Magazine Diario personale
Alex osservava la sfera azzurra e grigia del pianeta Genesis dal ponte di osservazione della USS Arkansas, mentre la Sedicesima Flotta d'Attacco, conosciuta anche come Flotta Maelstrom, si disponeva in orbita al pianeta per formare un blocco e fregate e incrociatori cominciavano a rigurgitare sulla superficie gli shuttle con le truppe da sbarco e gli aGear che gli facevano da scorta.
La USS Arkansas, essendo una nave trasporto truppe, non si era unita alle manovre, ma era rimasta con le altre navi d'appoggio in orbita al gigante gassoso del Sistema.
Alex attendeva che il capitano dell'Arkansas le comunicasse il via libera per trasferirsi su un incrociatore denominato USS Lohengrin, dove avrebbe avuto luogo il rendez-vous con la sua scorta.
Toccò il pulsante nell'angolo in basso a destra del touchscreen olografico, sul quale veniva mostrato in tempo reale il dispiegamento di forze attorno a Genesis. Lo schermo scomparve e sulla vetrata dell'osservatorio tornò visibile il gigante gassoso con i suoi anelli e uno dei suoi quattro satelliti rocciosi. Dal punto in cui si trovava l'Arkansas non era possibile vedere Genesis, ma solo parte del gigante gassoso, il satellite denominato Nephilim α e alcune navi d'appoggio.
Ad Alex era stato insegnato a non mostrare le proprie emozioni, per cui sembrava perfettamente calma, ma nella sua mente un tumulto di pensieri generavano una tempesta di sentimenti contrastanti, che le attorcigliavano lo stomaco e le facevano battere furiosamente il cuore contro la cassa toracica. Era quasi doloroso.
Non era una macchina, anche se al suo istruttore sarebbe piaciuto che lo diventasse. Era umana e dotata di libero arbitrio. Si rendeva conto delle implicazioni di ciò che le era stato ordinato di fare e il pensiero di quello che sarebbe avvenuto tra poche ore le dava le vertigini, le faceva fischiare le orecchie e le provocava un senso di nausea. Provava un senso di rifiuto misto a panico che non riusciva a placare, per quanto ci provasse.
Si aprì un nuovo schermo, più piccolo del precedente, sul quale era visualizzato il volto del capitano dell'Arkansas.
"Tenente, volevo farle sapere che abbiamo preparato uno shuttle per il trasferimento sul Lohengrin."
"Scendo subito nell'hangar. La ringrazio, capitano."
Lo schermo scomparve e Alex sospirò. Raccolse da terra lo zaino con l'equipaggiamento e lasciò il ponte di osservazione.
Mentre il mezzo blindato portava Eriko verso la stazione in cui le FDP stavano convogliando gli sfollati, per poi metterli sui treni che li avrebbero condotti al laccio orbitale, la ragazzina tentava disperatamente di contattare la famiglia con il miniPhone, ma le comunicazioni erano saltate e non riusciva a prendere la linea.
Stizzita, ripose il miniPhone e si tirò le gambe al petto, rannicchiandosi sul sedile. Aveva freddo.
Wright, il soldato che l'aveva fatta salire sul blindato, le portò una coperta.
La ragazzina accettò il dono senza dire nulla e si avvolse nella coperta ruvida.
Wright sedette sul sedile accanto al suo, ma non cercò di avviare una conversazione.
Eriko era pallida e il suo volto esprimeva sconcerto e dolore. Aveva appena visto esplodere il treno su cui viaggiava con gli amici e non era riuscita a mettersi in contatto con la famiglia.
Wright provò una fitta di rimorso. La sua famiglia si trovava al sicuro su Midgard: lo Stato Maggiore delle FDP aveva preso accordi con la Federazione perché le famiglie di soldati e ufficiali venissero evacuate settimane prima dell'operazione Thor's Hammer, a piccoli gruppi, per non destare I sospetti dell'OSF, ma parte di quegli stessi accordi prevedeva anche che i civili venissero evacuati a operazione già iniziata, in modo che l'OSF non potesse prendere contromisure.
L'invasione federale avrebbe dovuto cogliere l'OSF alla sprovvista; invece la risposta dei ribelli era stata pronta e a rimetterci erano stati i civili. Come questa ragazzina, che aveva esaurito le lacrime e ora, con gli occhi spenti, arrossati dal pianto, si dondolava avanti e indietro sul sedile.
