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Il parlamento marocchino ha emendato l’articolo 475 del codice penale che consentiva agli stupratori di minorenni di evitare il processo convolando a nozze con la vittima. Non si tratta, come alcuni potrebbero pensare, di una norma arcaica lasciata nel dimenticatoio della politica, bensì di una prassi ancora diffusa e legalmente formalizzata in seguito alla riforma (in salsa islamista) del diritto di famiglia nel 2004. Una pratica che, per fortuna, in Marocco, da oggi non sarà più consentita. Secondo diverse scuole della giurisprudenza islamica (fiqh) lo stupro viene spesso equiparato ad un danno patrimoniale, risarcibile in termini economici, o, nel caso di vittima vergine, riparando al suo onore violato, sposandola. Il Corano di per sé non parla mai di stupro, ma di zina: adulterio (se chi sposato, consenziente o meno, fa sesso al di fuori del matrimonio) e fornicazione (chi, non essendo sposato, consenziente o meno fa sesso). Secondo autorevolissimi hadith che ispirano la legge islamica (sharia) che a sua volta influenza più o meno pesantemente, le leggi degli stati islamici, la fornicazione è punita con le frustate, l’adulterio con la lapidazione. Anche se un hadith riporta di come Maometto punì severamente un uomo colpevole di aver commesso zina lasciando impunita la donna (schiava) che a tale atto era stata costretta, tutt’oggi essere vittima di stupro è diffusamente considerato un grave disonore da nascondere o “riparare” facendo sposare la vittima col suo aggressore forse perché, sempre secondo il diritto islamico, all’interno del contesto matrimoniale, lo stupro non è contemplato e la moglie non può negarsi al marito. Numerosi sono i casi di genitori che per salvare l’onore della famiglia hanno ucciso la propria figlia, altre famiglie “più moderate” optano, invece, per la segregazione domestica della vittima. Bisogna inoltre considerare che pochi sarebbero gli uomini disposti a sposare una donna non vergine, quindi impura. Un problema sofferto anche dalle donne divorziate, a riprova della stretta relazione, nel pensiero dominante, che lega l’integrità dell’imene e quella morale. L’opzione del “matrimonio riparatore” è una delle opzioni che più tutela e protegge l’onore della famiglia, tanto caro al bigottismo patriarcale islamico. Poco importa se, per salvare l’onore bisogna sacrificare la propria figlia, consegnandola nelle mai del suo aguzzino. Com’è facile immaginare, soluzioni come questa rappresentano per le interessate un trauma psicologico di inaudita violenza, forse peggiore dello stupro stesso. Non è un caso, infatti, che diverse di queste ragazze, “metaforicamente legate” dalla legge e dalle pressioni familiari al letto del proprio stupratore, commettano suicidio. Un grande contributo alla causa è stato dato dal caso di Amina Filali sedicenne costretta dal giudice (i genitori erano contrari) a sposare il suo violentatore e che, dopo otto mesi di convivenza (e presumibili reiterate violenze), si è tolta la vita ingerendo veleno per topi. L’episodio ha avuto una grande eco mediatica, suscitando grande clamore e indignazione nell’opinione pubblica tanto da sollecitare il parlamento ad intervenire con degli emendamenti. Mentre in Europa stiamo assistendo ad un escalation di violenze collegate alla visione ultrapatriarcale della famiglia e della società da parte di alcuni immigrati musulmani (e non), nel regno di Mohammed VI, si consegna alla storia una delle poche battaglie dove il moderno buon senso ha vinto contro il tradizionalismo teocratico della sharia. È presto per gridare alla vittoria, la guerra contro la visione arcaica, dogmatica e religiosa della politica e della società è tutt’altro che vinta, in Marocco come negli altri paesi islamici, ma episodi come questo lasciano quantomeno un barlume di speranza.