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Piceno da Fiaba - LA STREGA CIOFFIOLONA di Graziella Marziali

Creato il 17 maggio 2013 da Laperonza

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Grottazzolina (FM)

Dopo anni di assenza, fra’ Gerbino tornava al paese natìo, seguito dal   suo asinello, affettuosamente chiamato Occhiusvingiu.

Il soprannome era dovuto al fatto che il somaro era leggermente, anzi, alquanto…, anzi, decisamente strabico.

Nella campagna grottese il frate stava per raggiungere la casa dove vivevano sua sorella Teresa e sua nipote Leonora.

Mentre attraversavano il ponte sul fiume Tenna, Occhiusvingiu distrattamente guardò in basso, verso il fiume, e, colto da un improvviso capogiro, si fermò di botto.

Fra’ Gerbino si girò verso di lui spazientito:

- Te lo dico sempre, de non guardà de sotto, quanno ‘ttraversi li pondi, che dopo te se jira la testa e te vene l’occhi più storti! Daje, camina!-

(Te lo dico sempre, di non guardare di sotto, quando attraversi i ponti, che poi ti gira la testa e ti vengono gli occhi ancora più storti! Dai, cammina!)

L’asino non intendeva proseguire e scosse la testa.

- Ma che fai, te fermi proprio addè che scimo quasci ‘rriati? Guarda, questa è la Grotta, e quella - disse indicando poco lontano - adè la casa de la sorella me, Teresa. Sai quantu tempu adè che no la vedo? So’ venutu via de casa che era l’annu 1218, mo’ scimo nel 1225, adè sette anni. Daje - tagliò corto l’uomo - guarda per aria e passa istu ponte!  

(Ma che fai, ti fermi proprio adesso che siamo quasi arrivati? Guarda, questa èGrotta, e quella è la casa di mia sorella Teresa. Sai quanto tempo è che non la vedo? Sono venuto via da casa che era l’anno 1218, adesso siamo nel 1225, sono sette anni. Dai, guarda in alto e attraversa questo ponte!)

Occhiusvingiu si fece coraggio e a passo veloce percorse quel tratto così difficile.

Dalla casa alla quale giunsero uscì una giovinetta.

- Pace e bene, fijola, come te chiami? - chiese Gerbino.

(Pace e bene, figliola, come ti chiami?)

- Leonora - rispose la ragazza - fija de Teresa de lu moru.

(Leonora, figlia di Teresa del moro)

- Nooo! Leonora?! Come si’ cresciuta! Io so’ Gerbino, zitu; te rrecordi de me?

(Nooo! Leonora?! Come sei cresciuta! Io sono Gerbino, tuo zio: ti ricordi di me?)

- Ziu Gerbino! Come no mme rrecordo! - esclamò Leonora gettandogli le braccia al collo - Me faciate fa’ sempre li capumazzi in sull’erba!

(Zio Gerbino! Certo che mi ricordo! Mi facevate sempre fare le capriole sull’erba!)

Quindi, rivolta verso la casa, gridò:

- Matre, matre! Venete a vedé chi ci sta! Maaa!

(Madre, madre! Venite a vedere chi c’è! Maaadre!)

- E che te llucchi!- ( Perché gridi?) la rimproverò Teresa uscendo di casa; poi vide il frate e si fermò stupita, quale e quanta era la sorpresa di trovarselo davanti.

- Jessu, ma sci proprio tu?! - esclamò correndogli incontro e stringendolo calorosamente - Fratellu miu, come stai? Racconteme, daje, racconteme che sci fatto tuttu istu tempu!

(Gesù, ma sei proprio tu!? Fratello mio, come stai? Raccontami, dai, raccontami cosa hai fatto tutto questo tempo!)

Gerbino si sciolse dall’abbraccio delle due donne e iniziò a raccontare:

- Eh, sapete, so’ statu co’ Francesco d’Assisi e co’ l’atri frati. Scimo pregato, predicato, curato li malati…

(Eh, sapete, sono stato con Francesco d’Assisi e gli altri frati. Abbiamo pregato, predicato, curato i malati…)

- Ma è vero che Francesco parla co’ l’animali? - lo interruppe Leonora.

(Ma è vero che Francesco parla agli animali?)

- E come no? E loro lu capisce, e lu scorda pure! E’ proprio un sant’omu!…Ma piuttosto, diceteme che scete fatto voatri, qua, a Chrypta Canonicorum[i]

(Certo! E loro lo capiscono e gli danno anche retta! È proprio un sant’uomo!)….Piuttosto, ditemi cosa avete fatto voi, qui, a Chrypta Canonicorum.)

