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Il principio è semplice, ma la realizzazione pratica richiede cambiamenti importanti. Il governo che verrà, pur nascendo intrinsecamente debole, potrebbe, in realtà, avere la forza per avviare un processo radicale perché per poter sopravvivere dovrà instaurare un rapporto diretto con gli elettori oltre che con partiti quanto mai discreditati.
Ovviamente tutto questo non potrà ridare fiato immediato all'economia. Nel breve periodo vanno diminuite le tasse sul lavoro e va dato sostegno al reddito di chi, il lavoro, non ce l'ha. Le proposte ci sono, anche suggerite nei documenti della Banca d'Italia, ma costano care. I soldi vanno recuperati con tagli aggressivi ai costi dello Stato, lungo le linee prima accennate.
C'è anche qualche margine per ottenere più flessibilità da Bruxelles sul rigore dei conti pubblici. Il negoziato va dunque aperto, ma non deve dare adito a eccessive illusioni. Il margine esiste, ma è limitato e si basa su tre elementi. Il più importante - spunto di utile riflessione - è che l'Italia, non avendo sforato il limite del 3% del deficit pubblico nel 2012 ha acquisito credibilità. In secondo luogo le previsioni indicano un rallentamento per tutta l'Europa, compresa la Germania, scenario che potrebbe indurre Berlino a considerare una maggiore flessibilità. In terzo luogo esistono fattori specifici che si potranno far valere in sede negoziale. Mi riferisco, per esempio, al peso sul nostro debito del contributo che versiamo al Fondo salva Stati europeo, oppure all'eccezionalità dei debiti dello Stato verso le imprese. È dunque essenziale che l'Italia imbocchi la via del negoziato, ma senza mettere in discussione gli impegni di medio periodo. La politica antiausterità può essere fatta solo su queste basi, con una contrattazione realistica e consapevole delle dinamiche europee. Sarebbe velleitario invocare improbabili battaglie senza quartiere, generiche e irrealistiche tenzoni contro un'Europa che ci affama.
Puntiamo invece a riprendere il controllo di ciò che possiamo controllare noi, del nostro bene comune, cioè, lo Stato. Facciamone, ripeto, la bandiera di questo governo, affrontando l'anomalia di una macchina statale vetusta, costosa e inefficiente che ci rende molto diversi anche da Paesi a noi vicini come la Spagna.
Un altro governo, con le spalle più larghe, se un giorno arriverà, potrà imbarcarsi su un progetto ancora più ambizioso, capace di ripensare globalmente il modello del capitalismo italiano. Ma gli obbiettivi qui illustrati, sebbene più limitati, sono già molto ambiziosi e potrebbero essere le basi per una riflessione costruttiva e soprattutto collettiva sul nostro futuro.
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