Magazine Cultura
La prima serata del PFL di Bassano Del Grappa (VI)
È stata una bella serata la prima del Piccolo Festival di Letteratura: «Ciao», «Ciao, benvenuto», ci si sente a casa in compagnia degli organizzatori, ti fanno sentire a casa.
Dopo qualche saluto incontro Carrino, con il quale si parla, prima che Trevisan inizi la sua lettura, di letteratura e scrittori, di scelte di vita e di passioni. Ci si scambia qualche idea sul territorio veneto, sul fare cultura nella provincia vicentina piuttosto che a Napoli o a Roma, anche in compagnia dell’editore di Carrino. È sempre curioso per me, avendo vissuto diversi traslochi negli anni in giro per l’Italia, ascoltare i punti di vista di chi proviene da una determinata area dello stivale, si è soliti dire «tutto il mondo è paese», non è così, è una bugia che consola o che motiva, ma lontana dalla verità. Confrontare Vicenza e Napoli (Carrino è di origine campana) concerne i colori, non le sfumature, tutto il mondo non è paese, i contesti del luogo in cui si risiede condizionano il modo di osservare la realtà. Dove qualcuno si stupirebbe, altri rimarrebbero indifferenti.
Nel frattempo Vitaliano Trevisan sale sul palco e grazie alla sua mimica inconfondibile ci porta a compiere un viaggio da Vicenza a Treviso, attraverso la profonda provincia veneta. “Tristissimi giardini”, titolo del suo ultimo libro edito da Laterza, diventa una critica acerba e disincantata del nordest, scrutato e denudato con occhi lucidi e sommessamente rassegnati, tuttavia non indifferenti. Il pubblico sorride non di rado, un sorriso amaro, chi conosce bene il territorio citato da Trevisan sa che purtroppo la povertà di cui il libro parla non è economica, bensì interiore, come se un drago avesse divorato nelle popolazioni memoria e saggezza, come se chi decide di girare un film qui, provenendo dal sud, si trovi di fronte a pregiudizi da interpretare ben sapendo che le radici dei pregiudizi appunto sono interrati nella realtà, alterandola e condizionandola. Due cineasti con un titolo in testa: “Benvenuti al sud”, e che sud. Ci si avvicina alla città, fra imperfezioni, aziende, traffico, buche nelle strade, sguardi torvi, e poi finalmente il vecchio sceriffo di Treviso, il nuovo sindaco di Treviso, gli odori della città nei giorni di pioggia non meno docili di quelli veneziani, e giù pregiudizi, su, andiamo avanti, quanto sono veri? Quanto è fantasia? Il pubblico sorride, ripeto, ma ci sarebbe poco da ridere a rifletterci con buon senso. Perché Treviso si sente centro senza esserlo, soprattutto dei problemi degli altri, di Roma ladrona e dei dannati clandestini, come se tutti i senegalesi o i nigeriani vivessero in quel singolo lembo di terra perfetta, in cui perfino l’autore gode nel buttare a terra una sigaretta, tanta è la trasgressione dove le regole sociali e imposte sconvolgerebbero un marchigiano o un siracusano. Trevisan legge e deglutisco, e ancora, ripenso a parole dette, a pensieri espressi, a linguaggi abusati, a cattiverie non certo frutto dell’intelligenza, o qualcosa che le assomigli, una pretesa di sentirsi nella storia importante economica del paese, l’errore è traslare ciò – ammesso che sia così – ad altri argomenti di ben altra considerazione. «L’arroganza della destra e la sinistra ipocrita», ponti forse discutibili fra concetti, bene evidenziati dall’autore. Ponti forse ingannevoli talvolta.
Giunge il momento di Luigi Romolo Carrino, sale sul palco, si siede. Legge alcune parti dei suoi libri, la prima tratta il rapporto fra un padre e un figlio, nel quale il dover gire in certo modo, per rispetto, è il codice di comportamento primario. La lettura è calma, rilassata, le parole invece sono dure, penetrano senza indugio nelle orecchie dei presenti, portandoci dal nordest alla realtà campana, un’altra Italia, dove, come dice Carrino, nasci con un DNA pronto a talune condizioni, geneticamente portati ad essere vigili, oltre che coinvolti da contesti che si impongono fin dalla più tenera età. «Di notte non scrivo perché è buio», tratto da Pozzoromolo, entriamo così subito dopo nella mente di Gioia: «Ti mettono a dormire», una situazione al limite della dignità, anzi, al di là della dignità, il cui unico orgoglio rimane la simulazione verso gli altri, depistare, scappare, non riconoscere, non fidarsi di nessuno. Altre letture scorrono finché Dario, uno degli organizzatori del festival, invita Carrino a colloquiare sul senso e sui possibili confini condivisi degli scrittori napoletani. Si parla di camorra e di Saviano, del potere della parola e dei silenzi, dell’amore verso la propria terra e dei timori. L’autore di “Istruzioni per un addio” sa offrire un quadro motivato dell’abilità omertosa, ciononostante calibra le frasi, misura i toni, sa che si trova a Bassano, sa che i pregiudizi albergano nei territori, sa che non è facile distinguere le voci, rischiando di sembrare banale o grossolano, si concede qualche slancio di testimonianza, a partire dalla sue esperienze; la morale, o almeno, questa vuole essere la morale che ne ho tratto io, è che per quanto noi veneti si possa ascoltare le parole di un autore campano appare difficile comprendere con profondità storie e condizioni. Non per una mancanza di Carrino, ma per il punto di vista lontano dei presenti. Nonostante ciò un passo è stato tentato, una prova che le parole abbiano un valore veritativo si è palesato ieri sera, ci si può capire, magari non fino in fondo, ma il tentativo è un segno di intelligenza alla ricerca di confronti sani.
C’è stato un post festival per pochi intimi, in una pizzeria di Bassano Del Grappa, e la ricerca di cui sopra ha trovato altra linfa, altre ragioni per conservarla e perseguirla malgrado le differenze. Le differenze sono soprattutto nelle teste delle persone non là fuori, saperlo e accettarlo permette di sentirsi più sicuri nei passi da compiere, uno ad uno. Un dubbio in più è forse amarsi, o volersi amare.
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