Questo è il clima prima dello Statuto, racconta Pizzinato. Con le lotte dell’autunno caldo e con lo Statuto poi, si porta “la Costituzione in fabbrica”. Un momento emblematico è l’ingresso dei dirigenti sindacali nei luoghi di lavoro, nel 1969. Un anticipo materiale dello Statuto. Alcune anticipazioni importanti si hanno anche sul piano legislativo. Una legge, all’inizio degli anni 50, pone fine al fatto che se una donna rimane incinta è licenziata. Prima era considerato un atto legittimo. Così come era legittimo il licenziamento di una donna che si sposa. Un’altra legge cancella il licenziamento “ad nutum” e introduce la “giusta causa”. Sono innovazioni dovute all’apporto dei grandi partiti di allora: il Pci, il Psi, la Dc.
Un altra battaglia condotta dalla Cgil sui temi della sicurezza influisce su alcune norme adottate poi dallo Statuto. Sono tempi in cui i morti sul lavoro sono il doppio rispetto agli attuali. Insomma prima dello Statuto c’è un altro mondo per i salariati.
Ed ora? Mentre allora aumentavano via via i livelli di eguaglianza, ora - risponde Pizzinato - di fronte ai nuovi cambiamenti delle realtà produttive, le norme Brunetta-Sacconi, innescano un ritorno non a prima dello Statuto ma per certi aspetti agli anni 50, a prima del contratto del 1962. Cioè all’epoca in cui i metalmeccanici non erano ancora riusciti a costruire un contratto nazionale compiuto. Questo salto all’indietro avviene ad esempio con la norma che costringe l’operaio a scegliere, prima di essere assunto, un documento che permetterà deroghe al contratto.
E’ vero che siamo di fronte a enormi cambiamenti rispetto agli anni dello Statuto. Oggi ad esempio in Lombardia più del 20% di quelli che svolgono attività lavorative sono addetti ai servizi. Un numero quasi eguale agli addetti alle imprese manifatturiere. Sarebbe necessario, certo, adeguare le norme a questi mutamenti ma non arretrando. “Ai miei tempi, a Sesto San Giovanni” - racconta Pizzinato - “avevo quattro fabbriche con l’80 per cento della forza lavoro complessiva. Adesso il 96% sta in luoghi di lavoro con meno di 9 dipendenti. Il sindacalista di Sesto San Giovanni oggi dovrebbe poter contrattare su tutto un territorio, garantire la parità di diritti. Avrei bisogno di 10-15 contratti invece di 400. Avrei bisogno di una rappresentanza unica sindacale a livello territoriale. Un cambiamento che deve garantire l’eguaglianza dei diritti, indipendentemente dal mondo del lavoro nel quale si risiede”.
L’ex segretario della Cgil fa l’esempio della Fincantieri di Monfalcone. Qui i dipendenti dell’azienda sono una minoranza rispetto alle centinaia di lavoratori dipendenti da un universo di piccole imprese. Anche qui non c’è un’eguaglianza di diritti. E per il fatto che non tutti hanno diritto allo stesso premio, pur avendo costruito la stessa nave, c’è stato un accordo separato. Unificare i diritti, insomma, mentre il centrodestra punta a disperdere i diritti. Purtroppo davanti a una simile situazione, osserviamo, i sindacati sembrano andare verso una separazione ineluttabile… E’ così risponde Pizzinato, “i rapporti sembrano peggiorati persino rispetto agli anni 50 quando io entravo in fabbrica. Ma se non s’inverte questo processo sono guai per tutti. E per ricostruire un processo unitario bisogna ricostruire un rapporto soprattutto con i tanti giovani che stanno nelle miriade di piccole aziende. L’unità sindacale futura passa di qui”.
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