Piergiorgio Odifreddi cerca di diffamare Blaise Pascal e Albert Einstein

Creato il 22 febbraio 2011 da Uccronline

Nel giro di un mese il nostro Ciccio Odifreddi ci regala due belle odifreddure… Si sa che lui, avendo sempre voluto fare lo scienziato da grande, è costretto ad invidiare coloro che ci sono riusciti. Ha pensato così di inveire contro due grandi uomini di scienza come Blaise Pascal e Albert Einstein. E’ stato però subito bacchettato.

Odifreddura su Pascal. Ne ha parlato sulla rivista Le scienze, scrivendo una marea di inesattezze e forzate manipolazioni tanto da far intervenire addirittura uno dei principali tradurri italiani di Pascal, Bruno Nacci, il quale scrive: «Un articolo imbarazzante perché ra­ramente mi è capitato di imbat­termi, nel merito, in una tale se­quenza di inesattezze a proposito di uno dei maggiori scienziati moderni, nonché il massimo scrittore in prosa del Seicento francese, ma anche – mi si perdo­ni la franchezza – in una visione tanto miope e puerile dell’animo umano». Odifreddi afferma infatti che a 31 an­ni Pascal, sotto l’influsso dei gian­senisti, «era completamente per­so per la scienza». Eppure, nel 1654 Pascal aveva 31 anni e proprio in quell’anno -citando i soli studi scientifici- termina i Traités de l’équilibre des liqueurs et de la pesanteur de la masse de l’air, lavora al Traité des coniques, pubblica il Traité du trian­gle arithméti­que. Nel 1655 scrive De l’E­sprit géométri­que e Introdu­tion à la Géométrie. Nel 1658 indice un concorso inter­nazionale per risolvere il pro­blema della «roulette» di cui rivelerà la soluzione nelle Lettres de Dettonville, capolavoro degli studi matematici che sugge­rirà a Leibniz il calcolo differen­ziale. Per non parlare del carteg­gio con scienziati come Sluse, Fermat e Huygens, o del complesso piano da lui curato nei dettagli per il primo sistema di trasporti pubblici in Europa tra 1661 e 1662, anno della morte. Inutile poi sottolineare come fra i giansenisti ci fossero grandi uomini di scienza, come Arnauld. Poi Odifreddi sostiene che la causa del ritiro (presunto) di Pascal dalle scienze sia stata la follia: «Il 23 novembre 1654 Pascal impazzì, lo testimonia il Memoriale che scris­se quella sera, pieno di frasi senza senso» (è una vita quindi che Odifreddi sarebbe da ricoverare…). Nacci comunque ironizza: «Ohibò. Do­po essermi strofinato gli occhi, ho proseguito la lettura dell’articolo che esporrebbe le prove di que­sta, inedita, pazzia di Pascal. Quello che tutti ritengono un documento di alta spiritualità possa essere interpre­tato come un segno di follia, è pensiero bizzarro se pure lecito». Odifreddi, per autoconvicersi maggiormente introduce poi l’argomento forte: «Pascal era in­fatti reduce da un grave incidente in carrozza sul ponte di Neuilly, in cui aveva letteralmente battuto la testa. In seguito soffrì per tutta la vita di forti emicranie. E quando morì nel 1662, a soli 39 anni, l’au­topsia rivelò evidenti lesioni cere­brali». Peccato -spiega l’accademico- che in queste poche righe l’unico dato certo riguardi l’anno della morte di Pascal. L’incidente sul ponte di Neuilly è un aneddo­to, riportato da un anonimo forse alla fine del Seicento, che dice di averlo saputo da altri e così via. Inoltre è risaputo che Pascal patisse d’emicrania fin dalla prima giovinezza. Sempre per Odifreddi, l’au­topsia avrebbe rivelato «evi­denti» lesioni cerebrali. Lo storico nega però che nel referto autoptico si parli di evidenti fratture cerebrali. Nel reperto (attendibile o meno rispetto alla me­dicina del tempo), al contrario, «si parla di una mancata chiusura in­fantile di certe suture craniche che gli avrebbero causato per tut­ta la vita devastanti dolori alla testa». Quindi: il cancro o la tu­bercolosi. Continua Nacci: «Fermo restando poi che le (supposte) fratture cerebrali causate da un (supposto) inci­dente stradale nel 1654, non gli a­vrebbero impedito di scrivere ne­gli anni successivi, tra l’altro, le Provinciales e le Pensées, bagatelle che anche un pazzo o uno con evidenti fratture cerebrali natural­mente potrebbe scrivere!». Addirittura nella prefezione ai “Pensieri” di Pascal editi dalla Rizzoli,  affidata a Vittorio Enzo Alfieri, vi è specificato che la leggenda nasce dal solito mistificatore Voltaire: «La pazzia di Pascal è leggenda, grossolana interpretazione di razionalisti e materialisti a cui riusciva incomprensibile l’esperienza religiosa di Pascal e la forza paradossale delle sue affermazioni». Più avanti si  afferma che «chiunque ha voluto spiegare il genio di Pascal come manifestazione patologica, e persino trovare nella scrittura di lui l’indizio della febbre, indubbiamente è in errore» (da Pascal, “Pensieri”, Rizzoli, pag.10,11). Ma il matematico impertinente (che qualcuno su Facebook ha soprannominato il “matematico deficente”) dichiara qual’è il suo intento: «Oggi lo si ricorda quasi soltanto per i confusi Pensieri nei quali sprecò il suo talento, ma in gioventù aveva fatto vedere di co­sa sarebbe stato capace, se fosse stato risparmiato dalla conversio­ne». Ecco spiegato il tentativo del noto invasateo scientista di Cuneo. Conclude lo storico Nacci: «Ma se dal 1654 Pascal era già impazzito e invalido (parola di O­difreddi), com’è possibile che in seguito sprecasse il suo talento in quelle opere che, a dire il vero, so­lo il nostro esperto ritiene insigni­ficanti? Quale talento gli era rima­sto? Credo che sia inutile commentare o infierire oltre su un simile pro­cedimento argomentativo lacu­noso e non poco illogico, ma a proposito di «confusione»: non è che l’inconscio, ancora una volta, abbia preso la mano a Odifreddi?».

