“Pietro Mura era ramaio e grande poeta… ma scriveva in una lingua “minore” e le storie della letteratura non hanno posto per lui. Solo Pasolini se ne occupò e Giacinto Spagnoletti gli dedica poche righe nella sua “Storia della Letteratura Italiana del Novecento”… Andrebbe annoverato tra i maggiori del Secolo Breve.”
ERO OPERAIO DI LUCE SOLARE
“E adesso, Dio del cielo a chi intono
quest’ultimo canto canuto?
A finestre spalancate
al tempo nuovo promesso
alla Sardegna
balcone di mari e di cieli?
Il vento mi sussurra voci.
Ora ricordo:
un fiore rosso
una melagrana spaccata
una tempesta di luce
quel paiolo di rame luccicante!
Ero operaio di luce di sole
ora sono un oscuro artigiano di versi
che corre un’odissea di rime nuove
che mi rendano il suono
dei paioli ramati,
campane rilucenti stampi
conche e grecaniche impronte.
Ogni colpo di martello mi accendeva un sole
e il tintinnio
di una musica di fiamme
mi gonfiava il cuore
e mi riempiva gli occhi
d’un mare di stelle
Fabbro di fresche canzoni
cammino a tempo di luce
cogliendo i fiori migliori
in questo po’ di giorno che mi avanza
pronto a varcare
il nuraghe dell’ombra.
Così forse il sole
in questo giorno di cielo,
è venuto a congiungere
i fiori dell’oleandro
con le bacche rossobrune del corbezzolo”
(Pietro Mura – Traduzione dal sardo)
Francesco Ciusa “La madre dell’ucciso”Questo capolavoro fece scalpore e fu premiato alla Biennale di Venezia nel 1907. Mai ho visto un’immagine che meglio di quest’opera di straordinaria potenza rappresenti ciò che si definisce “RIMANERE PIETRIFICATI DAL DOLORE”.
L’HANNO UCCISO MENTRE CANTAVA
“Cantava e l’hanno ucciso
col canto sulle labbra. E me l’hanno trovato
nel sentiero di pietra occhi al cielo
con il fiore della morte
in fronte spalancato.
E’ rimasto solo col freddo
con la malasorte;
col vento che gli morde i capelli
e in alto, testimone, la luna
quando le pietre dormono
si siede a raccontare in gran segreto
a stelle e nuvole
come l’hanno ucciso.
E’ caduto senza sapere
d’aver vissuto
senza sapere di morire;
cantava e l’hanno ucciso
col canto sulle labbra.
(Pietro Mura – Traduzione dal sardo)
Federico Bernardini