- Ah, ma non sai co’?-rispose Teresa-Non se chiama più Grotta de li Canonici, ma Grotta Azzolina. Addè lu castellu, come pure Monturà e Monsampietro, adè de Azzo, Azzo VII, marchese de Este e de Ancona. Fra du’ jorni ce sta lu vattesimu!

(Ma non sai niente? Non si chiama più Grotta dei Canonici, ma Grotta Azzolina. Adesso il castello, come anche Monte Urano e Monte San Pietrangeli, è di Azzo, Azzo VII, marchese d’Este e di Ancona. Fra due giorni ci sarà il battesimo!)

- Ah scì?- fece divertito il fratello -E chi ce se ‘ntrolla, dentro lu fonte sacru, lu Vescuvu, lu Marchese, o lu Scìnnicu?

(Ah sì? E chi si immerge nel fonte sacro, il Vescovo, il Marchese o il Sindaco?)

- Eh, - sospirò Teresa - io li ‘ffocherìo tutti jò Tenna! Ecco, ‘na ota commanna lu re, ‘na ota lu papa, ‘na ota lu vescuvu, ‘na ota lu scìnnicu, ma le tasse adè sempre più ate e chi ce rimette scimo sempre noatri puritti, che dovemo sgobbà come somari!…Senza offesa, eh, Occhiusvingiu!-

(Eh, io li affogherei tutti nel Tenna! Qui, una volta comanda il re, una volta il papa, una volta il vescovo, una volta il sindaco, ma le tasse sono sempre più alte e chi ci rimette siamo sempre noi poveretti, che dobbiamo sgobbare come somari!…Senza offesa, eh, Occhiusvingiu!)

L’asino ragliò, quasi a mostrare di comprendere perfettamente.

- Addè, po’ - continuò la donna -c’aìmo un problema grossu. Pare che de notte jira ‘na strega, la strega Cioffiolona, che fa sparì l’animali co’ un soffiu! Li contadì adè jiti da lu controllore de li animali, Bertrando da Norimberga, a chiede…   n’ajutu, ...un cunsiju, ma sa’ che j’ha risposto illu ‘gnorandò? - “Se io vi concedo li mei omini, poi la sera con chi cioco a tompola? Io sono lo controllore e controllo per tre, e se la strega non l’ho mai vista, vuol dire che di streghe non ce n’è.“ -

E l’ha mannati via tutti!

(Adesso, poi, abbiamo un grosso problema. Sembra che di notte giri una strega, la strega Cioffiolona, che fa sparire gli animali con un soffio! I contadini sono andati dal controllore degli animali, Bertrando da Norimberga, a chiedere… un aiuto,…un consiglio, ma sai che ha risposto loro quell’arrogante? -   “Se io vi concedo i miei uomini, poi la sera con chi gioco a tombola? Io sono il controllore e controllo per tre, e se la strega non l’ho mai vista, vuol dire che di streghe non ce n’è.”- E li ha mandati via tutti!)

Aquesto punto si sentì una voce reboante:

- Meine liebe (leggi: maine libe)…dofe stare, tolcezza mia?…

(Amore mio…dove sei, dolcezza mia?….)

Leonora, spaventata, si avvicinò alla madre:

- Oh, matre mia!

(Oh, madre mia!)

- Ma chi adè? - chiese perplesso Gerbino.

(Ma chi è?)

Teresa, prendendolo per un braccio, gli rispose:

- Adè ’llu ’mbriacò de Bertrando. Venne, venne.

(E’ quell’ubriacone di Bertrando. Vieni, vieni.)

- Ma che dice? - chiese ancora il frate.

- E chi lu capisce?! Jemo, jemo! Spiccete!

(E chi lo capisce!? Andiamo, andiamo, sbrigati!)

E così dicendo lo spinse verso il pagliaio.

In questo pagliaio le due donne avevano ingegnosamente scavato una nicchia piuttosto capiente, che poi avevano richiuso con una grata ricoperta di paglia, che nascondeva l’entrata.

Si infilarono tutti e tre lì dentro e richiusero dall’interno.

Bertrando, un omone corpulento con una lunga e folta barba rossiccia, si avvicinò alla casa e, tra un sorso e l’altro dall’otre che teneva in mano,gridava:

- Fiene fora, Norina cara, pella pampina, fiene appo me…

(Vieni fuori, Norina cara, bella bambina, vieni vicino a me…)

Occhiusvingiu, che all’avvicinarsi di quel tipaccio era svicolatodietro al pagliaio, facendo il giro dello stesso, se lo trovò proprio davanti.

- E tu chi essere? - si sentì apostrofare.

