Vivere in un mondo fittizio (videogame, realtà virtuale, semplice fantasia, tecniche per i sogni lucidi, etc.) ha innumerevoli vantaggi: libertà totale, avventure fantastiche, esperienze impossibili nella vita di tutti i giorni, etc.
Allora ci trasferiamo tutti in un mondo immaginario? No, decisamente no. Ma perchè no? Lo scopo di questo breve scritto è quello di provare a delineare un'ipotesi di lavoro sull'idea che ciò che ci trattiene dal vivere in un mondo virtuale sia un ragionamento debole e pregiudiziale. Vediamolo:
“Per quanto un mondo virtuale possa essere perfettamente realistico, finanche indistinguibile dalla realtà, esso non è reale come quello che esperiamo normalmente attorno a noi.”
Il filosofo Immanuel Kant ha cambiato il corso del pensiero umano introducendo un'importantissima distinzione: quella tra noumeno e fenomeno. Non possiamo mai entrare in contatto con una sedia per quel che è, ma per quel che viene generato dalla nostra mente sulla base degli input inviati dai nostri sensi colpiti dalla sedia. Una sedia vista da una farfalla o da un batterio è qualcosa di completamente diverso dalla sedia vista da noi, ma nessuna delle tre percezioni è sbagliata: semplicemente esse sono “fenomeni” ovvero: le versioni percepite della cosa. La cosa in sé è il “noumeno”, che è inconoscibile da qualsiasi essere, il quale può rapportarsi unicamente con dei fenomeni. Se questa conquista del pensiero ha gettato nello sconcerto la filosofia occidentale castrando per sempre la pretesa di giungere alla “verità”, alla “realtà” in sé stesse (per principio le cose in sé sono inconoscibili), essa, paradossalmente, ci ha liberati dal bisogno della realtà. Nulla di ciò che speriamo si può definire propriamente reale, ma tutto viene declassato a mero prodotto delle nostre menti con i dati provenienti dai nostri sensi, che mai può vantare i galloni di “vero”. Dunque tra il mondo reale e quelli virtuali questa differenza di principio, in effetti non esiste: entrambi NON sono il mondo dei noumeni.
Si può obbiettare:
“Te la cavi bene con la retorica, ma non mi convincerai a vivere in un mondo simulato.”
Probabilmente ci vivi già e non lo sai. Il filosofo svedese contemporaneo Nick Bostrom, attuale direttore del The Future of Humanity Institute presso l'Università di Oxford, sostiene con un'argomentazione difficilmente attaccabile che viviamo in un mondo virtuale generato digitalmente. La sua idea può enunciarsi come segue: quando una società giunge ad un certo livello di evoluzione tecnologica, ha la possibilità di creare artificial life estremamente ben fatta e realistica per simulare le proprie origini o per esperimenti di varia natura o semplicemente a scopo ludico. Una società del genere genererà talmente tanti universi virtuali, che il numero degli esseri simulati sarà così tanto superiore a quello di quelli reali, che la probabilità che tu che leggi sia uno di quelli “reali” è trascurabile, per approssimazione, nulla.
Il ragionamento è ferreo, ma lo stesso Bostrom contempla un caso (uno ed uno solo) in cui questo scenario non si verifica. Se esiste una sorta di regola implicita nello sviluppo delle società, per la quale una comunità si autodistrugge (con le guerre, l'inquinamento o altro) prima di essere arrivata alla capacità di generare universi virtuali, questa schiacciante sproporzione tra esseri fittizi ed esseri “reali” non si viene a creare. Chi scrive ritiene fortemente irrealistica questa seconda ipotesi, ma ovviamente potrebbe sempre essere vera. Questo scenario è estremamente deprimente e letteralmente getta una luce lugubre ed apocalittica sul progresso umano.
Per cui delle due l'una: o viviamo in un mondo simulato oppure in un mondo privo di domani e stiamo compiendo attività rigorosamente prive di scopo. Se viviamo in un universo fittizio, allora forse meglio entrare in una simulazione nella simulazione, ma che almeno abbiamo deciso noi e non un altro essere. Se, al contrario, sapessi di vivere in un mondo senza futuro, vorrei solo scappare da una realtà così disperata, rifugiandomi in un mondo virtuale.
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