Magazine Cultura
Quando parlavamo con i morti di Mariana Enriquez – traduzione di Simona Cossentino e Serena Magi – Caravan, 2014
Questo è stato il primo ebook che io sia riuscita a leggere da un anno a questa parte, mese più, mese meno. Sarà che è piuttosto breve, sarà che pur essendo corto è diviso in tre racconti. Sarà che sono racconti da cui non ci si riesce a staccare, soprattutto il primo, il cui incipit mi era rimasto impresso in memoria nonostante l'allergia al formato elettronico.Dunque, i tre racconti. Mi è abbastanza impossibile recensire racconti, ma tenterò comunque, fallendo ma non in perseveranza. Il primo, quello che dà il titolo al libro, racconta di un gruppo di amiche adolescenti che si riuniscono per parlare con i morti con le tavolette ouija, quelle che permetterebbero agli spiriti dei defunti di scrivere un messaggio segnalando le singole lettere. Nel secondo racconto, si vede un'inaspettata degenerazione nell'aberrazione dell'acido buttato in faccia alle donne, in seguito a quella che pare quasi un'epidemia. E credetemi, è una cosa che... onestamente, assurda quanto esaltante. Il terzo racconto, il più lungo, è anche il più inquietante. Parte come un giallo, da una donna che ha il compito di creare un database per i bambini scomparsi, e poi si trasforma in qualcosa di orribile. Inquietante a livelli, e per ragioni, che è difficile spiegare, soprattutto se si vuole evitare di dire troppo.I tre racconti hanno in comune una cosa, a parte stile e ambientazione. Partono da un punto normale, logico, condivisibile e poi si trasformano in un “E se?” orrorifico. Non in senso stretto o di genere letterario. Fa orrore perché è estraneo, disordinato rispetto al mondo come lo conosciamo, ma troppo vicino perché possiamo allontanarlo dalla mente. Quindi... beh, lo consiglio un sacco. Spero che la Caravan partecipi al Salone.
La cameriera era nuova di Dominique Fabre – traduzione di Yasmina Melaouah – Calabuig, 2015
La Calabuig è nata da poco, da una costola della Jaca Books, o almeno così mi è parso di capire. Si ripromettono di pubblicare libri lontani da noi, non tanto per genere, ma per abitudine geografica. Questa è la loro terza pubblicazione, e mi è stata gentilmente mandata dall'ufficio stampa.Dunque, vediamo. È un libro piccolo, breve, più un racconto che un romanzo, ed è per questo che mi torna meglio recensirlo in forma breve. Il protagonista e narratore è Pierre, un uomo normale, un cameriere di mezz'età che lavora in un bar di Parigi. È affascinato da alcuni dei clienti abituali, è abituato a lavorare duramente, così come a mediare tra i due padroni del locale, marito e moglie. Inizia a raccontare in un momento particolare nella vita del bar, e ne racconta brevemente il cuoco, la nascita, la rivalità con quello di fronte. Pierre è un uomo strano, da quanto è normale. Non è animato da particolari passioni, ha un solo amico, è divorziato. Fa del suo meglio per stare al mondo, e questo è quanto. La cosa più interessante che si può dire di lui, e che sembra portarsi addosso continuamente, è la sua essenza di cameriere. Che, non so, è un tipo di lavoro che mi ha sempre un po' incuriosita. Dover vedere così tanta gente, doversi mostrare sempre così gentili, pronti all'eventuale chiacchiera, pronti a dimenticarsi chi entra ed esce dalla stessa porta. Un punto fermo in una stanza che cambia tutti gli altri occupanti.L'atmosfera nebbiosa del libro risalta durante la lettura, e rende arduo il giudizio risolutivo. Una lettura bella, un po' spiazzante, forse. Perché Pierre sembra rimanere immobile in mezzo a Parigi, anche quando si muove. Difficile trovare una soluzione, un punto che sia un punto, capire cosa volesse raccontarci Fabre di Pierre, e come vorrebbe che reagissimo.
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