Undici anni fa, in occasione del Giubileo, una campagna d'opinione chiese ai paesi del Nord del mondo di cancellare il debito che verso di loro avevano contratto i paesi del Sud. Ad oggi, però, non solo quel debito non è stato cancellato, ma oggi si assiste ad una sempre maggiore opera di ri-colonizzazione, in particolare attraverso l'acquisizione delle terre o l'uso dei titoli "tossici". Un procedimento che, oggi, viene usato anche nella "cara e vecchia" Europa
Queste erano le parole – qualcuno ricorderà – con cui Jovanotti si presentò, ormai undici anni fa, al Festival di Sanremo e con le quali chiedeva, a nome dei tanti che in quel “movimento di opinione” si riconoscevano, di cancellare il debito che i paesi del Sud del mondo avevano contratto nei confronti del ricco Nord. A distanza di una decade e qualche briciola, però, quell'”appello” a D'Alema – allora presidente del consiglio italiano – è evidentemente rimasto inascoltato (forse perché l'epistola aveva completamente sbagliato il destinatario, ma questo è un altro discorso...) ed oggi quel debito è vivo più che mai. Non solo, peraltro, i paesi del cosiddetto Primo mondo non lo hanno cancellato, ma stanno sempre più tentando di metterci le mani sopra. Perché senza il Sud del mondo, inteso nella sua accezione economica e geopolitica che in quella geografica, non esisterebbe alcun Nord.
Negli anni Settanta-Ottanta, il Nord si assicurava questa posizione anche – e soprattutto – attraverso l'uso della forza militare. La storia di paesi come Argentina, Cile, Brasile e molti altri paesi dell'America Latina è lì a testimoniarlo. Lo chiamarono “Plan Condor”[2]. Servì agli Stati Uniti per combattere il comunismo – e l'opposizione in genere – nel “cortile di casa” dell'America Latina.
Oggi che i regimi amici si instaurano attraverso le rivolte pacifiche (o “colorate”, fate voi), l'immagine dei cattivi è affidata ad agenzie pubblicitarie (leggasi alla voce Rendon Group o Bell Pottinger Public Relations) e dove gli equilibri geopolitici stanno dando origine ad un mondo tendenzialmente multipolare – non ultima la creazione della Celac in America Latina[3] – bisognava trovare uno strumento che modernizzasse il plan Condor. E cosa c'è di meglio – lo vediamo tutti i giorni anche nella cara vecchia Europa – della “moda” dei fondi speculativi (in inglese “vulture funds”, “fondi avvoltoio”, guarda caso...)?
Fondi speculativi e land grabbing. Sono questi gli strumenti del colonialismo del ventunesimo secolo.
Un cane che si morde la coda. 227 milioni di ettari. A tanto ammonta, stando al rapporto di settembre dell'organizzazione Oxfam[4], la quantità di terra che attraverso contratti di vendita o locazione ha subito un vero e proprio passaggio di proprietà negli ultimi dieci anni.
Il continente maggiormente interessato a questo procedimento e l'Africa, in particolare nella zona sub-sahariana, dove ad aprire le danze qualche anno fa fu l'Etiopia, le cui terre furono acquistate da Re Abdullah per sfamare una popolazione – quella dell'Arabia Saudita – destinata ad un vero e proprio boom demografico nei prossimi anni (così come tutta l'area del Golfo, che tra il 2000 ed il 2030 passerà, secondo le stime, da trenta a sessanta milioni di persone). L'Arabia ha aperto la strada, Cina ed India seguono a ruota, anche per quanto riguarda gli aspetti demografici.
Gran parte dei terreni acquistati (una quota intorno all'ottanta per cento) viene poi lasciata inutilizzata, così da raggiungere due obiettivi con una sola mossa: da un lato il mantenimento di un livello alto dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati, la cui instabilità porta, nel medio periodo, a modificare le abitudini alimentari delle popolazioni colpite da questo fenomeno (e stiamo parlando di qualcosa come tre miliardi di persone); dall'altro lato la non-sovranità produttiva – dato che se ho un contratto che mi impone prodotti e quantità devo, in qualche modo, onorarlo – permette di strozzare l'economia dei paesi “in vendita”, mantenendo così una delle principali voci di instabilità politica che permettono al ricco Nord di continuare a sfruttare il Sud. Il passo successivo alla crisi agricola è quella alimentare, e quindi la richiesta di aiuto alle istituzioni – nazionali e non – del Nord del mondo. A quel punto il “piano di austerità” - allora chiamati Structural Adjustment Programs (SAPs)- del Fondo Monetario Internazionale è dietro l'angolo.
Qualche nome? Il già citato governo saudita, che ha deciso di ridurre del dodici per cento la produzione interna di cereali al fine di utilizzare meno acqua, stanziando 5 miliardi di dollari per concedere prestiti a tasso agevolato a quelle imprese che vorranno investire in “potenziale agricolo” (soldi alle popolazioni che quella terra la coltiveranno saranno, con ogni probabilità, ben pochi...). Il Madagascar, come scriveva nel marzo del 2010 Alessandro Ingaria su PeaceReporter[5] «stava negoziando con la compagnia sudcoreana Daewoo un contratto per la vendita di 1,2 milioni di ettari, quasi la metà della terra arabile del Paese». Contratto che non ha però visto la luce per i problemi politici interni all'isola.
