Firenze – Ponte Vecchio – immagine tratta da “Firenze e la Toscana” di Eugenio Müntz, Fratelli Treves Editori, 1899
Se avessi centomila lire di rendita ! Ho letto mille volte, nei libri di morale, che l’oro, il vile metallo, non ha mai fatto la felicità di nessuno ; ma, chi lo sa… mi pare che se avessi centomila lire di rendita saprei sopportare con molta forza d’ animo la sventura d’ andare ogni sei mesi a riscuotere cinquantamila lire.
Non mi sentirei felice per l’ oro — tanto più che mi rassegnerei a pigliarle in carta, alla pari — ma l’idea che quella bagattella potrebbe aiutarmi a pagare la pigione al padrone di casa, mi sarebbe di gran conforto nel mio dolore. Son pieno zeppo d’ amor del prossimo, io. Ancora un altro po’ e do di fuori.
A ogni modo son contento di finir l’anno con questi sentimenti cristiani nella coscienza. È la sola cosa che ho potuto metter da parte nei dodici mesi passati. Mio Dio, ripeterò stasera andando a letto, fatemi diventare ricco sfondato unicamente per amore del mio padrone di casa !
A buon conto se fossi ricco sfondato…. e a rigore potrei anche fare a meno dello sfondato — non bisogna desiderar troppo a questo mondo — non mi troverei nell’imbarazzo per comprare un regalo a modo mio nell’occasione del Capo d’ anno. Entrerei qui da Marchesini, invece di restar fuori colle mani in tasca a contemplare la vetrina, e mi empirei le tasche di gioielli come uno Schah di Persia in diminutivo.
Vedete là che profusione di brillanti, in collane, in gocciole, in solitari, legati, sciolti, incastonati nell’oro, nel diaspro, nello smalto, ficcati tra le perle, tra le turchine, tra i lapislazzuli ! Che spirito hanno quelle pietre preziose ! Vorrei un po’ sapere perché mai il Signore Iddio dà tanto spirito ai brillanti, e ne dà così poco agli scrittori ! Tutto è mistero nelle vie della Provvidenza ! Un’ altra cosa che non son mai riuscito a spiegare è il perchè si paghi tanti quattrini un brillante che abbia una bell’acqua…. e una botte d’ acqua chiara non basti a pagare un brillante grosso appena appena come un uovo !
Comunque sia, bisogna staccarsi da questa vetrina, e dire addio agli anelli gemmati, ai braccialetti cesellati artisticamente e rifulgenti di smeraldi, di rubini e di zaffiri, ai pendenti foggiati in mille bizzarre forme, agli spilloni eleganti, alle fibule geminate, ai nielli, alle pietre scolpite, ai cammei, ai mosaici, ai coralli. Cotesta non è roba per me…. è roba da principi, da sovrani…. o da assuntori di prestiti a premi.
Cerchiamo un po’ più in là. Diamo un’ occhiata al magazzino di Bellom Segre e Compagni. Ah ! che bosco…. di fronde ricamate, di piante di seta floscia rampicanti sul tulle, di ramoscelli di soutache piantati nel cachemire, di arbusti fioriti stampati sul velluto, di palme variopinte tessute sugli scialli delle Indie ! Che magnificenza ! Quest’ anno la moda impone alle povere donne il casacchino colle falde, la sottana brochée, la traine di faye a righe di velluto, la trina di Bruxelles o di Chantilly alta mezzo braccio…. molto alta…. troppo alta per i nove decimi delle borse. La mia entra nell’ ultimo decimo, quello che mette lo zero in tutte le cifre. Se entrassi lì dentro coi quattro soldi di cui posso disporre, potrei serbare per poco l’illusione d’ andarci a cercare un vestito; sarebbe più facile che ne uscissi spogliato. E la decenza ?!
Facciamo un giro dall’ altra parte e andiamo a fermarci un momento davanti alle vetrine di Janetti. Hanno a dire quel che vogliono, ma Janetti è qualche cosa più che un negoziante, è un artista. Tutto quel che compra, ha l’impronta del buon gusto, dell’ originalità, dell’ eleganza ; tutto quel che vende, ha il pregio della perfezione, della novità, della singolarità. Provatevi a cercare in un altro magazzino la più piccola, la più insignificante delle curiosità messe in mostra da Janetti, e cascherete nel volgare, nel dozzinale, nel comune, nell’imitazione dell’imitazione.
Nelle vetrine di Janetti il cuoio si piega a tutti gli usi, e cospira col velluto, col raso, coll’argento e coll’oro a mettere insieme mille gingilli in cui tutto quel che è superfluo piglia subito aspetto di necessario. Che il Signore Iddio misericordioso mi perdoni il calembourg, e mi liberi dagli unghiati artigli dei mostriciattoli chinesi e giapponesi che mi fanno le boccaccie da tutti i canti. Vade retro, Satana! Mi sento la tentazione di sacrificare agl’idoli di bronzo che emigrarono in folla dai templi di Budda per venire a pigliar domicilio nel magazzino di piazza San Gaetano. Oh ! so fossi un bonzo venerabile, un fakiro inspirato, nutrito, senz’obbligo di durar fatica, dalla pietà delle belle fanciulle dai piedi abbreviati, e occupato solamente a contemplarmi l’ombilico per tredici lune ogni anno!
Come vorrei vestirmi di quelle splendide stoffe tessute di seta e d’ oro, piene di fiori di loto, di code di dragoni, di farfalle svolazzanti, di serpenti legati in cento spire capricciose…. come vorrei farmi fresco in estate con quei leggieri ventagli di sandalo, traforati come una trina, gremiti sulle stecche d’ avorio d’ un brulichio d’ insetti di lacca e d’ un formicolaio di figurine!
Ohimè…. non sono un bonzo, non sono un fakiro,… sono un autore spicciolo e vagabondo in cerca d’ un regalo per Capo d’ anno ! I miei mezzi ( ah ! sono anco meno di mezzi ! ) mi permettono tutt’ al più il regalo del principe di Joinville, cui la sorella chiese in dono un bel giorno un vestiario completo da regina selvaggia.
La mattina di poi il Principe trasse fuori di tasca una collana di chicchi di vetro mescolati con qualche granello di formentone. Era bizzarra, strana, originale…. la Principessa la prese, l’ammirò…. e domandò il resto.
” Come il resto ? ” richiese Sua Altezza.
” Ma…. il resto del vestiario ! “
” Non c’ è resto…. il vestiario d’ una regina selvaggia è tutto lì ! “
Vi lascio pensare come rimase la Principessa !
( Ferrigni F.L.C., brano tratto da “Su e giù per Firenze”, 1881 )
Firenze – Confraternita della Misericordia