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Pixel Heroes: Byte & Magic – L’RPG che venne dal passato

Da Videogiochi @ZGiochi

Pixel Heroes: Byte & Magic – L’RPG che venne dal passato

di Giovanni "plutarco" Calgaro

Diciamoci la verità, di RPG non siamo mai sazi. Dalla notte dei tempi videoludici, che si tratti di gioco di ruolo cartaceo oppure digitale, al nerd che alberga in ognuno di noi nulla da più soddisfazione che vestire i panni di un eroe senza macchia e senza paura alle prese con incarichi spesso inumani e con l’allegro squartamento di grotteschi abomini d’ogni sorta. Il genere, dai timidi esordi digitali, si è evoluto in svariate forme ed ibridi del tutto peculiari che progressivamente si sono appiattiti su un generale servilismo nei confronti del giocatore medio. Insomma, da un po’ di tempo a questa parte spesso e volentieri (salvando dal mucchio davvero pochi, incredibili, titoli) non è più il gioco a condurre le danze, obbligando i giocatori a sottostare alle regole, bensì sono gli stessi giocatori ad avere il potere nelle proprie mani, guidati sotto ogni aspetto da un gioco che non vuole recare disagio, o farci sentire frustrati rendendo le cose troppo difficili. Ebbene, l’opera di un giovane team indipendente tedesco, composto da soli tre ragazzi, mira proprio ad andare con forza controcorrente e a creare una buona dose di disagio. Nella versione da noi testata, trattasi, in particolare, di disagio portatile dal gustoso sapore retrò ad 8 bit. Pixel Heroes: Byte & Magic è giunto ormai da un po’ sui nostri smart device e, al netto di un’asticella della difficoltà posta sin troppo in alto per gli standard odierni, possiamo dire che il progetto dei The Bitfather Company è stato fedelmente trasposto da Steam, donandoci qualche ora di citazioni colte, battute di spirito, sani improperi ed un bel po’ di frustrazione “on the go”.

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PENTITEVI! LA FINE È VICINA!

Più o meno inizia così Pixel Heroes. Un sedicente profeta dell’ultima ora entra nella taverna del villaggio in cui ci troviamo vestito, per così dire, di un sol cartello che riporta la scritta “The End”. Egli ci mette frettolosamente a capo della classica minaccia dal sapore marcatamente fantasy che andremo ad affrontare assieme al baldo gruppo di tre eroi in cerca di fortuna scelti tra quelli che bighellonavano all’interno del locale. A questo proposito risulta di fondamentale importanza assumere attentamente i nostri sodali, in quanto rimarranno i medesimi nel corso dell’avventura. Almeno, sino alla loro orribile morte. Infatti le loro abilità, come abbiamo purtroppo avuto modo di scoprire sulla nostra pelle, devono assolutamente esser coordinate tra loro, altrimenti si corre il concreto rischio di perire tragicamente a causa di un cooldown più lungo di quanto avevamo preventivato e per la mancanza di abilità utilizzabili. Ma bando alle ciance. La minaccia incombe come un’ombra minacciosa sul mondo. Da quanto ci dice l’esilarante profeta essi si fanno chiamare i “Figli del Crepuscolo” e il loro obiettivo è quello di reclutare nuovi adepti per tentare di risvegliare qualcosa di pericoloso, che potrebbe distruggere il mondo, e che quindi dovrebbe esser lasciato quiescente. Dopo aver promesso di tornare quando sarà il momento, ci lascia e con i nostri tre eroi possiamo metterci, fiduciosi, in marcia. Usciamo lesti dalla taverna per venire accolti da un piccolo villaggio la cui atmosfera sorniona ci mostra immediatamente la vena umoristica e marcatamente citazionale che permea l’intera esperienza di gioco. Tra battute di spirito (simpatico il warlock, quando l’abbiamo assunto ha esclamato “once you go black…”) e grandi citazioni che riprendono gli epigoni della cultura fantasy (due piccoli uomini che lungo la via ci chiedono di cercare un prezioso… anello?) e non solo, ci facciamo furbescamente distrarre dalla vera natura del gioco. Maledettamente brutale, spietata e grottesca. Come vi abbiamo appena detto però, sempre col sorriso.

