di Antonino Scaglione
Il-Procuratore-della-Repubblica Pietro Scaglione
Scaglione, che ha segnato l’inizio del martirologio nella magistratura italiana, fu ucciso, con Antonio Lorusso, alle ore 10.55 del 5 maggio del 1971 in via Cipressi a Palermo, nel corso di un agguato mafioso, dopo la consueta visita nel cimitero dei Cappuccini, dove era sepolta la moglie.
Pietro Scaglione, come è stato scritto anche in diverse sentenze, fu un “magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore spietato della mafia” e “tutta la verità è emersa a positivo conforto della figura del magistrato ucciso”, sia per quanto concerne la sua attività istituzionale, sia in relazione alla sua vita privata.
Purtroppo – ribadiamo ancora una volta con profonda amarezza – le indagini dell’Autorità giudiziaria di Genova, svolte per un ventennio, non hanno consentito di condannare gli autori dell’efferato crimine. E’ stato però accertato che i possibili moventi del delitto sono in ogni caso da ricollegare all’attività svolta “in modo specchiato” e inflessibile dal magistrato, soprattutto nella repressione della mafia.
Nella sua lunga carriera di giudice e, soprattutto, di pubblico ministero, iniziata nel 1928, Pietro Scaglione si occupò, infatti, di gravi episodi di mafia e dei misteri siciliani, dal banditismo del dopo guerra agli assassini dei sindacalisti (come Salvatore Carnevale), fino ai delitti mafiosi degli anni Sessanta e Settanta.
Dopo la strage mafiosa di Ciaculli del 1963, grazie soprattutto alle inchieste condotte dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura della Repubblica (diretta da Pietro Scaglione) “le organizzazioni mafiose furono scardinate e disperse” come si legge nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976.
In particolare, il magistrato Scaglione, prima come Sostituto procuratore generale presso la Corte di appello e poi come Procuratore capo della Repubblica fu un accusatore implacabile, come risulta dagli atti giudiziari e dalle dichiarazioni dei principali collaboratori di giustizia, di Luciano Leggio e di tutti gli affiliati alla cosca mafiosa di Corleone, dirigendo personalmente nel 1966, per la prima volta, un’operazione di polizia, a livello internazionale, nei confronti degli stessi (G. Fava,Tutti gli uomini di Liggio e Navarra arrestati, in Il Tempo del 26 aprile 1966, p. 57).
L'assassinio di Pietro Scaglione in via dei Cipressi a Palermo
Il Procuratore Pietro Scaglione, inoltre, “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la “linea” Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, nel 1969-1970, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”. Infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori (vedasi quelli contro Salvo Lima, Vito Ciancimino, ex assessori comunali e provinciali) hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del procuratore capo della Repubblica” (M. Francese, Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
In questo contesto, come affermò Paolo Borsellino (in La Sicilia, 2 febbraio 1987, p.10) – “la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolate, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione [….]“. A partire dall’omicidio del procuratore Scaglione, infatti, la “costante di ogni delitto eccellente” della mafia consisterà nel fatto che “prima, oppure dopo il tritolo o il piombo, scatta sempre un’opera di delegittimazione” in modo da indebolire la figura della personalità uccisa (S. Palazzolo, I pezzi mancanti. Viaggio nei misteri della mafia, Bari, Laterza, 2010, p. 164 s.).
L’uccisione del procuratore Scaglione – come scrisse a sua volta Giovanni Falcone (nel libro postumo ndc Interventi e proposte, Sansoni, 1994, p. 310) – ebbe sicuramente “lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino”.
Il Procuratore Scaglione svolse anche, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro. Infine, con Decreto dello stesso Ministero della Giustizia del 1991, previo parere del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione è stato riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”