(E tu chi sei?)

Il somaro restò immobile e Bertrando insisté:

- Tu no risponte?…Qvarda me!…Qvarda me con tutte due occhie!

(Non rispondi? Guardami!…Guardami con tutti e due gli occhi)

Il povero animale cercò di fissarlo,ma considerato il suo difetto di vista, gli restava piuttosto difficile, anzi, impossibile, fare ciò che gli si chiedeva.

- Tu non folere ubbitire? Allora tiene!

(Non vuoi ubbidire? Allora tieni!)

Bertrando raccolse un bastone da terra e cominciò a colpire il somaro, che si mise a ragliare ripetutamente.

Gerbino non resistette a quei lamenti;uscì furioso   dal   nascondiglio,   preseancheluiun bastone e, dicendo:

- Lascia sta’ lu somaru, sa! - sferrò un colpo in testa a Bertrando, che crollò a terra tramortito.

(Lascia stare l’asino!)

Subito il frate si rese conto di ciò che aveva fatto e si mise le mani fra i capelli.

- Oddio, che so’ fatto! Sarà mortu?

(Mio Dio, cosa ho fatto! Sarà morto?)

- Magari! - commentò Teresa, che aveva seguito il fratello, cercando di trattenerlo.

Il pover’uomo, disperato, si inginocchiò a mani giunte e si mise a recitare il “mea culpa”.

- Che facimo, addè? - chiese preoccupata Leonora alla madre.

(Che facciamo, adesso?)

- Mittimulu dentro lu pajà! - propose Teresa.

(Mettiamolo dentro il pagliaio!)

Cercarono di sollevare quell’energumeno, ma non ci riuscirono. La donna si rivolse al fratello:

- Gerbì, vecce a da’ ‘na ma’, daje, a preghi dopo!

- Vengo, scìne, eccheme.

(Gerbino, vieni a darci una mano, su, pregherai dopo!)

(Vengo, sì, eccomi.)

Il frate si rialzò e andò ad aiutare le due donne.

Con fatica nascosero il controllore, richiusero il pagliaio con la finta porta ed entrarono in casa in silenzio.

Durante la notte Bertrando si riprese dal colpo in testa. Uscì dalla nicchia senza rendersi conto di ciò che gli era capitato e, ancora mezzo tramortito, si allontanò barcollando.

Il mattino seguente, al canto del gallo, Gerbino uscì nell’aia, seguito dalla sorella, ma con sorpresa scoprì che il pagliaio era vuoto.

- Terè, non ci sta più!

(Teresa, non c’è più!)

- E do’ sarà jitu? - si chiese Teresa.

(Dove sarà andato?)

In quel momento videro arrivare un giovane.

- Ssssch, zittu! - bisbigliò lei.

(Sssst, zitto!)

- Ma chi adè? - domandò Gerbino.

(Ma chi è?)

- ‘N’atru che parla gnerecu! - disse la sorella.

(Un altro che parla straniero!)

Il giovane fece un cenno del capo per salutare, poi si rivolse alla donna:

- Riverisco, siora Teresa. Mi volarìa parlar co’ a so putèa…

(Riverisco, signora Teresa. Vorrei parlare con la sua figliola…)

- Eh?… Spetta. - Teresa si voltò verso la casa e chiamò ad alta voce:

- Norina, venne! Ci sta Bartolomio tuo! Io, quistu, no lu capiscio! -

(Eh?…Aspetta. Norina, vieni! C’è Bartolomio tuo! Io, questo, non lo capisco!)

Quindi, indicando il frate, sempre ad alta voce e scandendo bene le sillabe, si rivolse aBartolomio:

- Qui-stu a-dè miu fra-te-llu Ge-rbi-no, capito?

(Questo è mio fratello Gerbino, capito?)

- Siora sì - rispose quasi risentito il giovane - son mica sordo!

Riverisco, fra’ Gerbino, mi son Bartolomio de Zacaria, de Treviso.

(Sì, signora, non sono mica sordo! Riverisco, fra‘ Gerbino, sono Bartolomeo di Zaccaria, da Treviso))

- Pace e bene, fijolu! - gli rispose il frate divertito.

(Pace e bene, figliolo)

Leonora, intanto, era uscita e andava incontro al giovane, che la guardava estasiato.

- Come ti xe bea, Norina.

(Come sei bella, Norina)

- Come mai cuscì de vonora, Bartolomio- mio? - chiese la fanciulla, pur contenta di vederlo.

(Come mai così di buon’ora, Bartolomio-mio?)

