magnetic flux event and the chromospheric and coronal response di Santiago Vargas Dominguez, Alexander Kosovichev e Vasyl Yurchyshyn sottomesso alla rivista The Astrophysical Journal
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani