Magazine Cinema

pina

Creato il 13 novembre 2011 da Albertogallo

PINA (Germania 2011)

locandina pina

Che sfortuna, noi italiani, noi che il nome Pina, da quarant’anni a questa parte, non può che riportarci alla memoria l’orrida figura della moglie di Fantozzi. Sfortuna relativa, poi, dal momento che i primi due episodi della saga del ragioniere sono due capolavori della comicità e meno male che esistono. Eppure Pina fu anche il nome di una persona di ben altro spessore artistico e intellettuale, Pina Bausch, coreografa tedesca morta nel 2009, principale esponente del Tanztheater (teatro-danza) moderno. A lei è dedicato questo documentario diretto dal suo connazionale, ammiratore e amico Wim Wenders e girato con la tecnica 3D.

Trasuda affetto, da queste immagini, affetto e ammirazione per una figura quasi ieratica che ci viene descritta non solo come un genio della danza, ma anche come una persona intelligente, carismatica, profonda, seria, buona. I ballerini che hanno lavorato con lei nel corso degli anni – artisti provenienti da ogni angolo di mondo – la ricordano con brevi interventi parlati pieni di gratitudine, piccole interviste prive di domande cui seguono spezzoni di spettacoli coreografati da Pina. Ecco, forse il maggiore difetto del film sta proprio in questo schematismo di base, in questa alternanza un po’ statica di parole (spesso banali, c’è da dire) e danza. I balletti, in ogni caso, per quanto difficili da comprendere e amare davvero per chi non abbia almeno una buona dimestichezza con questa forma d’arte così complessa, intellettuale e ben poco immediata, sono molto belli e sorprendenti. Anche perché Wenders evita l’effetto “teatro filmato” ambientando i numeri danzati in luoghi sempre diversi e affascinanti come boschi, incroci di strade trafficate, metropolitane, scale mobili…
Bellissima anche la colonna sonora, con brani originali e musiche di Igor Stravinskij (Le sacre du printemps) e Louis Armstrong (West end blues).

Per quanto riguarda il 3D, tanto sbandierato da diventare persino parte del titolo nella versione italiana (cosa abbastanza squallida), be’, come al solito non mi sembra poi così determinante. Certo, la terza dimensione si fa notare qua e là, ma in generale non credo che il film sarebbe stato meno bello se fosse stato girato con tecniche tradizionali. Eppure, secondo Wikipedia, “nel 1985 Wenders assiste a Café Müller [uno spettacolo della Bausch] e ne rimane immediatamente ammaliato. Da allora nasce non solo una lunga amicizia tra il regista e la coreografa, ma anche l’idea di fare un film insieme. Solamente nel 2007, dopo aver visto il film concerto U2 3D, Wenders capisce che il 3D è la tecnica ideale per trasportare il teatrodanza sullo schermo”. La tridimensionalità è quindi parte integrante del progetto, non solo un facile specchietto per le allodole (e si tratta forse del primo caso in assoluto dopo Avatar, escluso qualche cartone animato), ma rimango comunque convinto del fatto che sia una tecnica ancora troppo poco evoluta per risultare decisiva nella riuscita di un film.

Alberto Gallo



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :