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La somministrazione dell’ormone Lhrh mette al riparo le ovaie dai danni dei chemioterapici e salva la fertilità
Dal nostro inviato Chicago – Prima vincono la battaglia contro un tumore al seno, poi vogliono diventare mamme. Nessuna controindicazione, dicono le ricerche: la gravidanza, per chi è sopravvissuta alla malattia, è sicura. C’è però un problema: le terapie adiuvanti, quelle prescritte dopo l’intervento chirurgico per prevenire le ricadute, possono provocare una menopausa precoce e compromettere la fertilità della donna. Una soluzione, però, esiste, è nuova e la propone Lucia Del Mastro all’Asco, il congresso annuale degli oncologi americani che è in corso a Chicago.
MENOPAUSA PRECOCE - «Abbiamo sperimentato una tecnica semplice – spiega l’oncologa che lavora all’Istituto Tumori di Genova – che consiste nella somministrazione di un ormone, un analogo dell’Lhrh (quest’ultimo viene prodotto dall’ipotalamo, una ghiandola del cervello e , attraverso l’ipofisi, un’altra ghiandola cerebrale, interferisce con l’attività delle ovaie, ndr). Questo farmaco mette a riposo l’ovaio, riducendo così l’effetto tossico dei farmaci chemioterapici». Lo studio, coordinato da Lucia Del Mastro, il primo al mondo di questo tipo, ha dimostrato che il farmaco riduce del 20 per cento (dal 50 per cento al 30 per cento) il numero di donne che vanno incontro a una menopausa precoce, preservando quindi la fertilità.
FECONDAZIONE IN VITRO - Le tecniche utilizzate finora, per consentire una gravidanza dopo le chemioterapie, consistono fondamentalmente nel congelamento degli ovuli che vengono poi utilizzati per la fecondazione in vitro. In rari casi si è congelato anche l’intero ovaio che è stato poi reimpiantato. «Non sono poche oggi le donne che vanno incontro a un tumore al seno sotto i quarant’anni – aggiunge Lucia Del Mastro. - La percentuale si aggira attorno al 4 per cento di tutti i casi, il che significa almeno 1.500 donne ogni anno in Italia. E, secondo i dati che abbiamo a disposizione, il 33 per cento non ha figli». Lo studio ha coinvolto 16 centri per un totale di 280 pazienti, divisi in due gruppi, uno trattato e uno no, dimostrando l’efficacia del farmaco, ma lasciando ancora aperta la discussione sul suo meccanismo d’azione.
DUE MECCANISMI - «Ci possono essere due meccanismi – commenta l’esperta. - Il primo consiste in una riduzione della quantità di sangue che arriva all’ovaio e di conseguenza anche in una riduzione dei chemioterapici, presenti nel sangue, che possono raggiungere la ghiandola. Il seconda sta nel fatto che l’Lhrh blocca gli ormoni che fanno maturare i follicoli, preservandoli».
Adriana Bazzi
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