A Wright sovvenne l'immagine di un gattino smarrito. Il mezzo si fermò e il pilota richiamò la sua attenzione.
"Siamo arrivati. Scendiamo?"
Eriko lo seguì docilmente all'interno della stazione. Wright fece in modo che si mettesse in coda a una delle tre file di civili che venivano censiti prima di essere divisi in piccoli gruppi e imbarcati sui treni lineari per il porto spaziale. Avrebbe voluto attendere che la ragazzina passasse il controllo e fosse imbarcata su una vettura, ma il sergente che era alla guida del blindato lo richiamò all'ordine.
"Ne abbiamo degli altri da raccattare. O ti sei preso una cotta per lei?"
Wright avrebbe voluto dargli del cretino. Eriko aveva l'età di sua sorella!
Lanciò un'ultima occhiata alla ragazzina che ancora si stringeva nella coperta in cerca di conforto e salì sul blindato.
Nella sala briefing del Lohengrin, Sieg controllava che la tuta pressurizzata fosse a posto, mentre lo schermo olografico trasmetteva in tempo reale le manovre della flotta.
Si accese uno schermo più piccolo, con il volto del capitano Tabatha Rossetti.
"Allora, qual è il nostro ruolo in questa vicenda?" chiese Sieg.
«La tua è una missione speciale, top secret.»
"Di che tipo?"
«Scortare uno specialista sul pianeta. Per disattivare l'arma segreta dell'OSF, pare.»
"Un lavoro da babysitter. Fantastico! Di che arma si tratta?"
«Un cannone Mjollnir.»
"Una reliquia delle guerre dei TransGate? Ne hanno trovato uno che funziona ancora?"
«Chissà!»
"Pensavo che il Mjollnir venisse montato sulle navi."
«Avranno trovato il modo di assemblarlo e farlo funzionare come arma terra-aria...»
La porta alle spalle di Sieg si aprì ed entrò una ragazza.
«Oh, sembra sia arrivato il nostro specialista» osservò Tabatha.
Sieg la osservò mentre attraversava la sala. Era piccola, minuta, con indosso una mimetica.
"Tenente Amanda O'Reilly, Forze Speciali della Federazione" si presentò, salutando Tabatha.
Sieg era perplesso. Se era un tenente delle Forze Speciali non poteva avere meno di vent'anni.
Ma tutto in lei - i lineamenti morbidi e infantili del volto, le forme acerbe del corpo - faceva pensare che non potesse averne più di diciassette.
La ragazza gli porse una mano.
"Tu sei la mia scorta? Piacere. Mi chiamo Amanda."
Sieg ricambiò il saluto.
"Siegfried."
"Tu sei un androide, vero? Sei differente dai modelli della Federazione."
«Sieg è speciale, un 'enhanced memory model' configurato appositamente per interagire con gli esseri umani» disse Tabatha. «Intelligenza e personalità artificiali sono molto avanzate. Sarà un'ottima scorta, vedrai.»
"Il Gungnir è pronto per il decollo?"
«Mi dicono che lo stanno approntando nell'hangar. Sieg, Amanda, buona fortuna.»
La fila per il censimento sembrò durare un'eternità. Eriko si sentiva debole, le tremavano le gambe e aveva le vertigini. I piedi e le ginocchia le facevano male e avrebbe tanto voluto sdraiarsi da qualche parte e chiudere gli occhi, almeno per un po', per far calmare il cuore, che le martellava dolorosamente in petto, per fermare quel caos di pensieri che le vorticava in testa.
"Ragazzina! È il tuo turno!" esclamò una voce sgarbata, con tono impaziente.
Eriko si avvicinò al banco dove due soldati, un ragazzo e una ragazza, stavano raccogliendo le generalità dei profughi.
"Come ti chiami?" le chiese il ragazzo, sempre con quel suo fare rude.
"Eriko Asahina."
"Sei di Genesis City?"
"Vengo dal quartiere Camelia. Settore 40W, Isolato 21, Blocco 35B, piano terzo, interno 10."
"Quando sei nata?"
"Il 25 febbraio del 2405 d.C. - cioè, dello 0050 A.C."
"Il nome della tua scuola?"
"Frequento l'Istituto Classico Calliope. Primo anno. Classe 1 sezione B."
"Come si chiamano i tuoi genitori?"
"Hideo Asahina e Kaori Taguchi."
"Fratelli, sorelle?"
"Ho un fratello maggiore. Si chiama Aoki."
