Imbocco l’uscita 15, con la consueta nonchalance, inserisco la quarta e arrivo a tutta velocità al semaforo rosso. Una vigilessa all’incrocio mi fa segno di fermarmi. Accelero, lei capirà. Passo sopra il cavalcavia che costeggia la tangenziale est e mi dirigo a tutta birra verso il segnalatore di velocità gay friendly: faccia da duro, mascelle serrate e me la scampo anche stavolta. Mancano mille metri ai prossimi mille quindi rallento un po’, c’è tempo. La salita non mi spaventa minimamente e giro a u. Lei è lì, come ogni mattina. La pompa, Agip. Ditemi quello che volete ma io sono tradizionalista nello scegliere, Q8 fa prezzi più bassi? Me ne fotto, il caffè è più buono. Entro e il barista, amico di decine di bevute di patatine fritte, mi si rivolge con la solita domanda del mattino: “Allora, hai poi deciso se prenderti una macchina”.
Ero in autostrada quando vidi un adesivo sul portabagagli dell’auto di fronte a me. Non riuscivo a leggerlo, per cui accelerai. Purtroppo nel medesimo istante l’auto davanti a me frenò improvvisamente. Fu così che uccisi un bebè a bordo.
Se c’è una cosa che non sopporto sono le macchine con l’adesivo “Bebè a bordo”. Prima di tutto, devo ancora trovarlo quello che rallenta o mantiene la distanza di sicurezza influenzato da questo messaggio. Seconda cosa, nel 99% dei casi non c’è nessun fottutissimo bebè a bordo della carriola che mi rallenta. Cristo santo, non possono giocare con la mia sensibilità, io devo sapere se ho tamponato l’ennesimo coglione che frena ogni cento metri senza motivo, oppure se ho incastrato nel vano portaoggetti un innocente pargoletto con la tutina di Winnie the Pooh sporca di vomito. Devo saperlo, la mia coscienza lo reclama. Devo saperlo, se accostare oppure no.
Inoltre sono troppo generici questi adesivi: se un bambino fosse malato di leucemia, magari potrei evitare di rallentare: il danno non sarebbe poi tanto grande. Oppure magari quel bambino potrebbe diventare uno stupratore pedofilo, e allora potrei rimpiangere per tutta la vita di non aver tamponato quell’auto.
Infine, e se il bebè a bordo fosse diversamente abile, perché rallentare?
(Perché ci denunciano)
“Attenzione, bimbo a bordo”? Ma basterebbe togliergli il volante.
Io proverei con “Cura per il cancro a bordo”: lì ci penserei due volte.
“Cintura nera di kung fu al volante”, “Mafioso al volante”, queste sì che sono diciture che mi farebbero stare più attento.
Potrei farlo, se quell’adesivo dicesse “Rottweiler a bordo”: quello potrebbe intimorirmi.
Se poi vuoi essere davvero cattivo e incutere timore puoi fare come me e attaccare un adesivo con su scritto “Felipe Massa a bordo”.
Una volta invece l’auto che mi precedeva aveva sul lunotto posteriore un adesivo con una scritta piccolissima. Cazzo, ero troppo curioso e mi sono avvicinato, sempre di più, sempre di più. Ho tamponato. Quindi ho letto l’adesivo, che diceva: “Adesso paghi”.
Un tempo non c’erano gli adesivi, ma le medagliette da calamitare al cruscotto della Cinquecento: “Non correre, pensa a me” (correre, su un’auto che già agli 80 vibrava come una vecchia col Parkinson a Mirandola, era quasi una presa in giro). Oggi, invece, si mettono in guardia quelli dietro di noi. “Bimbo a bordo”, “Liutprando a bordo”, “Figa stellare a bordo”. Si ha più paura della guida degli altri che della propria. Si ha paura che quella Fabia dietro di te improvvisamente voglia testare il bagagliaio della tua Passat SW , o che quella Passat SW voglia inchiappettarsi la tua Fabia (tra cugini si può, non c’è cosa più divina). E allora, se non ti fidi di quelli che ti stanno dietro, dai una bella sgommata, accelera a tavoletta e toglitelo dal culo. E, se l’auto davanti ha pure lei quell’adesivo, vai di clacson. Evidentemente a loro non importa salvare la pellaccia, oppure l’adesivo è vecchio e quel bebè ora è lui stesso alla guida; oppure il guidatore è il solito vecchio col cappello che viaggia con l’amica suora su una Tata Indica. E per quello deve morire. Per la Tata.
Che poi, a pensarci bene, quel “non correre: pensa a me” un senso l’aveva. Per quale motivo dovrei scapicollarmi a rincasare da una moglie che brontola finché non mi metto le pattine, un figlio che manco mi caga perché ci sono i Fantagenitori su K2, una figlia che strilla più forte della Mussolini con le coliche, e un’amante che proprio in questi giorni è mestruata? Ma figurati se corro. Anzi, guarda, mi fermo all’Autogrill, mi è venuta voglia di un Camogli. Scendo, occhiali da sole e carta di credito, e in quell’istante un SUV mi investe. Ha ragione lui. Già non ero più a bordo.
Che poi dicono che quelle pericolose al volante sono le donne, mentre io parcheggio in due manovre: metto in folle e lascio il volante qualcun altro.
- Mi chiamo Sarah e in autostrada mi piace guidare nella corsia di centro. Non amo spostarmi per superare i camion che viaggiano a destra – freccia, specchio laterale sinistro, retrovisore, cazzomisonosbavatailrossetto, laterale destro, ancora sinistro, poi uscire e accelerare e alla fine il rientro lungo specchio laterale destro, retrovisore, laterale sinistro, di nuovo destro – quindi sto lì in mezzo tranquilla, alla velocità costante di 85 km/h, che è quella che sta meglio col tacco 7. Mi diverte dare una piccola accelerata soltanto quando vedo un’auto che tenta di passarmi a sinistra e correggo quasi inconsapevolmente la posizione delle ruote, se qualcuno cerca di passarmi a destra, come a fargli intendere che sì, un attimo, sto rientrando, e invece poi niente: resto lì a cavallo. E sono ormai due settimane che mi tengo sulla destra.
- Salutiamo tutti Sarah: ciao, Sarah. Grazie per averci raccontato la tua storia, ecco la tua medaglietta delle due settimane. Un bell’applauso a Sarah, brava. E ora chi vuole essere il prossimo?