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Piers Faccini: le Sfumature di Una Melodia

Creato il 23 febbraio 2012 da Postscriptum

Piers Faccini: le Sfumature di Una Melodia

Inghilterra, Italia e Francia. Sono questi i territori da cui germoglia idealmente il pensiero di Piers Faccini. Un artista dalla voce e dal temperamento misterioso e affascinante, di madre inglese e padre italiano, vive in Francia dall’età di cinque anni, ma si esibisce per la prima volta a Londra, con il gruppo Charley Marlowe.

Sarà anche per questo, ma naturalmente anche per tutta una serie di motivazioni a noi sconosciute, che nella sua musica è possibile avvertire uno sprigionarsi di suoni provenienti da ogni luogo, una mescolanza che sembra prendere la forma di un puzzle.

La cura nei dettagli diventa essenziale, rendendo prezioso ogni componimento.

Come in un onirico viaggio, Piers Faccini passa dalle immancabili influenze nordamericane – del Delta del Mississippi (tanto care ai bluesmen e ai folk-singers) soprattutto presenti nei suoi primi album – alle melodie africane, etnici rimandi che si avvertono nel suo ultimo lavoro, My Wilderness.

Si tratta di sonorità più marcatamente mediterranee, vicine all’ambito della world-music.

Faccini si serve delle note per poter ricreare quel miscuglio di nazionalità che scorre nel suo sangue, poter metter ordine nei suoi pensieri di artista e pittore (sì, Faccini dipinge pure!).

Le note diventano simboli, metafore di esistenza.

Una gran fantasia che ha bisogno di esternarsi, non soltanto con la tavolozza, ma anche per mezzo delle sfumature e dei colori che ogni strumento musicale sa produrre. Oltre a cantare, Faccini suona anche chitarra, harmonium, dulcimer e pianoforte.

Ma per ricreare le atmosfere da lui desiderate si avvale della collaborazione di Jules Bikoko al basso, Vincent Segal (che nel2009 hacollaborato con Sting nell’album “If on a Winter’Night…” ) al violoncello, Simone Prattico alla batteria e alle percussioni, Ibrahim Maalouf alla tromba, Rodrigo D’Erasmo (degli Afterhours) e Mauro Durante ai violini.

Anche da queste partecipazioni si nota la piacevole contaminazione del folk con strumenti che lo arricchiscono e lo rendono più colorato, come se questo genere provasse ad immergersi nell’azzurro delle onde mediterranee.

 

Il lato creativo del pittore Faccini, che sa bene come non annoiare l’ascoltatore, emerge e  ammalia con quel tocco cromatico di discontinuità che in musica si può tradurre in un cambio di ritmo, nell’ingresso di un nuovo strumento musicale oppure nella scelta di una nuova sonorità.

Tutta la classe del songwriting si sprigiona dagli archi di “No Reply”, accarezzata dal sussurro della sua voce, come un venticello che sfiora delicatamente alberi e foglie, fino a che non si imbatte nella malinconica tromba di “The Beggar & the Thief”, allo scopo di riportarci, grazie alla sua atmosfera, alle radici paterne di Piers.

Il ritorno all’amato folk di “That cry”, alla chiave più intimista di “Say but don’t say” e “My wilderness” (con un ricercato ricamo acustico della chitarra) svelano questo sound che da sempre fa parte del bagaglio dell’artista e che neanche stavolta viene trascurato.

Piers Faccini: le Sfumature di Una Melodia

La sua voce fragile e aristocratica nasconde sempre un’inquietudine di fondo, un tormento interiore che è ben evidenziato da “Strange is the man”. Una dolcezza infinita si libera da questo paesaggio creato per la riflessione e la meditazione; su di esso cala la notte con la ritmata “Dreamer”. Non a caso sembra di ritrovarsi in Africa, sembra di aver rivolto lo sguardo ad Oriente, grazie all’uso dell’arabeggiante tromba e all’andamento sinuoso da “Mille e una notte”.

Il ritmo caldo ed etnico contamina anche “Tribe”, caratterizzata da sonorità afro e con uno stile che nel canto e nel gusto per il blues  mi ricorda Ben Harper (con cui Faccini ha collaborato per la stesura del suo album “Tearing sky”).

Lo stacco melodico e in contro-tempi di “And still the calling” introducono l’elemento quasi impercettibile di ornatura e discontinuità di cui si parlava poco prima.

Il pianoforte di “The branches grow” ci culla tessendo una sottile trama d’incanto, in cui i violini aprono le porte di un sogno ad occhi aperti.

Suggestioni quasi mistiche ed un profumo esotico e sensuale si intrufolano in “Three times betrayed”.

Su un tappeto nostalgico intessuto con armonica pulizia, volano suoni morbidi e pieni.

Il mosaico di colori tenui e sfumature leggere della voce interagisce con lo stile policromo degli arrangiamenti.

Si intrecciano in un dipinto visionario ed evanescente, ma allo stesso tempo irresistibilmente raffinato ed elegante.

La classe di questo artista delizia l’ascoltatore che ne assapora pienamente l’ecletticità…


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