Al di là dell’apparente leggerezza e di un buon grado di dinamica “modernità” che ammanta il titolo dei The Bitfather, Pixel Heroes poggia su solide basi old school che lo rendono volutamente impegnativo e dannatamente frustrante. Quindi, se siete tra coloro a cui piace affezionarsi ai personaggi scelti, coccolarli sotto ogni aspetto e proseguire tranquilli sino ai titoli di coda, il titolo non fa per voi. Una certosina preparazione e cura nella gestione dei combattenti è assolutamente necessaria se si vuol avere una microscopica possibilità di riuscire a portare a casa la pellaccia. La morte (permanente) purtroppo è una compagna costante che vi seguirà molto da vicino e, senza un minimo di accortezza, il cimitero si riempirà di tumuli freschi ad un ritmo davvero vertiginoso. A rendere le cose ancor più impegnative contribuiscono anche alcune chicche roguelike di non poco conto. Nel malaugurato, ma consueto, caso in cui si verifichi il wipe totale del nostro party, non ci sarà alcun punto di salvataggio a coprirci le spalle. Molto semplicemente si deve ricominciare. Dall’inizio e con eroi freschi freschi. Per questo, ragionamento prudenza ed oculata gestione delle risorse a disposizione, sono virtù indispensabili, anche se non possono togliere quel perenne senso di frustrazione mista ad impazienza e rara soddisfazione a cui al giorno d’oggi non siamo più abituati.

OLD SCHOOL. VERITÀ O FINZIONE?

Pixel Heroes non imita o, come spesso si dice, non “omaggia” in modo servile i titoli del passato. Anzi, fa di tutto per esser proprio considerato alla stregua di un gioco uscito direttamente da un’altra epoca, in particolare dagli anni ’80. Questo non solo per la veste grafica pixelosa proveniente dal miglior Commodore 64, o le melodie monotonali da sintetizzatore. Le caratteristiche che abbiamo appena descritto si adagiano infatti su un gameplay anch’esso puramente retrò. La cittadina funge da sicuro campo base in cui si possono acquistare oggetti utili, accettare piccole side quest e parlare con gli esilaranti NPC. Una volta usciti dalle affollate strade, il party percorrerà in automatico il tragitto che lo separa dal dungeon oggetto della main quest. Lungo la via può saltuariamente esser fermato da eventi random come scontri, indovinelli, chiacchierate con qualche NPC, i quali possono farvi guadagnare oggetti utili e punti exp, e così via. Una volta giunti a destinazione, il dungeon si dipana in una sequenza predefinita di stanze collegate fra loro in cui sono presenti nemici e scontri random sempre più ostici, sino al consueto boss finale. Ammesso ovviamente d’arrivarci sani e salvi.

Il combat system si basa poi sulle consuete meccaniche turn based. I nostri tre eroi hanno a disposizione quattro abilità ciascuno tra cui scegliere; due “fisiche”, mentre le altre due sono skill-based e presentano un periodo di cooldown da tenere in debita considerazione per tirar fuori dal cilindro una strategia vincente. Quindi, non sempre risulta conveniente il loro uso. Per il resto, i parametri da tenere sotto controllo sono davvero molti, a partire dalla grande quantità di status che possono colpire i personaggi, al posizionamento degli stessi, il quale ha effetto sul raggio d’azione di armi ed incantesimi, sino alla qualità dell’equipaggiamento (se non adatto porta ad una orribile sconfitta) ed alle statistiche dei tre combattenti. Inoltre, se ci si trova in difficoltà, non è possibile fare marcia indietro. Altra cosa che non depone a favore di una sana e rilassante sessione di gioco.

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