- Mi go sentìo che pasàdiman, finita ea festa per el batesimo de Grota, el marchese riparte, e mi dovrò andar co eo. Mi te vogio tanto ben, ma fra do zorni te dovrò lasar. Me pianse el cor. Chisà quando te rivedrò. Ma ti, me prometi che me speti e che no sposi quel zoticon de Bertrando?

(Ho sentito che dopodomani, finita la festa per il battesimo di Grotta, il marchese riparte, ed io dovrò andare con lui. Io ti voglio tanto bene, ma fra due giorni ti dovrò lasciare. Mi piange il cuore. Chissà quando ti rivedrò. Ma tu, prometti che mi aspetti, e che non sposerai quello zoticone di Bertando?)

- Te lo giuro, Bartolomio- mio! - rispose Leonora con piglio risoluto.

- Se fossi riuscito a caturar quea strega che fa sparir i animali - proseguì il ragazzo - averìa fato un gran favor ad Azzo, e per ricompensa ghe averìa chiesto de farme star a Grota, ma anca stanote mi go perlustrà la campagna e no go visto nisun; anzi, pare che stanote no sia sparito nianca un pulsin.

(Se fossi riuscito a catturare quella strega che fa sparire gli animali, avrei reso un gran servigio ad Azzo, e per ricompensa gli avrei chiesto di farmi restare a Grotta, ma anche stanotte ho perlustrato la campagna e non ho visto nessuno; anzi, pare che stanotte non sia sparito neanche un pulcino.)

Gerbino, incuriosito, chiese:

- Ma perché penzete che se tratta de ‘na strega?

(Perché pensate che si tratti di una strega?)

- Perché tra i cespugli ghe ha trovà ciufi de cavei rossi e dee forsine.

(Perché tra i cespugli hanno trovato ciuffi di capelli rossi e delle forcine.)

- Senti ‘mbo’, fijolu - fece il frate - tu che c’hai ‘na certa autorità, dato che stai a la corte de Azzo, …putristi domannà che affari ha fatto, istu mese, lu varbiere, lu cazolà e lu cordà?

(Senti un po’, figliolo, tu che hai una certa autorità, dato che sei alla corte di Azzo, ..potresti chiedere che affari hanno fatto, questo mese, il barbiere, il cordaio e il calzolaio?)

- Ostregheta! Ma certo! Se la vol, mi posso domandar. Torno stasera.

(Ma certo, se vuole, posso chiedere)

- A stasera, Bartolomio-mio-mio-mio. - lo salutò leziosa la fidanzata.

- La sinti? - commentò amorevolmente Teresa rivolta al fratello - Pare che parla co’ lu gattu! - poi, cambiando tono: - Ma che c’hai pe’ la testa, Gerbì?

(La senti? Sembra che parli con il gatto. Ma cos’hai per la testa, Gerbino?)

- Mah,… gnente…’na menza idea…te lo dico stasera. - tagliò corto lui.

(Ma...niente…una mezza idea…te lo dico stasera)

Rientrando in casa, Teresa borbottò fra sé:

- Ma do’ sarà jitu ’llu diavulu de Bertrando?

(Ma dove sarà andato quel diavolo di Bertrando?)

Quella sera Bartolomio trovò Gerbino ad aspettarlo davanti alla casa e gli riferì quello che aveva saputo.

- Mi go sentìo el barbier, e el me ga dito:

(Ho sentito il barbiere, e mi ha detto:)

Barbe lunghe e barbe corte

   Barbe molli e barbe storte

Capelliricci e capelli brutti

Le mie forbici l’ha tagliati tutti

El ciabatin me ga dito:

(Il ciabattino mi ha detto:)

Facevo zoccoli de legno e cuoio

Ben ribattuti chiodo per chiodo

Facevo scarpe de seta e serpente

Ma or non han soldi e non faccio più niente

Infin, el cordaio:

(Infine il cordaio:)

Corde ritorte, corde filate

Corde de paglia, a strisce e intrecciate

Corde da pozzo, de vimini e spago

Grosse un braccio, sottili un ago

Forti de ferro, molli de strutto

Isto mese ho venduto tutto

- Me lo ‘mmajinavo - affermò Gerbino - Fijolu, me sa che so’ capito chi adè ‘sta strega!

(Lo immaginavo. Figliolo, credo di aver capito chi è la strega!)

- Go capìo anca mi, ostregheta! - ribattè annuendo Bartolomio.

(Ho capito anch’io, perbacco!)

- Allora facimo un sopralluogu, stanotte?

(Allora facciamo un sopralluogo, questa notte?)

- Certo, ‘ndemo!

(Certo, andiamo!)

- Jimo! - Gerbino chiamò l’asino:

- Jimo, Occhiusvingiu! -

(Andiamo! Andiamo, Occhiusvingiu!)

