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Piero Chiambretti: "Televisione in crisi per colpa dell’Auditel" (Il Tempo)
Creato il 21 ottobre 2013 da Nicoladki @NicolaRaianoCome si vive a Striscia la notizia? «Sono molto contento di essere stato chiamato alla corte di Antonio Ricci, che è una persona con cui ho un ottimo rapporto, fuori dalla tv perché dentro ci vediamo pochissimo visto che il programma è così veloce che non ci si incontra. Però Striscia mi mette molta serenità ed è per me un contrappasso: sono stato negli anni un bersaglio ed oggi essere dall'altra parte del bancone non vuol dire aver perso la propria identità e coerenza ma semmai aver trasformato i propri atteggiamenti rispetto alla televisione. Non è che uno va dove lo chiamano, uno va dove pensa di poter stare meglio. È un'esperienza popolare, una passeggiata di salute e speriamo che possa anche ripetersi. Ma non nascondo però che tengo molto in considerazione l'eventualità di fare un mio programma».
Rispetto ai tempi del suo Portalettere la tv di oggi è meno libera? «La tv si è dovuta adattare alle esigenze di mercato, l'avvento dell'Auditel prima (che è diventato un giudizio universale) e poi la frammentazione di migliaia di canali che uno dopo l'altro portano via pubblico e pubblicità, quindi soldi, hanno costituito una psicosi generale. Per cui nessuno rischia, nessuno sperimenta, si manda in onda quasi sempre il sicuro, non si prende mai la strada nuova, se non per qualche eccezione; ma in linea generale il dirigente, l'autore, il conduttore, il direttore, tutta la filiera della televisione parte dal presupposto che non si può sbagliare. Ma partendo da questo presupposto sbagli in modo più scientifico. Ripeti lo stesso programma, in qualche caso gli cambi solo il titolo, e non affronti nuove frontiere che comunque sono sotto gli occhi di tutti perché il mondo velocemente cambia e le nuove tecnologie rendono tutto più facile da realizzarsi. Questa potrebbe essere un'era nella quale la televisione potrebbe dare il massimo e invece non lo dà. Non dico che dia il minimo ma va a passo d'uomo mentre invece la tv va veloce. Molto veloce».
Lei ha frequentato pure il web: pensa sia più libero della tv? «Il web è il presente di molti di noi, perché racchiude la summa di tutto quello che puoi trovare in tv e che puoi vederti all'ora che vuoi. Perché in tv con il decoder registri, monti, acceleri, ma rimane comunque un palinsesto. Il web invece è un flusso continuo che tu hai sotto gli occhi, dentro un sistema che è quello del tablet, del telefono, del computer. Rispetto alla tv c'è una differenza che è quella della libertà, della mancanza di stress da concorrenza o da controprogrammazione. Ma una volta capito che quel sistema è un sistema anche votato alla ricerca di sponsor, qualcuno inventerà una sorta di auditel dei clic e anche lì tutto sarà meno libero. Perché sarà tutto studiato per raggiungere più clic, e per farlo devi entrare nelle logiche del mercato: donne nude, scene sanguinolente, tutto quello che non si sa perché attira di più l'occhio umano».
Cosa pensa Chiambretti della polemica sui compensi delle star tv? «Sterile. Se è vero da una parte che il servizio pubblico deve tenere conto dei soldi dei contribuenti, bisogna anche considerare che la Rai è sul mercato. E per stare sul mercato devi avere le cosiddette star, e puoi averle stando dentro a certi ingaggi. Io, siccome sono convinto che in questo mondo nessuno regali niente, credo che chi ha grandi ingaggi ce li ha perché li merita o perché fa rendere, ridà qualche interesse. Non sono bacchettone nel condannare i compensi alti, un moralismo che oggi solleva una parte della politica italiana».
Non crede che in tv ci sia anche il problema dei non famosi: programmi, conduttori, autori, dirigenti, che con la tv non c'azzeccano nulla, perché non la sanno fare? «La televisione è accesa giorno e notte, un po' come il boiler, e bisogna riempire 24 ore. Quindi tra il fatto che la tv è lottizzata, parlo della tv di Stato, il fatto che ci siano dei parenti, il tengo famiglia, purtroppo certe cose sfuggono. E diventano fenomeni da laboratorio. Quanti programmi che vediamo in tv non riusciamo a comprenderli. Perché si fanno? Eppure si fanno e si continueranno a fare».
Intervista di Massimiliano Lenzi per "Il Tempo"
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