È passato un mese da quando la giapponese Bridgestone ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Bari-Modugno. Nel frattempo, all’altro capo dello stivale, i lavoratori dell’italianissima Pirelli di Bollate lottano contro la cassa integrazione da oltre un anno: “Abbiamo perso il colore della vitalità lavorativa che scaturiva dalla prospettiva di un futuro”. Stiamo parlando di un’azienda italiana considerata virtuosa che conta in Italia meno del 15% dei dipendenti totali, e se il presente è segnato dalla cassa integrazione, il futuro potrebbe essere addirittura peggiore.
Se vi diciamo ‘Pirelli’ a cosa pensate?
Su, coraggio, chiudete gli occhi e diteci cosa vi viene in mente. Forse la prima cosa che vedrete è quella scritta rossa su sfondo giallo, caratterizzata da quella “P” allungata, divenuta ormai l’emblema dei pneumatici da strada. Poi vedrete scorrere davanti a voi una lunga serie d’immagini: macchine e moto che gareggiano nelle piste di tutto il mondo, piloti esultanti che innalzano coppe, scritte che campeggiano ovunque, dalle insegne dei gommisti alle magliette dei calciatori, passando per i bordi degli autodromi. Potremmo andare ancora avanti a descrivervi il filmato evocato dal marchio Pirelli, ne risulterebbe alla fine l’immagine di un gruppo vincente che ha collezionato successi planetari, una punta d’orgoglio del settore industriale italiano, ma in queste poche righe noi vorremmo parlarvi di ciò che avviene nel retroscena di questo spettacolo.
“Da inizio 2012, noi dipendenti della Pirelli di Bollate (circa 370 lavoratori) stiamo conoscendo periodi di cassa integrazione per un totale di 115 giorni, di cui uno di circa 50 giorni consecutivi proprio a cavallo delle feste natalizie. Ciò chiaramente produce una perdita salariale notevole e, anche se il gruppo Pirelli nel solo anno 2012 ha prodotto utili per circa 300 milioni di euro, con un aumento di oltre il 22% rispetto all’anno precedente, per noi non c’è stata nessuna integrazione economica dall’azienda. Non parliamo poi per quei dipendenti che lavorano nel nostro stabilimento senza essere lavoratori Pirelli: operatori di magazzino ed operatrici sala mensa, a cui non spetta nemmeno la cassa integrazione.
La più grande preoccupazione riguarda però il nostro futuro, in questi anni l’azienda ha costruito stabilimenti in paesi dove il costo del lavoro è più basso. Una delocalizzazione a dir poco preoccupante connessa al fatto che per lo stabilimento di Bollate Milano sono stati stanziati pochi fondi, a nostro avviso sufficienti solo alla sopravvivenza del sito. Siamo però al paradosso. Stiamo parlando di una multinazionale italiana, un’azienda considerata virtuosa, che conta in Italia meno del 15% dei dipendenti totali.”
Basta leggere le loro parole al ritorno dai 50 giorni di cassa integrazione, fatti a fine 2012, per capire il senso di precarietà che si respira in fabbrica: “Il rientro al lavoro ci ha gettato in un clima surreale, ci siamo ritrovati nei reparti pitturati ad arte, con nuove apparecchiature e gingilli informatici che danno una parvenza di modernità; ma noi tutti sappiamo bene che la fabbrica era molto più colorata quando la vernice delle apparecchiature era sbiadita, quando non c’erano i touch screen, i bar code e la segnaletica stradale. Abbiamo perso il colore della vitalità lavorativa che scaturiva dalla prospettiva di un futuro”
Pirelli è stata fondata a Milano nel 1872, un decennio dopo l’unità d’Italia, per intenderci. Da allora è stata protagonista della storia industriale del Paese, lo stabilimento di Bollate è ciò che è rimasto dello storico sito della Bicocca, è l’ultimo insediamento industriale per la produzione di pneumatici rimasto in provincia di Milano.
di Redazione | @cassintegrati