Ancora: la Bho Agro Plc, che si è assicurata 27 mila ettari di terreno dell'area di Gambella – una terra nella parte occidentale dell'Etiopia situata tra il fiume Baro e l'Akobo – in cui coltiverà piante per biocarburante, o ancora la Ruchi Group, che sempre nella stessa zona ha acquistato altri 25 mila ettari.
Una delle ultime compravendite ci porta invece in Tagikistan, che ha concesso in locazione duemila ettari di terre coltivabili (in un paese prevalentemente montuoso) alla Cina, che invierà sul posto 1.500 contadini cinesi – per far fronte all'emorragia dei contadini tagiki emigrati in Russia, dice il governo – e che ha fatto gridare allo scandalo la popolazione locale.
Quel senso di “patria”. Già, le popolazioni locali. I grandi assenti al tavolo dove si firmano i contratti di compravendita. A loro è riservata solo la lotta di resistenza. «Questa è la terra dei miei nonni, che l'hanno avuta dai loro nonni, quindi questa terra è mia» è il principio che li spinge a lottare e, in qualche caso, ad essere uccisi, come successo qualche settimana fa a Nísio Gomes[6], 59enne leader religioso della popolazione Guaraní della regione brasiliana del Mato Grosso do Sul, da dove furono cacciati circa trent'anni fa dagli allevatori di bestiame. Per loro si parla di una vera e propria “emergenza”: «Il governo ha annunciato una maggiore distribuzione di aiuti umanitari, ma continua a ignorare la radice del problema: alla tribù è stata praticamente tolta tutta la sua terra», spiega Francesca Casella di Survival in un articolo firmato da Stella Spinelli per PeaceReporter[7]. «Negli ultimi settanta anni, migliaia di Guaraní sono stati sfrattati dai loro territori dai coltivatori di soia e dagli allevatori di bestiame e solo l'un per cento delle foreste appartenenti al loro territorio ancestrale è sopravvissuto al disboscamento. Oggi, i Guaraní vivono ammassati in minuscole riserve in cui, come conseguenza, dilagano suicidi, alcolismo e violenza».
Quando non si riesce – o non si può, ad esempio per mancanza di terre acquistabili – colonizzare attraverso lo spostamento della proprietà delle terre entrano in campo altri tipi di “avvoltoi”, ancor meno visibili di quanto possa essere un contratto di compravendita firmato “lontano da occhi indiscreti”. Gli avvoltoi della speculazione finanziaria.
Piccoli Gordon Gekko[8] crescono. 26 novembre 2009, Londra. L'Alta Corte di giustizia ha appena concesso alla Hamsah Investments ed alla Wall Capital Ltd, società finanziarie con sede nei Caraibi, la restituzione di tredici milioni di euro derivanti da un vecchio credito che la Chemical Bank statunitense – acquistata nel 2000 dalla J.P. Morgan Chase & Co. - aveva concesso nel 1978 all'allora governo della Repubblica di Liberia per il potenziamento di una raffineria. Denaro che però non era mai stato restituito.
Cosa c'entrano la Hamsa Investments e la Wall Capital Ltd? Funziona così: società di questo tipo acquistano, a prezzi decisamente convenienti, diritti di riscossione dei paesi in via di sviluppo da creditori - sia pubblici che privati - aspettando il momento migliore per riscuoterli – operazione che di solito viene attivata nel momento in cui il paese debitore ha meno possibilità di coprire il debito – chiedendo a quest'ultimo la somma iniziale aumentata di interessi, more e penali (nel caso della Liberia dieci milioni più tre). Qualora il paese debitore non abbia possibilità di pagare – e questo avviene nella quasi totalità dei casi – succede quello che avviene di solito quando non è possibile riscuotere un credito: si porta tutto in tribunale. Tribunali dei paesi sviluppati, ovviamente. Vittoria sicura e dettame di legge rispettato.
Per la cronaca: il governo liberiano, per pagare questo debito, dovrebbe rinunciare al piano nazionale per lo sviluppo dell'istruzione.
Dal 2007 al 2009, riporta la Banca mondiale[9] sono stati avviati quarantasei contenziosi di questo tipo, per un totale di più di due miliardi di dollari. Dei 427 milioni di dollari “originari”, i creditori sono riusciti a ricavare circa un miliardo da paesi come il Camerun, la Repubblica democratica del Congo, il Nicaragua o l'Honduras.
Qualcuno potrebbe chiedersi se “legale” corrisponda anche ad “etico”. Qualche governo nazionale aveva anche provato ad arginare il problema dei titoli “tossici”. È in quel momento che si sono ricordati – o gli hanno fatto ricordare – che in un sistema “globalmente finanziarizzato” come quello in cui viviamo la tenuta di un governo sia legata più alla tenuta dei mercati internazionali – ed alla fiducia che quel paese ha sul mercato – che a fattori interni quali il consenso od il rispetto del programma politico. Sono stati poi proprio i titoli “tossici” – potevamo leggerlo sui nostri giornali fino a non molti giorni fa – a rallentare la crisi economica che sta attraversando i paesi del cosiddetto Primo mondo. Volete che non ci sia una qualche forma di ringraziamento per questo?
