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Piero, Federico e la Madonna di Senigallia

Creato il 19 giugno 2011 da Marinam

MadonnaSenigallia

Di tanto in tanto la Madonna di Piero della Francesca torna a Senigallia, la città di cui porta il nome, dove è stata, relativamente tranquilla, fino al 1917. Normalmente il capolavoro dell’artista rinascimentale più grande e misterioso risiede nel palazzo ducale di Urbino accanto ad un’altra somma ed imperscrutabile opera, quella Flagellazione sul cui significato tanti storici dell’arte e storici tout court si sono invano scervellati. Reduce da un importante intervento di restauro la Madonna resterà a Senigallia (nella Rocca Roveresca dove è stato allestito un interessante ed articolato percorso espositivo e documentario) per meno di un mese – dal 18 giugno al 10 luglio – in uno di quei rientri a casa che tentano di appianare le polemiche legate alla sua attuale collocazione. Commissionata probabilmente in occasione del matrimonio tra Giovanni Della Rovere (nipote di Papa Sisto IV che gli concesse Senigallia in vicariato) e la figlia di Federico da Montefeltro, Giovanna, la Madonna di Piero della Francesco vale un viaggio, un viaggio davvero reale perché i dietro alla nascita ed alle vicende di questo dipinto ci sono alcuni dei protagonisti della storia italiana fra ‘400 e ‘500, primo fra tutti il grande signore di Urbino.

La Madonna di Senigallia è un dipinto in apparenza tradizionale: il soggetto è molto comune e la destinazione privata e famigliare. Eppure questo capolavoro si presta a molte letture diverse e non sono ancora chiare le vicende storiche alle quali si lega. C’è chi ritiene che l’opera sia stata commissionata da Giovanna Feltria e Giovanni Della Rovere in occasione del loro matrimonio celebrato nel 1478. Per altri è stato invece un dono di Federico da Montefeltro alla figlia Giovanna. Non un regalo di nozze, quanto piuttosto un lascito in punto di morte. Per altri ancora invece, il dipinto fu voluto da Federico per rievocare la figura dell’amatissima moglie Battista Sforza dopo la sua scomparsa. Secondo questa tesi, autorevolmente sostenuta da Maria Grazia Ciardi Duprè dal Poggetto, il luogo dove Piero della Francesca ha collocato la Madonna di Senigallia nel dipinto è il Palazzo di Gubbio, dimora prediletta di Battista Sforza, come dimostrato dalle travature lignee della stanza retrostante. Alcuni elementi iconografici confermerebbero quest’idea di lutto del dipinto, come un presagio della Passione e morte di Cristo (il lenzuolo funebre che riveste il Bambino, le bende funebri piegate nella cesta, il candelabro nella parasta). Nel dipinto la Madonna tiene in braccio il bambino in un’atmosfera di estremo raccoglimento. Dietro, sugli scaffali, un contenitore e una cesta: il primo dovrebbe contenere delle ostie e quindi alludere al sacrificio eucaristico; la seconda dovrebbe alludere alla purezza ed al ruolo salvifico della Madonna che accoglie nel suo grembo Gesù come la cesta accolse Mosè. Intima e quasi domestica è l’atmosfera di questo interno di una casa quattrocentesca.

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L’opera è comunque un tassello di fondamentale importanza per ricostruire le vicende artistiche del suo autore, poiché attesta un momento di sperimentazione che ha determinato il passaggio dalla pittura a tempera a quella ad olio, su ispirazione dei pittori fiamminghi come Jan Van Eyck, all’epoca noti nelle corti di Ferrara, poi ad Urbino. Fu infatti la pittura fiamminga a portare in Italia l’uso della pittura ad olio, offrendo la possibilità di un controllo più raffinato della luce. Piero della Francesca costruisce dunque le immagini con il colore e costruisce il colore con la luce. L’ora delle sue meditazioni pittoriche è il mezzogiorno, quando la luce zenitale cancella le ombre della terra. “Sembrano, in Piero, i colori nascere per la prima volta come elementi di un’invenzione del mondo”. Così il grande critico d’arte Roberto Longhi provava a spiegare quel senso della luce che resta uno degli aspetti più affascinanti dell’esperienza artistica di Piero della Francesca. La prima lezione in questo senso, il Maestro di San sepolcro la apprese durante il suo soggiorno a Firenze, assimilando la grande lezione di Domenico Veneziano: una pittura luminosa, chiara, tersa che costruisce le figure nella luce. Una luce diffusa che nasce dall’impasto cromatico del colore. Non sovrapposta, ma armoniosamente integrata al disegno. Quella della “Madonna di Senigallia” è tanto più affascinante perché unica e quotidiana, come fa notare il direttore del Musei Vaticani, Antonio Paolucci: “Non la luce primaverile che scalda i cavalli di Costantino caracollanti sul greto del Tevere o che riempie di quieto splendore il “Battesimo di Cristo” della National Gallery di Londra, non la luce artificiale dei notturni miracolosi, né quella grigia e rosata dell’alba della Resurrezione nell’affresco di Borgo San Sepolcro. Quella della Madonna di Senigallia è la luce sommessa obliqua di un giorno qualsiasi; quella luce che, filtrando attraverso i vetri della finestra sulla sinistra, svela un interno di casa signorile ma non sfarzosa, dove una giovanissima Madonna assistita da due angeli adolescenti presenta, con gravità dolcemente triste e come offuscata da presagi, il suo malinconico bambino”.

