Esistono diversi tipi di teatro ma la prima differenza è quella tra la rappresentazione tradizionalmente passiva, durante la quale lo spettatore assiste seduto comodamente in poltrona in una situazione di separazione dal palcoscenico e dunque di distacco da quanto succede in scena, anche se le tre unità di azione, ovvero il tempo, il luogo e lo spazio sono le stesse e quindi quello che accade durante la performance è contemporanea al tempo vissuto dallo spettatore.
Di tutt’altro impatto e coinvolgimento emotivo è invece il teatro che potremmo definire “interattivo”, nel senso che opera una interazione tra attore e spettatore, trasformandolo anche lui “attore” in quanto capace di agire e reagire, un teatro che rompe la cosiddetta quarta parete, quella che divide il palcoscenico dalla platea, inghiottendo invece il pubblico e rendendolo partecipe di quanto sta per accadere, trasformando la finzione scenica in un evento reale che accade in quel momento preciso.
Niente distacco, nessun filtro, se l’attore piange, piange anche lo spettatore, se l’attore riceve un calcio o uno schiaffo, anche lo spettatore lo sente realmente. Un teatro dove tutto è vero, il sudore, la fatica, i sentimenti che provano gli attori i quali, anche se supportati dalle tecniche della recitazione e dell’uso del corpo, vivono ogni sera realmente ciò che rappresentano. La finzione esiste solo, come dire, sulla carta ovvero nel testo drammaturgico che vanno a raccontare, anche se esiste sempre un margine di improvvisazione durante il quale l’attore si ispira alle situazioni che si creano sul momento, in base anche alla interazione che riesce ad avere con gli spettatori presenti.
Lo spunto dal quale Stefano Ricci e Gianni Forte, considerati ormai “I Ragazzi terribili” del nuovo teatro italiano ( chi lo direbbe mai, ma sono stati anche la coppia coautrice del celebre serial televisivo “I Cesaroni”), è il teatro dell’assurdo di Harold Pinter, l’attore, regista drammaturgo britannico morto la vigilia di Natale del 2008, le cui prime rappresentazioni furono letteralmente massacrate dai critici. E’ sulla base del teatro di Pinter che Ricci Forte hanno presentato a Milano al Teatro Elfo Puccini, il loro lavoro intitolato “Pinter’s Anatomy”.
Di solito le piece di Pinter, come per esempio le prime intitolate “The Room”, e “The Birthday Party”, cominciano con una situazione solo apparentemente tranquilla, per poi arrivare ad una vera e propria esplosione di situazioni paradossali che passano dalla commedia alla tragedia, dalla calma alla violenza quotidiana. E non a caso Pinter nel 2005, qualche anno prima della sua morte, annunciò che avrebbe smesso di scrivere commedie per dedicarsi alla politica, dopo essere stato dichiaratamente critico sulla guerra in Iraq e aver definito il presidente degli Stati Uniti Bush un "assassino di massa" e Blair un "idiota".
Proprio partendo da una situazione di calma apparente che in “Pinter’Anatomy” un gruppetto di massimo quindici spettatori, viene accompagnato nel sottoscala del Teatro Puccini e viene fatto attendere al di fuori di una porta ornata da una corona natalizia, dietro la quale risuonano le note di una rassicurante canzone di Natale. Una volta aperta la porta, gli spettatori vengono schierati in piedi, uno vicino all’altro con le spalle contro una parete, in una posizione volutamente scomoda, in una stanza lunga e stretta illuminata soltanto da una luce verdastra che ricorda quella di una camera operatoria. La situazione in cui gli spettatori si trovano è decisamente e claustrofobia come sarebbe piaciuto molto allo stesso Pinter e nonostante l’atmosfera natalizia e la calma apparente, la percezione che starà per accadere qualcosa di terribile è forte.
Sul lato destro a pochi metri, tre figure in tuta da lavoro e con il volto coperto da maschere raffiguranti alcuni personaggi dei cartoni animati, ornano l’albero di Natale, i loro gesti sono lenti, e ogni tanto si voltano a fissare gli spettatori con aria inquietante. Di fronte al gruppo di spettatori allineati contro la parete, a pochissimi metri di distanza, un uomo disteso nudo sul lettino di un’ospedale parla al microfono di se stesso, della sua vita, delle sue sensazioni, poi si alza si veste e mentre gli altri personaggi si avvicinano ad alcuni degli spettatori.
A questo punto comincia “l’anatomia”, anche lo spettatore viene “spogliato”, gli si chiede di raccontare di se stesso, di scrivere su un biglietto una data importante, i ricordi di un passato recente.
Lo spettatore è spiazzato, intimidito, pronuncia a stento alcune parole, sottovoce. Poi i quattro personaggi cominciano a raccontare di se stessi, passando dalla gioia al dolore, un uomo e una donna seduti uno vicino all’altro, parlano del loro amore, di come era stato bello quando si erano amati. Poco dopo però il ricordo dei bei momenti si trasforma in accuse reciproche in risentimenti e dall’amore si passa all’odio, le altre due figure che prima erano rimaste in disparte, cominciano a deformare con le loro mani i volti dei due ragazzi, stropicciano i loro visi allargando la bocca, gli occhi, facendoli diventare delle maschere deformi. Dall’amore si passa all’odio, alla violenza, i corpi denudati cominciano a contorcersi, a deformarsi gli uomini lottano tra di loro dandosi calci e pugni mentre il corpo della donna viene macchiato con del colore nero.
Ogni tanto qualcuno di loro fa partire una musica schiacciando il tasto di un vecchio registratore e compie movimenti coreografici interpretando una danza senza senso, dalle movenze che ricordano quelle delle veline televisive.
Scoppi d’ira si alterano a momenti di allegria solo apparente, come quando i quattro personaggi nudi, si infilano dentro sacchi di plastica e simulano una corsa nei sacchi che finisce in un suicidio collettivo quando stremati ormai e senza forze, chiudono i sacchi e decidono di morire asfissiati.
Nessuno spiraglio in una vita dove la felicità è solo un attimo sfuggente e la violenza e il dolore hanno il sopravvento. Dunque nessun applauso. Gli spettatori escono in silenzio salendo scale che sembrano non finire più.
Recensione di Patrizia Binco
visto al Teatro dell'Elfo -Puccini Milano il 20 aprile 2011
ph Andrea Pizzalis