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Piero Calò: L'occhio di porco

Creato il 25 maggio 2010 da Fabriziofb
Piero Calò: L'occhio di porco
“Di facile aveva solo il nome, Tania, e la frangetta più nera del peccato mortale. Da quel punto in avanti Tania non era difficile, era un suicidio e fissarla a lungo -e potevi solo fissarla a lungo- ti costava la dannazione di don Paolo, le indagini del maresciallo Ovetto e, a chiudere in bellezza, sei mesi d'ospedale per mano di Gigione Lorco, suo padre. Aveva quattordici anni, Tania, e già bellissima se ne passeggiava da sola per il viale del paese con la schiena dritta e il gonnellino rosso così oscenamente svolazzante che solo un grande coraggio sarebbe riuscito a sollevarlo, e nel paese si scommetteva allegramente sull'identità del cuor di leone, tra un caffè corretto e un analcolico con la fetta di limone a mezzaluna.”(1)
Paisiello è un'anonima località di mare del sud Italia -un luogo tranquillo, stretto, com'è, tra la spiaggia di Pappasiello, la ferrovia, e il basso e arido Monte Pietro- i cui abitanti partecipano, per volontà del potente Adriano Masciarò (misterioso possidente non privo d'inventiva), a una sorta di esperimento sociale: tutti lavorano, guadagnano e spendono solo ed esclusivamente all'interno dei confini del paese.
L'unica eccezione alla perfetta autarchia economica della comunità, è data dalle merci in transito per la “Tessera”, strano ibrido tra un'antica fortezza e un magazzino di stoccaggio, gestito dallo stesso Masciarò.
Ma a guidare il comportamento del possidente non è il gusto per il monopolio; tutt'altro: Masciarò è alle prese con il tentativo un po' folle di creare la società perfetta, priva di criminalità e disoccupazione, miseria e fatti di sangue.
A dispetto delle buone intenzioni, però, l'ordine cittadino sta per essere turbato dal ritrovamento di due cadaveri: quello della bella quattordicenne Tania, e quello del suo presunto amante Franco Bolla...
Senza esitazione, l'autore costruisce sotto gli occhi del lettore -tra le chiacchiere da bar della “staffa” (2), le timide indagini del Maresciallo Ovetto (a metà strada tra un “Commissario Pepe” fuori zona e un Ingravallo al confino), le intuizioni di Luca Goglioni e le improvvise rivelazioni di Adriano Masciarò-, un giallo atipico, la cui soluzione risiede in una verità complessa e confusamente camuffata; una verità faticosamente riconquistata, a dispetto dei numerosi depistaggi, attraverso il vaglio di false affermazioni, versioni discordanti (dettate un po' dall'ipocrisia, e un po' dalla mancanza d'informazione dei personaggi) e parziali smentite.
La complessità degli eventi (che poi si riduce, in buona misura, a una stratificazione di azioni e avvenimenti passati, mai chiariti, e ormai quasi indecifrabili) è espressa attraverso una spiazzante varietà di scelte narrative: non solo una molteplicità di tempi verbali la cui oscillazione non indica la disposizione cronologica tra i brani(3), ma anche un intero campionario di punti di vista e relazioni di focalizzazione(4) che si alternano in maniera imprevedibile.
Tra le scelte narrative e il lavoro linguistico (strutturale e non lessicale(5)), che conferisce al romanzo un ritmo, una cadenza impalpabilmente meridionale, “L'occhio di porco”, suona come un “Pasticciaccio”, riscritto in salsa paesana con benniana leggerezza, ma senza rinunciare ad una cornice strettamente realistica e inaspettatamente amara; al di là del simpatico universo popolare, la cui comicità è ingigantita dall'auto-segregazione dei paesani(6), e oltre il curioso contrasto tra mentalità “antiquata” e ambientazione contemporanea, la realtà “vera”, quella visibile attraverso l'“occhio di porco” (precisa modalità dello sguardo, identificabile con il “diaframmare per cogliere i particolari”, oltre che “irripetibile” particolare anatomico(7)) risulta vagamente pessimista, e lo strano esperimento politico-sociale di Masciarò ha esiti distopici: a Paisiello, come sull'isola di corallo del goldinghiano “Signore delle mosche”, “l'uomo produce il male come le api producono il miele”...
“L'occhio di porco”, di Piero Calò è edito da Instar Libri.
(1)Piero Calò, “L'occhio di porco”, Instar libri, Torino 2010, p. 7.
(2)Un vero e proprio organo d'informazione (o disinformazione) locale, piuttosto che un semplice circolo di aficionados del Bar Centrale...
(3)Si veda, per esempio, il capitolo 2 della sezione “Tutti pazzi per Tania” (pp. 64-66), nel quale azioni e pensieri del già defunto Franco Bolla sono espresse al presente, in un brano il cui carattere analettico non è rivelato da nessun particolare accorgimento grafico, né tanto meno dichiarato, mentre i dettagli relativi alle condizioni della salma sono già state riferite al trapassato remoto (p. 17), ecc.
(4)Si passa con disinvoltura dalle micro-narrazioni rese, in prima persona, da personaggi appartenenti alla diegesi, ai brani espressi in terza persona da un onnisciente (ma sempre convenzionalmente reticente) narratore extradiegetico.
(5)Non è attraverso l'uso di termini dialettali, ma con la costruzione atipica del periodo, che l'autore impone al suo romanzo una forte connotazione geografica.
(6)Proprio in virtù di questo, per la loro “unicità” forzata ed eccessiva, i personaggi sembrano guadagnare un'irraggiungibile universalità, il carattere quasi archetipo delle “maschere”, rispetto alle quali i "comuni mortali" non sono che semplici, imperfette, copie.
(7)Per il particolare anatomico, cfr. p. 64.

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