Lo scrittore ne prende coscienza, giungendo alle conseguenze più estreme e rivelando al suo interno la “crisi della ragione”, mentre nella società ciò si identifica con la “crisi di tutta la realtà”.
Le sue convinzioni, in relazione con la sua poetica, evidenziano il contrasto tra ciò che appare, la forma, e ciò che è, cioè la vita.
La realtà, però, è inafferrabile, la vita è sempre in fieri e quindi la volontà esiste soltanto in ciascuno di noi.
Il paradosso del vivere era già emerso nel primo romanzo, L’Esclusa, del 1893, tramite l’incidenza del caso sulla vita e la lotta dell’individuo contro le convenzioni sociali che ne condizionano l’esistenza: la ribellione verso la forma, l’incomunicabilità, l’alienazione, la coscienza di una vita sospesa nel vuoto. Da qui la sconfitta che si palesa attraverso pazzia, suicidio e solitudine, sconfitta totale che travolge l’individuo, i miti e i valori tradizionali.
L’autore più complesso del Novecento nel “Saggio sull’umorismo” del 1908 parte dall’affermazione dell’ ”avvertimento del contrario” per spiegare le differenze fra comicità e umorismo. Egli ricorre all’esempio della vecchia “ritinta”, una signora anziana che, con trucco eccessivo e abiti non adeguati all’età, cerca di nascondere l’aspetto di persona fin troppo matura. Ciò suscita in noi inizialmente ilarità; in un secondo momento, però, se riusciamo ad avvertire il dramma della donna che spera, comportandosi così, di mantenere vivo l’interesse del marito, ingannandosi e nascondendo persino a se stessa la sofferenza della propria condizione, allora la derisione si trasforma in noi nel sentimento della pietà( da cui “sentimento del contrario”).
In questo modo lo scrittore suscita l’umorismo, caratterizzato quindi dallo sdoppiamento delle sensazioni originate da sentimenti opposti.
Oggi “comico” è divenuto simbolo di ciò che fa nascere in noi una risata immediata, spontanea, priva di sovrasensi o cognizioni specifiche e profonde; “ umoristico” invece è ciò che suscita un sorriso che rivela riflessione, ponderatezza e spesso associazione di idee o concetti che vanno al di là della realtà concreta.
La figura di Pirandello, come quella di Svevo, nel panorama culturale del primo Novecento italiano è isolata: egli vive la crisi generale “dall’interno” e non è, come Pascoli o D’Annunzio, protagonista di tale difficile momento generale ma risulta scrittore di opposizione. Egli, infatti, forse ancor più dei Futuristi rappresenta quell’Avanguardia che, nel resto dell’Europa, con nomi diversi (dal Surrealismo all’Espressionismo) seppe esprimere l’angoscia dell’uomo moderno. E l’Avanguardia, nella civiltà decadente, rappresenta il filone più autentico, l’unico capace di conoscere il mondo circostante.
Featured image Luigi Pirandello.