DI PIERFRANCO BRUNI
Una mediterranea malinconia quella di Pino Daniele. Una generazione che si è spezzata in quella archeologia dei linguaggi che riporta tocchi di una radicata cultura popolare. Una cultura che ha ritmi di paesi e popoli, di civiltà e tradizioni, di scavi e di elementi che hanno una magia che è lettura popolare, certamente, come ho già detto, ma hanno bassi e alti, nostalgie e acuti che restano come modelli di un archetipo che è un luogo chiaramente, ma è soprattutto un essere. Ovvero un etnos che si dilata lungo il viaggio di una città metafisica. Questo mediterraneo diffuso, in fondo, ha la voce calda del tempo nel graffio della memoria. Pino Daniele è stato un costruttore di immagini che non si vedono soltanto, ma si sentono, si avvertono, si dilatano nel circuito breve e/o lungo di una vita vissuta per essere raccontata come mosaico di tradizione.
Pino Daniele ha abitato il luogo dell'anima che è l'anima di un mediterraneo diffuso dentro una città. Una città? Un cuore pulsante tra le emozioni e le sensazioni. Già un "cuore"! Attraverso la parola e i suoni ha raccontato l'insieme di etnie diffuse in una civiltà di miti simboli leggende amori mediterranei. Quei suoni restano spazio - parola. Una dimensione che ha segnato la misura della memoria. Proprio da questo punto di vista la lettura è antropologica. Antropologia che è sostanza di un tempo indecifrabile e indefinibile. Ma la sua esistenza musicale è stata sempre un cercare. Oltre i luoghi vissuti e passati. Oltre l'essere nel presente con un canto che resta come un costante cantico.