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Pillole filosofico-letterarie: il novecento.

Creato il 13 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
NataliaGinzburgdi Ivana Vaccaroni. C’è la tendenza a definire il Novecento un secolo “breve”, in quanto molto si è fatto in poco tempo.
Cento anni sembrano un tempo relativamente scarso a chi consideri tutto ciò cui abbiamo assistito nei vari campi della cultura.

All’inizio del secolo scorso si vanno approfondendo le divisioni prodotte all’interno del sistema culturale tradizionale dallo sviluppo urbano e industriale, mentre si acuisce la ribellione nei confronti delle idee positivistiche.

La cultura europea denuncia una fase di crisi, la società moderna è preda di spinte differenti e poco chiare: tutto ciò provoca angoscia e senso di profondo smarrimento. Gli intellettuali son convinti di aver perso qualcosa di fondamentale, ma non hanno ben chiaro di cosa si tratti.

Una vera e propria rivoluzione si avrà con Marx e Nietzsche prima, i quali spostano l’attenzione dall’oggetto conosciuto sul soggetto conoscente e poi con Freud, Bergson e Einstein i quali, con le loro teorie, apriranno la terza via della conoscenza, quella che aveva alla base non più la ragione o il sentimento, ma l’inconscio.

Freud rivoluziona la conoscenza della psicologia umana e l’autocoscienza dell’io fondando la psicanalisi, Bergson nega che l’idea del tempo abbia una base scientifico-matematica e attribuisce un ruolo fondamentale alla memoria e all’intuizione, Einstein esprime la teoria della relatività ristretta e, in seguito, quella della relatività generale, con le quali darà origine alla fisica moderna, sconvolgendo la concezione assoluta del tempo e dello spazio, facendo però così percepire ancora più profondamente la crisi.

Tutto ciò influenza decisamente le avanguardie artistiche e la letteratura, sia nei temi che per quanto riguarda i modelli da seguire. Sono di questi primi anni i capolavori di Thomas Mann, Marcel Proust, James Joyce, Franz Kafka, Robert Musil.

Anche la poesia dà voce alla frantumazione dell’io, mentre il teatro, con Pirandello, si pone per la prima volta il problema dell’irruzione della storia sulla scena, da cui la nascita del metateatro con “Sei personaggi in cerca d’autore”.

La società viene negando i valori fondamentali dell’arte, prende atto della fine di un’epoca culturale e si afferma in senso fortemente anti-borghese. La cultura non è più elitaria ma aperta alle masse, le quali a questo punto impongono la creazione di nuovi generi o la commistione tra generi differenti.

Anche le manifestazioni teatrali si moltiplicano: si affermano l’opera e l’operetta, le riviste e il cinema diventa il genere più amato e seguito in quanto si definisce come immediato e facilmente comprensibile.

Il fonografo lascia spazio al giradischi, facendo diffondere la musica dappertutto e lasciandone godere una massa sempre più ampia di persone. C’è poi la nascita della radio, che porta nelle case informazioni “in tempo reale”, la televisione, che con immagini e trasmissioni per tutti cambia le relazioni tra cultura scritta e orale. Tutto ciò sarà soppiantato in tempi brevissimi da strumenti sempre più sofisticati e di ridotte dimensioni, che porteranno però l’uomo a isolarsi e godere di momenti di riposo e ricreazione dello spirito in profonda solitudine.

In letteratura cambia anche decisamente il rapporto autore-testo-lettore: il pubblico si fa più esigente, più informato ma ciò non significa più colto.

In tutto questo un ruolo fondamentale viene esercitato dalla pubblicità, vero motore di opinioni, gusti e pareri, dove il denaro spinge a far comperare un prodotto piuttosto che un altro, spesso non badando al prodotto migliore ma semplicemente a quello che è stato “spinto” maggiormente.

Ciò succede anche per i libri, dove alle parole si sostituiscono spesso immagini accattivanti, citazioni famose e tecniche retoriche collaudate ed efficaci.

Ci sono comunque anche lati positivi: oggi abbiamo tutti la possibilità di usufruire di molte informazioni: ciò ha consentito l’accesso alle masse di quegli aspetti dell’arte che altrimenti sarebbero rimasti elitari e sconosciuti ai più. Gli intellettuali, a questo punto, si sono sentiti defraudati di qualcosa che doveva rimanere nelle loro mani, ma la crisi in atto è irreversibile, con il conseguente inarrestabile abbandono di valori tradizionali. C’è la netta convinzione che tutta l’umanità civilizzata subirà un tracollo inevitabile.

Il Novecento è anche il secolo delle donne, che sentono vivo e forte il problema dell’emancipazione: l’accesso al voto come massima espressione del diritto di cittadinanza è un’esigenza in Italia, ma anche in Europa e negli Stati Uniti.

Non è più sufficiente il ruolo di mogli, madri e figlie di patrioti durante le guerre che i maschi combattono in prima persona, ma alla battaglia per la conquista del voto si accompagna la costruzione di una nuova soggettività femminile. Le donne inoltre iniziano a scrivere e ad affermarsi anche in tale campo, come Virginia Wolf, Jane Austen, le sorelle Brönte o, in Italia, la poetessa Ada Negri o la combattiva Maria Montessori.

Per loro il riscatto sarà un’operazione lunga e spesso deludente; soltanto nel secondo dopoguerra, in una situazione di maggiore libertà saranno una voce importante e finalmente riconosciuta. Alba de Cespedes, Elsa Morante, Anna Banti, Natalia Ginzburg sono alcuni dei nomi che parteciperanno al movimento antifascista proprio servendosi dei mezzi di comunicazione di massa. Il loro contributo fu enorme e preziosissimo, anche se non seguito da un adeguato riconoscimento.

Il 2 giugno 1946 esse raggiungeranno la cittadinanza politica con il diritto di voto e ciò ha permesso loro di entrare definitivamente a far parte della storia e della vita del nostro paese.

Featured image, Natalia Levi Ginzburg.

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