Magazine Cultura
The Heroes di Joe Abercrombie – traduzione di Claudia Costantini e Serena Vischi – Gargoyle, 2013
Questo è uno spin-off dalla trilogia de La prima legge. Che, mi sa, avrei dovuto leggere prima, ma ero a corto di libri e, via, questo è uscito in edizione economica.Dovrebbe essere un fantasy, ma di fantasy ha così poco che è praticamente nulla. È il racconto di una guerra. Mi ha stupito leggere che Abercrombie è inglese, una tale ossessione per i campi di battaglia e per l'assurdità delle decisioni prese dall'alto mi facevano pensare a un americano appassionato della Guerra Civile.Ci sono un bel po' di personaggi, e ognuno ha i suoi capitoli ben distinti da quelli degli altri, il che fa pensare alle Cronache di Martin. Ma la differenza è tanta. Martin è amaro e intenso, Abercrombie è... puff, sei morto. Non si rimane tanto sconvolti ed emotivamente devastati per le morti, ma piuttosto stupiti dalla loro inutilità. Dispiaciuti, sì, ma con un fattore WTF troppo grande per potersi dire davvero tristi. E i personaggi stessi non è che siano poi così influenzati dalla morte dei compagni o addirittura degli amici. È la guerra. E la guerra è stupida.In breve: Nord e Sud combattono per il possesso di alcune terre. Il capo del nord è Dow il Nero, che comanda i vari guerrieri/vassalli con minacciosa e goliardica violenza. Il sud è comandato da un'Alleanza al cui vertice c'è un Re, al sicuro e lontano dalle battaglie nel suo castello. Non compare mai se non nelle lettere di Gorst, un cavaliere degradato dopo uno scandalo di cui non viene rivelato molto – sicuramente è narrato nella trilogia.E quindi... sì, la storia è questa. Qualche giorno di battaglia narrata da molteplici punti di vista. Un vecchio mercenario, un ragazzino che vorrebbe diventare un Eroe, un 'principe' viscido e ambizioso, un cavaliere decaduto, caporali disillusi... se piace il genere, è una bella lettura. Né profonda né strabiliante, ma piacevole. Ovviamente sanguinaria e assai dinamica. E volgare. Abercrombie – e credo che l'effetto sia più che voluto – ha l'aria di essersi divertito molto a scrivere, e di avere narrato come se stesse giocando una sessione di D&D. Cioè, i personaggi si esprimono come contemporanei a noi lettori, e l'atmosfera è davvero quella fortemente improbabile e goliardica di un gruppo di amici che gioca di ruolo. Personalmente ho gradito.
Angel di Elizabeth Taylor – traduzione di Claudia Valeria Letizia – Neri Pozza, 2007 – Beat, 2013
Il fatto che l'autrice si chiami Elizabeth Taylor mi ha confusa per un po'. No, non è quella Taylor. È un libro del '57.Che ho gradito assai.Angel è il nome della ragazza al centro del libro. Figlia di una bottegaia, orfana di padre, con una zia domestica che si unisce alla sorella negli sforzi per dare ad Angel una buona educazione. La vorrebbero vedere studiare diligentemente, diventare una signorina a modo, una segretaria o una dattilografa. Angel però non condivide affatto i loro piani.Angel è... è un po' strana. Tanto, strana. Vive immersa in un mondo di fantasie che governa lei stessa e in cui rimane impigliata anche nella vita di tutti i giorni. Non riesce a uscirne, non vuole uscirne. Fantasie di nobili, di castelli meravigliosi, di gioielli, corteggiamenti galanti, trame romantiche... ecco, vive in un Harmony.E un bel giorno decide di iniziare a scrivere delle sue fantasie. Spedisce il manoscritto diverse volte, assistendo ai primi fallimenti con ferocia. Poi arriva il giorno in cui viene invitata da un editore.E così via, fino alla fine.Ho un certo affetto per Angel. Un po' perché, se mi lasciassi andare, credo che finirei per cadere anch'io nell'abisso delle storie nella mia testa. Da piccola lo facevo, ed era bellissimo. Il mondo dentro e il mondo fuori non possono competere, dai. Però Angel è anche estremamente chiusa in se stessa, dispotica, antipatica, affilata, ostinata e orrendamente ingrata. Però non ho potuto impedirmi di affezionarmi a lei, perché è debole e confusa, eppure è riuscita a ricoprirsi di acciaio e ad andare avanti. È orgogliosa. Sciocca, ma orgogliosa.
Quindi... sì, beh, lo consiglio. Checché ne dicano su Anobii.
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