Nella storia dell’architettura ci sono tipologie sfortunate e tipologie fortunate. Pensiamo ai templi antichi: greci, etruschi, romani… Oggi nessuno di noi costruisce edifici rettangolari con due giri di colonne su tutti i lati ed al centro un paio di stanzine buie collegate tra loro. Non sapremmo che farcene. I romani usavano la basilica come aula giudiziaria: muri sui lati, due file di colonne al centro e una nicchia sul lato corto con l’immagine dell’imperatore. Basta mettere al posto di quella un crocifisso ed ecco la basilica cristiana come noi la conosciamo. Questa tipologia si è per così dire adeguata ai tempi ed è sopravvissuta.
L’architettura militare ha subito simili traversie: il castello degli antichi romani (castrum) è completamente differente dai castelli medievali cui siamo abituati a pensare, con il fossato, le torri, il ponte levatoio ed i merli: muta l’arte della guerra e mutano i castelli. Così, con l’uso massivo della polvere da sparo e dei cannoni non si costruiscono più castelli: dal Castello Sforzesco si passa alla Cittadella di Alessandria e poi al Forte di Fortezza, ad esempio.
Nella Saluzzo capitale dell’omonimo marchesato piemontese i sovrani costruirono un castello, com’era normale fosse nel medioevo: Tommaso I tra il 1271 ed il 1286 erige il primo nucleo della Castiglia (nessun riferimento alla Spagna, è come viene chiamato in zona l’edificio), su un poggio che domina il borgo e tutta la pian circostante.
Con il tempo l’edificio si amplia, almeno fino a quando è la residenza dei marchesi: nel 1548 muore Gabriele di Saluzzo senza figli, lo Stato passa al Re di Francia ed il castello resta vuoto. Che farne? Diventa presidio di soldati, sede di uffici, addirittura ricovero per malati: la grande mole di mattoni inizia pian piano a decadere.
Dopo secoli di abbandono, nel 1825 la rinascita: la transformazione in prigione “moderna”, ed i notabili saluzzesi ne sono ben lieti. L’alternativa era la completa distruzione di uno dei più antichi simboli della città.
Ci sono voluti quasi 170 anni, una molteplicità di cambi di mentalità ed anche una breve evasione (con tanto di famiglia tenuta sotto sequestro) per fare capire che una prigione nel centro cittadino, soprattutto se impiantata in un edificio medievale, non era è più sostenibile.
Nel 1992 il carcere si trasferisce in pianura, alcuni chilometri più in là, in zona La Felicina. Nome indicatissimo, peraltro. E la Castiglia cambia vita e funzione un’altra volta, ospitando uno dei migliori allestimenti museali che mi sia capitato di vedere: il Museo della Civiltà Cavalleresca ed il Museo della Memoria Carceraria, inaugurati da pochi mesi.
Durante l’evento Saluzzo OpenBike a me e ad altri blogger è stato permesso visitarla tutta, compresi i camminamenti di ronda del vecchio carcere, stretti muri di cemento armato con ancora i corpi di guardia sugli angoli. Abbiamo potuto avere la stessa visuale dei secondini sui vari cortili dove i detenuti passavano l’ora d’aria, un percorso normalmente aperto solo alle visite guidate.
In un recupero tanto curato e filologico non poteva mancare una sezione apposita sulla stessa Castiglia: in alcune sale ci sono modellini, piante e video delle varie fasi costruttive e storiche dell’edificio, mentre pannelli e spezzoni di film illustrano al meglio l’antica arte della guerra tardo medievale.
Considerata la storia tanto travagliata, è normale non siano rimasti in loco pezzi originali come mobilio, arazzi, o decorazioni dell’antica residenza marchionale, ma questo non è stato un problema nell’allestimento del Museo della Civiltà Cavalleresca. Grazie anche un suntuoso comitato scientifico – tra cui spicca il nome del noto medievalista, romanziere e saggista piemontese Alessandro Barbero – le undici sale ricostruiscono quel polo di cultura cortese tardo-godica che fu il Marchesato di Saluzzo con una profusione di ricostruzioni multimedieali, calchi e copie.
Qui non si troverà il pezzo originale ma ci si immerge fisicamente nell’ambiente di corte: un pavimento diventa una mappa d’epoca che illustra com’era allora il Piemonte; gli eroi dell’antichità raffigurati nelle miniature gotiche sono figure a grandezza umana che scandiscono gli spazi; copie di affreschi di varie abbazie dello stato saluzzese scorrono sui muri. Copie di monete, vetrate istoriate, portali e statue permettono di avere sotto gli occhi tutti gli aspetti culturali, civili, artistici e militari di questa piccola ma vivacissima corte, mentre su schermi scorrono filmati appositamente realizzati. Alcuni piani sotto invece, nell’umidità di stretti corridoi voltati e dagli intonaci rovinati (accuratamente preservati così), trova ospitalità il Museo della Memoria Carceraria.
Nella base di un torrione sagome modellate su “La ronda dei carcerati” di Van Gogh illustrano il destino dei carcerati valdesi, antifascisti e dell’epoca risorgimentale, mentre nelle celle che si aprono lungo il corridoio trovano posto oggetti d’epoca come scarpe e divise, video illustrativi (con sottotitoli in inglese) o pannelli che trattano com’era concepito il carcere e la detenzione: luogo di pena, di rieducazione, di isolamento.
I temi trattati nel museo sono molteplici: il corpo del carcerato, la vita quotidiana, la disciplina, il lavoro forzato, la figura del carcerato nell’arte e nel cinema. Non manca però anche una sezione apposita sulla storia del carcere, come il carcere della Castiglia è stato nei suoi oltre centocinquanta anni di vita: il racconto è reso più vivo sia dalle ricostruzioni delle celle con mobili del periodo che da video dove attori che impersonano figure storiche (il primo direttore, un detenuto, la filantropa) raccontano la propria storia. Basta accostare gli occhi agli spioncini delle celle. Un’ultima sezione, amara e forte, è legata al suicidio in carcere ed alla tortura.
Due musei che creano sensazioni profondamente diverse ma sicuramente due luoghi da non perdere in una città, Saluzzo, ricca di storia, di fascino e di bellezza.