Nei Paesi dove la corruzione è maggiore, si investe poco in ricerca e si registra un’alta percentuale di “fuga dei cervelli”: è quanto emerge dalle indagini dell’European Research Centre for Anti-corruption and State-building e dell’Eurobarometer
In un recente articolo (“L’anticorruzione dei cervelli”, sulla Domenica del Sole 24 ore del 3 marzo), Carlo Rizzuto focalizza l’attenzione sul rapporto tra corruzione, ricerca e fuga dei cervelli, da cui risulta che “l’innovazione scientifica e tecnologica di un Paese è inversamente proporzionale al suo tasso di corruzione”. Ci sono dunque ragioni congiunte se l’Italia è tra gli ultimi posti per quanto riguarda sia il controllo della corruzione sia l’innovazione.
All’ultima Falling Walls Conference, il convegno organizzato ogni anno a Berlino sulla “caduta dei muri” nella cultura e nella scienza, si è discusso sulla relazione tra la posizione dei Paesi nella classifica internazionale della corruzione e il cosiddetto “brain drain”, termine inglese per denominare la “fuga dei cervelli”, fenomeno che in Italia raggiunge picchi decisamente elevati. Il punto, rileva Rizzuto, è che si sta continuando con la stessa politica deleteria, senza manifestare la benché minima intenzione di migliorare la situazione.
Una posizione che non deriva da scelte ideologiche, perché, continua Rizzuto, “i Paesi che non finanziano la ricerca scientifica non lo fanno per (miope) scelta politica, ma semplicemente – ci spiegano i rapporti europei – perché è più difficile dirottare soldi per la corruzione dai capitali investiti in ricerca piuttosto che da capitali stanziati per altri tipi di appalto o lavoro pubblico. L’esperienza ci insegna però che anche questo ostacolo si può eliminare facilmente, occupando con persone raccomandate e incompetenti posizioni di controllo in enti di ricerca”.
La stessa situazione può essere verificata anche sul piano individuale, come dimostrano i dati statistici da cui risulta che “una singola persona è meno incline ad accettare fenomeni di corruzione quanto più istruita e dotata di abilità (skills), o, in altre parole, quanto più si aspetta di raggiungere un risultato grazie alle sue forze e ai suoi meriti”. Anche in questo contesto è evidente il collegamento tra corruzione e brain drain; collegamento che innesca un pericoloso circolo vizioso: infatti i “cervelli” che scappano – “per veder riconosciuti i loro meriti”, sottolinea Rizzuto – perché estranei alla logica della corruzione e della raccomandazione, sono proprio quelli che potrebbero contribuire a un cambiamento di direzione: “per ogni ‘cervello’ che lascia l’Italia (…) si allontana sempre di più la possibilità di fare massa critica contro la corruzione e cambiare il sistema il Italia”.
Per ottenere un’inversione di tendenza non basta dunque “mettere a punto i giusti regolamenti e investimenti di risorse, se l’applicazione dei primi e la gestione dei secondi è poi affidata a dirigenti scelti secondo logiche di lottizzazione politica anziché in base alla competenza”. Non bisogna, dice in conclusione Rizzuto, vedere la corruzione solo dove c’è uno scambio illecito di denaro; per cambiare veramente le cose occorre cominciare a “mettere le persone giuste al posto giusto”.
MC