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Pietà: la Disperazione della Vendetta

Creato il 24 settembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Pietà: la Disperazione della Vendetta

La pietas per i romani indicava quella qualità secondo cui chi ne era in possesso, aveva radicato forte in sé quel senso di giustizia, rispetto e dovere morale nei confronti della patria, della famiglia e dei propri figli, anche se questo avrebbe potuto comportare molto dolore e un enorme sacrificio. E di dolore e sacrificio non è affatto esente “Pietà”, ultima fatica di Kim Ki-duk, vincitore del Leone d’Oro alla 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, che torna nelle sale con una storia potente e spietata, al limite della crudeltà. Il 18° lungometraggio del regista coreano racconta la dolorosa parabola, che è al contempo conversione, di Kang-Do, un cinico usuraio senza scrupoli che, solo al mondo – e quindi senza niente da perdere – vive con distacco gli intimi drammi familiari di quelle persone che per sopravvivere hanno contratto debiti che non possono saldare, non mostrando nei loro confronti un minimo cenno di umanità. Ma il cambiamento non tarderà ad arrivare quando nella sua vita entra Mi-Son (interpretata da una superba Cho Min-soo) che, attraverso un terribile percorso di redenzione e perdono, diventerà elemento vitale dell’esistenza dello strozzino. La pellicola mostra senza filtri il dolore della perdita che si tramuta in atroce vendetta, e del dovere morale di cercare consolazione e giustizia con la morte dell’anima più che del corpo. “Pietà” prima è uno schiaffo forte sulla guancia, quello che ti stordisce per una decina di minuti, dopo diventa un pugno allo stomaco ben assestato che riproduce un dolore quasi fisico nello spettatore. In ogni singolo fotogramma ci si sente straniti di fronte alla crudezza dei gesti e alla totale mancanza di empatia, conseguenze di una solitudine profonda e tutta personale.

una immagine di Cho Min soo 620x348 su Pietà: la Disperazione della Vendetta

Kim Ki-duk evidenzia con la solita ricercatezza visiva, il potere demoniaco e distruttore del dio denaro che inganna e uccide, mortifica e isola. Il regista non riesce a trovare pietà in tanta desolazione, solo disprezzo e miseria. Tutto questo si rintraccia nello sguardo impenetrabile di un anaffettivo Kang-Do che di fronte alla disperazione resta imperturbabile, o anche nel paesaggio, un chiaro manifesto di come il capitalismo abbia devastato piuttosto che costruito. La macchina da presa percorre delle luride e squallide strade di Cheonggyecheon, quartiere povero di Seoul, popolato da un ammasso di officine di poveri artigiani disperati, prede preferite di sadici approfittatori. Emblematico risulta poi il dialogo tra i due protagonisti, in cui ci si interroga proprio sul denaro e sulle sue nefaste conseguenze: «Cosa sono i soldi? L’inizio e la fine di tutte le cose: amore, onore, rabbia, violenza, odio, gelosia, vendetta».

Ma se con la vendetta si spera di trovare soddisfazione, alla fine del film, anche questa certezza si infrange al suolo. Kim Ki-duk ci mostra dunque, in modo eccessivamente estremo, un quadro desolante della realtà, dei rapporti umani e della capacità di provare misericordia nei confronti dell’altro. Una pellicola che riesce a emozionare, sconvolgere ma anche disturbare, non tanto per la riflessione estrema che viene proposta o per la scelta stilistica di narrarla, che risulta comunque meno raffinata di altri suoi lavori precedenti, quanto piuttosto per alcune imperfezioni nella scrittura che, in alcune scene, rendono la situazione troppo scontata e al limite dell’assurdo. Nonostante tutto però, “Pietà” resta comunque un bel ritorno di un cineasta di cui si sentiva la mancanza e il trionfo a Venezia rappresenta di certo una speranza per l’avvenire.

una immagine di Pietà 2012 di Kim Ki duk 620x886 su Pietà: la Disperazione della Vendetta


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