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Per tre settimane la Madonna sarà posizionata in un ambiente assolutamente coerente dal punto di vista culturale, come quello del piano nobile della Rocca Roveresca. La valenza architettonica dello spazio espositivo allude infatti all’ambiente in cui nacque l’opera e regala al visitatore una suggestione ulteriore. Si tratta infatti di una architettura difensiva di grande fascino per la stratificazione storica dall’età romana al suo completamento nel 1480 da Baccio Pontelli con l’influenza di Luciano Laurana, oggi riconvertita in altrettanto affascinante spazio espositivo. È ubicata in posizione strategica al confine tra l’elegante cuore della città, Piazza del Duca, e il versante che si orienta all’accoglienza verso l’Adriatico, la stazione e le strutture ricettive sulla spiaggia. Il percorso espositivo ambientato alla Rocca organizzato attraverso stanze tematiche, permetterà al visitatore di raccogliere molteplici elementi e chiavi di lettura prima di arrivare all’incontro con l’opera. E’ insomma un avvicinamento graduale, un disvelamento carico di emozione, in modo da fare esperienza di tutta la magia e la poesia contenuti in questo capolavoro di Piero della Francesca.

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Il piccolo dipinto è anche stato protagonista di rocambolesche vicende di furti e trafugamenti, o anche di semplici trasferimenti “forzosi”. Era il 1873 quando, ancora conservata nella chiesa delle Grazie di Senigallia, l’opera venne trafugata da Antonio Bincio di Jesi e dal senigalliese Antonio Pesaresi e nascosta in un baule con doppio fondo, per essere consegnata a un collezionista inglese. Il baule fu invece poi casualmente ritrovato alla stazione Termini di Roma poco prima di essere spedito. In seguito, pochi giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, l’opera venne prelevata dalla Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino dove si trovava, per essere messa al sicuro nella Rocca di Sassocorvaro insieme ad altre decine di capolavori raccolti nei musei e nelle pinacoteche di tutta Italia. Il “salvataggio”, coordinato dal professor Pasquale Rotondi, all’epoca Soprintendente ai beni culturali di Urbino, è stato raccontato in un interessante docu-film prodotto dalla Rai. L’ultimo clamoroso episodio che appassionò l’opinione pubblica tanto da costruire ipotesi di matrice terroristica, fu la sparizione del 6 febbraio 1975. Il furto riguardò, oltre alla “Madonna di Senigallia”, anche la “Flagellazione” e “La Muta” di Raffaello. Questi capolavori assoluti vennero poi ritrovati nel marzo del 1976 a Locarno.

Rocca Roveresca

 LA LUCE E IL MISTERO: LA MADONNA DI SENIGALLIA NELLA SUA CITTA’

Il Capolavoro di Piero della Francesca dopo il restauro

18 giugno – 10 luglio 2011

tutti i giorni, con orario continuato dalle 8 e 30 alle 19 e 30.

www.madonnadisenigallia.it

L’evento “La luce e il mistero – La Madonna di Senigallia nella sua città. Il capolavoro di Piero della Francesca dopo il restauro” è organizzato e promosso dal Comune di Senigallia in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali: Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Marche, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici delle Marche, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, con il patrocinio di Senato della Repubblica, Regione Marche e Provincia di Ancona, e grazie alla collaborazione di Fiorini Industria Packaging, Banca Marche, Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi. Partner tecnico 3D allestimenti. La parte scientifica e il catalogo della mostra, che comprende diversi contributi critici tra cui quello del direttore dei Musei Vaticani Prof. Antonio Paolucci, sono curati da Gabriele Barucca (Soprintendenza di Urbino) e Marinella Bonvini Mazzanti.

 


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