Pippo Inzaghi sente il momento difficile
Con grande soddisfazione personale riceviamo questo contributo di Marco Traverso che ha voluto trasmetterci la sua idea su Pippo Inzaghi. Questo ci da lo spunto per dare il via ad un dibattito che spero sia, come al solito, ricco e fruttuoso. Il mio ringraziamento a Marco che ci ha gratificato enormemente con la sua assidua lettura di questo “buco nero del web” e con l’invio del post che segue. Buona lettura a tutti!
La dignità e la fine
Lo sguardo e le espressioni di Pippo Inzaghi in visita a Milanello sono più chiare di qualsiasi comunicato stampa: salvo miracoli, è finita. Gli abbracci dei compagni, i baci, le carezze dei massaggiatori e dei tecnici sembravano quelle che si vedono sui sagrati delle chiese, ai funerali. E gli occhi pieni di lacrime di Superpippo, le smorfie, lo sguardo vitreo a fissare il ginocchio a testa bassa, appoggiandosi sulle stampelle come un reduce mutilato poco si conciliano con l’ottimismo delle fonti ufficiali.
La situazione è più grave di quella che ci hanno voluto vendere. E il fatto che il nostro non sia ancora stato operato la dice lunga. «Lo staff medico sta valutando la soluzione chirurgica migliore», spiegano da Milan Channel. Che tradotto, significa che non sanno che pesci prendere, o meglio, sanno che hanno una cartuccia ammaccata e non possono permettersi di spararla male. D’altronde non ci vuole un primario ortopedico per capirlo: spaccarsi il crociato a 37 anni significa appendere gli scarpini al chiodo. A rendere ancora più commovente il quadretto, oltre agli occhi di Inzaghi, è l’atteggiamento di chi gli sta intorno, dei giornalisti, dei commentatori, dei tifosi. La parola fine alla carriera del bomber più prolifico in Europa non la sussurra nessuno. La si lascia sottintesa, quasi come la prognosi di un malato di cancro pieno di metastasi. Al quale non si chiede nulla.
Ci si limita ad incoraggiarlo, a sperare. Sperare cosa però? Sarò impopolare ora, mi attirerò i vaffanculi dell’universo mondo rossonero, ma questa cosa la voglio dire senza ipocrisie. Sperare cosa? Che ritorni in campo, magari il prossimo anno, a 38 anni e mezzo e con un ginocchio in meno? Sinceramente credo che lo stesso Inzaghi non si meriterebbe un finale di carriera strascicato, fatto di mezze apparizioni e di brutte figure. Per guarire da un infortunio del genere ci vogliono minimo sei mesi, salvo complicazioni. Molto di più, poi, è il tempo che serve per recuperare la forma, il passo, il ritmo, il feeling. Gli esempi di Gattuso e di Del Piero, tanto per citarne due a caso, insegnano.
Ora mi chiedo: ha senso, per uno con il curriculum di Pippo, uno sforzo del genere per rivedere i campi che contano alla soglia dei 40 anni? Età alla quale gioca ancora qualche portiere, e ancora? Io credo di no. Io credo che sia meglio per tutti, ma soprattutto per lui, restare con negli occhi la fiaba di San Siro, la doppietta al Real di Mourinho. E di mettere nella quarta di copertina del grande libro della carriera di Inzaghi l’immagine della maglia 70 sventolata al cielo del Meazza. Sarebbe crudele e ingiusto vederlo arrancare, magari umiliarsi nel tentare l’impossibile, campando di pietà e di riconoscenza, spaccandosi la schiena per tentare di fermare un tempo che non si ferma, lottando contro la natura e il destino. Perché questa, realisticamente, è la fine che ad oggi si prospetta. Salvo miracoli, appunto.
Marco Traverso