I tre si incamminarono verso la campagna e si fermarono ad un crocevia.

- Se sé quel che pensemo nu, dovarìa pasar de qua - suggerì il giovane.

(Se è chi pensiamo noi, dovrebbe passare di qua)

- E’ vero - approvò il frate - Tu statte prontu co’ lu vastò, che a legallu ce penzo io! E tu, amicu - rivolto al somaro - ricordete de Righetto, Ri-ghe-tto; quanno senti fischià devi fa’ quillo che si fatto a Ri-ghe-tto, capito?

(E’ vero. Tu stai pronto con il bastone che a legarlo ci penso io! E tu, amico, ricordati di Righetto, Ri-ghe-tto; quando senti fischiare, devi fare quello che hai fatto a Ri-ghe-tto, capito?)

Occhiusvingiu ragliò in segno di assenso,quindi i due uomini si nascosero dietro un albero.

Dopo poco, come avevano previsto, comparve Bertrando, il quale, vedendo l’asino, gli disse:

- Io ti conosce; io afere cià fisto qveste occhie…

(Io ti conosco; ho già visto questi occhi…)

Appena pronunciate queste parole si sentì un fischio; Bertrando si voltò, Occhiusvingiu glisferrò subito un calcio, che lo scaraventò vicino all’albero dov’erano Gerbino e Bertrando: uno lo picchiò, l’altro lo legò, tutti e due lo caricarono sul somaro e andarono a consegnarlo ai soldati di Azzo.

L’indomani si recarono tutti dal Marchese.

Sei stato molto bravo, Bartolomio - gli disse Azzo - ad acciuffare il ladro del bestiame. Ma ditemi, come avete capito cheil furfante era Bertrando?

Gli rispose il ragazzo:

- Non potea eser un dei contadin, perchégerano andai tuti dal barbier, e anca perché loro i va tuti scalsi, mentre le impronte gera de scarpe grose e pesanti; e non potea nianca eserun spirito, perché no g’avrìa avuo bisogno de comprar tante corde per legar e bestie rubae e portarle via.

(Non poteva essere uno dei contadini, perché questi erano andati tutti dal barbiere, e anche perché loro vanno tutti scalzi, mentre le impronte erano di scarpe grosse e pesanti; inoltre non poteva trattarsi di un spirito, perché non avrebbe avuto bisogno di tante corde per portarsi via gli animali rubati.)

- Maperchéicontadinidicevanochela strega soffiava? - chiese ancora il Marchese. A questa domanda rispose Gerbino:

- Issu je dava ’na bbotta su la testa co’ un bastò rcopertu de stracci, cuscì loro sintìa solo un soffiu e se svejava rentronati.

(Luidava una botta in testa con un bastone ricoperto di stracci. Così loro sentivano solo un soffio e si svegliavano rintronati)

- Bravi, bravi - concluse Azzo - A me dispiace perdere un bravo servitore, ma sicuramente mi sarai più utile qui, Bartolomio; ti nomino controllore degli animali del Castello, così potrai restare a Grotta e sposare la tua Leonora. Ed ora andiamo tutti a festeggiare il battesimo diGrotta e il tuo sposalizio.

Tutti gridarono:

- Viva il Marchese! Viva Azzo VII!

Questa è una storia

Di tanti anni fa

Ma se sia vera

Nessuno lo sa



[i]Nell’anno 1217 Papa Innocenzo III confermava al giovanissimo Azzo VII d’Este il possesso della Marca di Ancona. Lo stesso fece l’Imperatore Federico II nel 1221. Durante la minorità di Azzo era stata la Santa Sede a prendersi cura delle terre; sorsero quindi gravi controversie tra il Marchese ed il Vescovo, che per concessione degli stessi papi, vantava non pochi diritti nel fermano. Nel 1224 il Pontefice inviava un legato nella Marca, per fare un’inchiesta sui possessi pontifici e della chiesa fermana, onde procedere alla soluzione della vertenza.Proprio durante tale inchiesta, Azzo entrò nel fermano, chiamato dallo stesso Pontefice, per liberare la regione dalle molte guerre e discordie. Ma egli vi entrò bramoso di prendersi tutto il contado, ricorrendo alle armi e facendo molte stragi e rapine nei castelli. Si impadronì dunque illegittimamente di Chrypta Canonicorum, sottraendolo ai vecchi proprietari, cioè ai canonici di Fermo e ribattezzandolo col nome di Grupta Azzolina. (Guido A. Piergallina, Storia di Grottazzolina, ed Porziuncola, Assisi 1898)


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