Odifreddura su Einstein. Ha parlato del grande fisico sull’ultimo numero dell’Espresso. Nell’articolo, Odifreddo si lamenta del “Cortile dei gentili” perché, a suo parere, la Chiesa cattolica accetta di confrontarsi con gli atei moderati e non con gli invasatei. E conclude -non si capisce bene perché- in questo modo: «Come si sa gli scienziati sono quasi tutti atei. E già nel 1930 il più famoso di loro, Albert Einstein, scriveva: “Le idee più belle della scienza nascono da un profondo sentimento religioso. Io credo che questo tipo di religiosità che attualmente si avverte nella ricerca, sia l’unica esperienza religiosa creativa della nostra epoca”». Lo scientista furioso arruola così Albert Einstein come scienziato ateo più famoso della storia. Proprio Einstein che disse di sè: «Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio» (da Einstein: His Life and Universe, Simon e Schuster, pag. 27).  Proprio Einstein che sembra rivolgersi all’ex seminarista Odifreddi in questo modo: «Non condivido lo spirito di crociata dell’ateo di professione il cui fervore è in gran parte dovuto a un doloroso atto di liberazione dalle catene dell’indottrinamento religioso ricevuto in gioventù» (Lettera a Guy Raner, 1949). E ancora: «Gli atei fanatici sono come schiavi che ancora sentono il peso delle catene dalle quali si sono liberati dopo una lunga lotta. Essi sono creature che – nel loro rancore contro le religioni tradizionali come ‘oppio delle masse’ – non posso sentire la musica delle sfere» (Isaacson, Einstein: His Life and Universe, Simon e Schuster 2008). Albert Einstein contraddice  ancora il nostro Odifreddi, ad esempio quando scrive: «La scienza contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguitare finalità teologiche, poichè deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sè altre scelte quando creò il mondo» (da Holdon, The Advancemente of Science and Its Burdens, Cambridge University Press, New York 1986, pag. 91). E ancora: «Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri; in quanto al resto, sono solo dettagli» (da “Einstein: Pensieri di un uomo curioso“, Mondadori ’97). E mentre Odifreddi nei suoi libri sostiene che i cristiani siano tutti dei «cretini», il celebre Premio Nobel si sofferma anche lui sul cristianesimo: «Nessun uomo può disporre della cristianità con un bon mot. Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita» (da Einstein, “The Saturday Evening Post”, 26.10.1929). Odifreddi dovrebbe poi dimostrare che la maggioranza dei più grandi scienziati della storia, riportati in quest’elenco ad esempio,  siano atei. Una risposta a Odifreddi è comunque arrivata anche dal settimanale Tempi.


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