Il soldato inserì i dati nell'hPad, attese il riscontro, poi volse lo schermo in direzione di Eriko.
"Appoggia il pollice della mano destra su questo riquadro. Molto bene. Asahina, Eriko. Identità confermata. Status Rosso, priorità d'imbarco 1."
Il ragazzo fece un cenno al soldato in piedi alle sue spalle. Quello aggirò il banco e appuntò una fascetta rossa alla giacca di Eriko.
"Questa fascetta significa che puoi imbarcarti subito" spiegò. "Seguimi."
Nell'hangar del Lohengrin, un magnifico aGear veniva preparato per il decollo.
Un gigante di 18 metri, di forma umanoide, dalle linee aerodinamiche e l'aspetto marziale.
"Non vedo armi" osservò Alex.
"Il Gungnir non ha bisogno di essere equipaggiato prima del decollo" disse un tecnico che si trovava ai piedi dell'armatura e stava eseguendo gli ultimi controlli su una console. "È dotato di phase transfer system, un sistema che permette di materializzare le armi da una lista di equipaggiamenti durante la battaglia."
Alex osservò meglio l'aGear. Era diverso da quelli della Federazione. Più aerodinamico, meno ingombrante, di aspetto decisamente non goffo, ma agile e possente. Anche i colori non erano quelli degli aGear federali, ricoperti di un pigmento grigio uniforme, ma si alternavano tra il bianco e il blu.
Alex girò intorno al gigante e vide che ad alimentarlo era un generatore diverso da quelli a fusione degli aGear federali. Tabatha aveva definito Siegfried un 'enhanced memory model'. Alex non aveva mai sentito parlare di androidi di quel tipo tra i ranghi della Federazione. Le uniformi erano quelle federali, ma le venne il sospetto che il Lohengrin non appartenesse alla Flotta. Chiunque avesse mandato quell'incrociatore, con quell'equipaggio, in una missione di spionaggio tanto complessa, doveva essere potente economicamente e avere totale fiducia nelle capacità di Tabatha e dei suoi uomini.
La cabina di pilotaggio era posizionata nel tronco dell'aGear. Era a due posti.
"Chi è il tuo navigatore?"
"Di solito lo piloto da solo. Oggi farò un'eccezione. Tu ti occuperai delle armi e delle comunicazioni."
Alex prese posto nel sedile del navigatore, posizionato dietro a quello del pilota.
Chiuso il portello e attivati i sistemi di bordo, l'interno della cabina era fatto in modo che la visione di pilota e navigatore fosse a 360° e che il metallo che in realtà li avvolgeva scomparisse. L'impressione era che i sedili e la strumentazione fluttuassero all'interno di una sfera trasparente.
Mentre Sieg eseguiva i controlli pre-volo, Alex accese il suo schermo e cominciò a familiarizzare con I comandi.
Il soldato cui l'aveva affidata il sergente scontroso dell'accettazione accompagnò Eriko alla vettura che l'avrebbe portata al porto spaziale e la scortò a una cabina da sei posti occupata da un bambino e una bambina biondi, che potevano avere dieci anni e sembravano gemelli, o comunque fratelli; un ragazzo bruno di capelli e d'incarnato olivastro che ne dimostrava diciassette; una ragazza bionda che poteva essere coetanea di Eriko e una ragazza più grande, di forse diciannove o vent'anni, dai capelli lunghi e castani. Avevano tutti la fascetta rossa, come Eriko.
I due bambini si tenevano stretti l'uno all'altra e la ragazza castana cercava di distrarli raccontandogli una storia. Il ragazzo guardava fuori dal finestrino con aria smarrita. La biondina gli sedeva accanto e giocherellava distrattamente con il miniPhone a forma di coniglietto, anche lei persa nei suoi pensieri.
Il soldato si assicurò che Eriko prendesse posto in cabina con gli altri ragazzi e chiuse lo sportello.
"Io mi chiamo Marguerite" si presentò la ragazza più grande. "Loro sono Jonathan e Louise."
"Miguel" disse il ragazzo.
"Jennifer" disse la biondina.
"Eriko."
"Anche tu la fascetta rossa" osservò il ragazzo.
Gli occhi di Jennifer si riempirono di lacrime e Marguerite si spostò accanto a lei.
"Su, su, andrà tutto bene. La tua mamma e il tuo papà saranno su un'altra vettura, vedrai."
