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"Piccolo viaggio nell'anima tedesca" è il libro che dovrebbe possedere non solo qualsiasi amante della cultura tedesca, ma anche chi nutra il minimo barlume di curiosità nei confronti dei nostri cugini europei d'oltralpe. Non è una pubblicazione scientifica o dottrinale, non un manuale, né una monografia; si può considerare semplicemente un'"escursione" trasversale all'interno della cultura tedesca: un viaggio appunto.
Chi studia lettere o ha intrapreso studi linguistici all'università - e di studenti di questa sorta ne ho conosciuti veramente tanti, soprattutto negli ultimi due mesi - saprà di sicuro meglio di me che la lingua di un popolo costituisce lo specchio della sua cultura: volendo utilizzare un'altra metafora, la lingua è il mezzo di locomozione attraverso cui la cultura di un popolo trova la possiblità di muoversi, esprimersi, diffondersi, evolversi. Per riprendere il tema affrontato durante una lezione di lingua tedesca, ogni volta che una lingua muore, muoiono con lei migliaia di storie, di concetti e di persone che hanno caratterizzato la cultura espressa da quella lingua. La lingua traduce in parola i pensieri di un popolo: quanto più esso è evoluto, tanto più complessa ed articolata sarà la grammatica della sua lingua.
E' così dunque: a tanti popoli (o "famiglie" di popoli) diversi fanno capo altrettante lingue più o meno differenti. Ma se ogni cultura possiede in parte concetti diversi, come si possono rendere tali concetti comprensibili anche in un'atra cultura, in un'altra lingua? Come si traduce l'idea determinata che evoca una parola specifica in un'altra lingua, la cui cultura non possiede quella particolare idea? Veniamo qui al già affrontato problema delle traduzioni: chi traduce tradisce. Molte volte non esiste una parola esatta corrispondente per evocare l'idea espressa da una medesima parola straniera. E' questa, per esempio, la differenza in tedesco tra Übersetzung e Übertragung: entrambe le parole vogliono dire "traduzione", ma mentre la prima evoca l'idea di una traduzione puntuale, la seconda rende più il concetto di "trasposizione", "trascrizione": in questo secondo processo va perso qualcosa in più rispetto al primo. "Ogni traduzione ha sempre una sua povertà congenita", ha affermato lo studioso e scrittore Erri De Luca durante un'intervista all'Università di Trento. Così ad esempio gli eschimesi hanno 7 (o più) parole diverse per dire "neve", mentre i tedeschi, tanto per citare un caso scritto nel libro, hanno molteplici parole per evocare l'idea di superiorità e arroganza, o, se vogliamo continuare, dei concetti di doverosità, di esperienza... e potrei continuare a lungo.
Molte culture, molte lingue, molte idee diverse. Non esiste una lingua capace di poter realmente esprimere il senso dii tutte le culture. Senza che sorga spontaneamente, partorita da una cultura esistente, il progetto di alcuni studiosi di costruire una lingua artificiale "a tavolino", dall'alto dei loro tavoli universitari, viziato quindi sin dalla nascita, non ha mai realmente convinto le comunità linguistiche.
Parole, parole, parole, direbbe Mina. In questo libro, attraverso l'analisi storica di alcune parole, si finisce per ricostruire l'intera storia e cultura del popolo tedesco. Parole come Weltanschauung (la visione del mondo), Zweisamkeit (la "dualitudine", o altrimenti "solitudine a due"), Vergangenheitsbewältigung (il confronto con il passato), Feierabend (il riposo della sera), Rechthaber (chi vuol aver sempre ragione) e Zeitgeist (lo spirito del tempo) inducono il lettore a ripercorrere le tappe principali dell'esperienza tedesca: dall'unificazione a Weimar, dal nazionalsocialismo fino al crollo del muro (e anche dopo).
Il libro, edito da Feltrinelli, è stato scritto da Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi, giornaliste e corrispondenti per molto tempo dalla Germania, prima e dopo l'unificazione: ma prima che giornaliste, persone amanti del popolo tedesco, con i suoi pro e i suoi contro, e viaggiatrici all'interno dell'immenso mondo letterario tedesco.
E voi siete pronti a iniziare questo viaggio?
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