A guadagnarci, naturalmente, sono i Gekko della situazione. Nomi come quello di Peter Grossman, titolare della FG Capital Management Ltd che grazie a quei sotterfugi burocratici che questo tipo di mestiere ti fa apprendere mentre bevi ancora il latte dal biberon, è riuscito ad accaparrarsi cento milioni di dollari dalla Repubblica Democratica del Congo acquistandolo (illegalmente) attraverso il vulture fund denominato FG Hemisphere dall'ex premier bosniaco Nedžad Branković, che però non aveva il diritto di vendere un credito che apparteneva allo Stato. Dei cento milioni richiesti Grossman era riuscito a farsene riconoscere trenta, poi bloccati dall'introduzione dell'HIPC (Heavily indebted poor countries, cioè l'iniziativa per la cancellazione del debito). Al momento della creazione della legge, però, il legislatore si è dimenticato della piccola isola di Jersey, la più grande tra le isole del Canale della Manica che fa riferimento alla corona britannica e diventata un piccolo paradiso off-shore. Per la cronaca: secondo l'Unicef, quei cento milioni che la Repubblica Democratica del Congo dovrebbe dare a Grossmann potrebbero salvare la vita di 200mila bambini.
Se qualcuno sta pensando che queste siano storie lontane nel tempo e nello spazio, che riguardano “gli africani” e non certo i democratici e sviluppati italiani, è bene allora chiudere questo articolo tornando a casa nostra. L'avvoltoio che si sta avvicinando all'Italia – ed è un “signor” avvoltoio – è George Soros, l'uomo che con la vendita allo scoperto di dieci miliardi di sterline il 16 settembre 1992 costrinse i britannici ad uscire dal Sistema monetario europeo (Sme) e la Banca d'Italia, allora governata dal futuro presidente della Repubblica Ciampi, dovette intervenire con un'iniezione di 40 mila miliardi di lire per evitare che l'Italia facesse la stessa fine e che gli costò un'indagine per agiotaggio[10]. Nelle settimane scorse Soros è tornato ad interessarsi al nostro paese acquistando circa due miliardi di dollari di titoli di Stato europei, formati in buona parte da titoli (i btp, cioè certificati di debito) italiani. Chissà se anche questo acquisto gli varrà una laurea honoris causa come quella che gli concesse l'ateneo di Bologna nel 1995. Allora ad omaggiarlo c'era Romano Prodi e a contestarlo i militanti di Alleanza Nazionale[11].
È interessante, peraltro, notare un altro “hobby” del finanziere ungherese (naturalizzato statunitense) come quello di “esportare la democrazia” nei paesi in cui sembra non esserci, attraverso l' “Open Society Institute” i cui interventi “umanitari” sono stati utilizzati per cambi di regime noti come “rivoluzioni colorate”, che spesso passano nel circuito mainstream come rivoluzioni create dal popolo “esasperato” che un giorno specifico – non si capisce bene per quale motivo abbia scelto proprio quel giorno – decide di scendere in piazza e, con non troppa difficoltà, riesce a far cadere il “regime”, portando a chiedersi a cosa servano i partiti se basta una manifestazione creata su facebook per cambiare un governo. E qui, dunque, l'ultima domanda: qual è stato in questi diciassette anni, il modo maggiormente usato per descrivere il governo Berlusconi da partiti e movimenti di sinistra? Ma qui rischiamo di entrare nella fanta-politica.SB
Note
[1] http://www.youtube.com/watch?v=8WVUKEK68-8[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Condor
[3] http://senorbabylon.blogspot.com/2011/12/chiude-il-giardino-di-casa-degli-stati.html
[4] La nuova corsa all'oro. Lo scandalo dell'accaparramento delle terre nel Sud del Mondo, Oxfam Italia, 22 settembre 2011;
[5] Africa, la fame di terra, di Alessandro Ingaria, PeaceReporter, 23 marzo 2010;
[6] Ucciso il capo Guarani in lotta per la terra, di Stella Spinelli, PeaceReporter, 21 novembre 2011;
[7] Emergenza Guaranì, di Stella Spinelli, PeaceReporter, 19 marzo 2005;
[8] Interpretato da Michael Douglas nel 1988 (Oscar come miglior attore protagonista) e nel 2010 nei film “Wall Street” e “Wall Street: il denaro non muore mai”, entrambi per la regia di Oliver Stone, il personaggio è considerato il simbolo dell'avidità senza limiti e archetipo del perfetto speculatore finanziario
[9] World Bank to Increase Support to Curb Vulture Fund Actions;
[10] http://it.wikipedia.org/wiki/Aggiotaggio
[11] Soros, laureato tra le proteste, Marco Marozzi, Repubblica 31 ottobre 1995