"Se non sanno dov'è la tua famiglia o non sei arrivata alla stazione con i tuoi ti danno la fascetta rossa. Alle famiglie danno la fascetta gialla e agli adulti quella verde. Il rosso e il giallo significano che ti mettono sulle vetture che partono per prime. Il verde che devi aspettare la prossima corsa" spiegò Miguel, scrollando le spalle.
Suonò un campanello e si avvertì una vibrazione. Significava che la vettura era partita.
Eriko non aveva voglia di socializzare con i suoi compagni di sventura. Approfittò del fatto che Marguerite si era spostata accanto a Jennifer per accoccolarsi sul sedile e chiudere gli occhi.
Trascorse l'ascesa verso il porto spaziale in un dormiveglia agitato.
Alex aprì un canale di comunicazione con la plancia.
Il volto di un giovane guardiamarina, una ragazza, comparve sul suo schermo.
«Oh! Piacere! Mi chiamo Irina e mi occupo delle comunicazioni tra il Gungnir e la nave.»
"Logorroica come al solito, Pollyanna" osservò Sieg.
«Ehi! Non mi chiamo Pollyanna!»
"Ehm... Irina?" s'intromise Alex.
«Sì?»
"Puoi confermarmi che l'obiettivo della missione è disattivare il cannone Mjollnir dell'OSF?"
«Obiettivo confermato.»
"Le coordinate di discesa sono latitudine 44.89 longitudine 11.04."
«Coordinate confermate.»
"Ho terminato i controlli" comunicò Sieg.
«Allora potete procedere con il lancio. Timer impostato. Inizio il conto alla rovescia.»
La piattaforma cui erano assicurati i piedi dell'aGear scese di un livello. Dopodiché Sieg manovrò il Gungnir in modo da agganciarlo alla catapulta lineare.
«Catapulta lineare attivata. Valori nominali. Luce verde. Potete procedere al decollo.»
Sieg attivò il propulsore, la catapulta scattò e il Gungnir fu proiettato nello spazio.
Quando la vettura del treno lineare raggiunse il porto spaziale ed Eriko scese con gli altri ragazzi, vide che erano tutti contraddistinti dalla fascetta rossa.
Dei soldati gli si fecero subito incontro, li suddivisero in piccoli gruppi e assegnarono a ciascun gruppo una scorta. Numerarono i gruppi da uno a dieci e spiegarono loro che in base al numero che gli era stato assegnato, sarebbero stati imbarcati su uno shuttle e portati sulle navi da trasporto che attendevano il loro arrivo in orbita al gigante gassoso del Sistema.
Eriko, che era stata separata dai compagni con cui aveva viaggiato sul treno lineare, non dovette aspettare a lungo, perché il loro numero venisse chiamato, dal momento che il suo era il gruppo 5.
Due soldati li scortarono al molo cui era attraccato il loro shuttle e si assicurarono che si imbarcassero tutti sul vettore.
Eriko avrebbe tanto voluto poter attendere l'arrivo della sua famiglia, ma i soldati diedero loro ordini come se fossero non dei ragazzini strappati alle famiglie, stanchi, affamati e impauriti, ma soldati di un plotone. Troppo stanca e stordita per opporsi, si lasciò guidare da quegli ordini abbaiati da voci irritate e impazienti.
A bordo dello shuttle, poté per la prima volta rivolgere lo sguardo al suo pianeta. Avvertì un'ondata di panico farsi strada nel groviglio di pensieri e sentimenti che le si agitavano dentro.
Mentre il vettore si allontanava, passando tra le navi del blocco, si abbandonò alla paura e al dolore e cominciò a singhiozzare sommessamente.
Alex osservava la sfera grigia e azzurra di Genesis dalla cabina del Gungnir. Non era riuscita a sopire completamente il panico che l'aveva colta nel momento in cui era salita a bordo dello shuttle che l'avrebbe portata sul Lohengrin.
In piedi di fronte a Sieg e Tabatha nella sala briefing era riuscita a dominare I sentimenti. Ma ora che stavano per tuffarsi nell'atmosfera del pianeta, tremava. Era sudata dentro la tuta e gocce di sudore le imperlavano la fronte. Ansimava.
"Tutto ok?" le chiese Sieg.
Alex si costrinse a concentrarsi sul qui e ora.
"Tutto a posto. Il pianeta è magnifico, visto da quassù."
"Alza gli scudi. Sto per scendere nell'atmosfera."
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