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Creato il 07 novembre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

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Saltano sul primo gradino, Anneke gli si avvicina appena le scale si muovono e lo abbraccia, inclinando la testa in un modo buffo: le braccia di Steffan la circondano, si fa concavo dove la pancia spinge convessa, la sente annidarsi, tiepida e soda contro il suo bassoventre, e spingere. Un brivido elettrico lo attraversa quando lei gli apre le labbra con un dito, accostando le sue socchiuse. Steffan vede la lingua brillare umida tra i denti, chiamarlo a sé, muta. Affonda la bocca nella sua un istante, ma Anneke si tira indietro ridendo. Sembra sia passata un’ora, ma sono solo pochi secondi: la scala ha già quasi finito la sua lenta corsa, proprio come l’eccitazione. Mentre il sangue tenta di recuperare il suo corso, un’ondata di bitume e acido ne prende il posto. Odia il momento in cui hanno deciso di “farlo”, e quell’essere insignificante che ha la capacità di respingerlo. Più di tutto odia Anneke, le sue mossette, il suo modo di eccitarlo per poi allontanarlo, il richiamo che semina attorno a sé, il suo odore da cagna, i seni grossi, la pancia enorme. Via, via queste braccia molli, via dalla sanguisuga che le cresce dentro, che ha rubato tutto quello che un tempo amavo di lei, che verrà fuori a breve tra merda e sangue e urla e prenderà il mio posto…via!

In bilico sugli ultimi scalini, Steffan afferra bruscamente i polsi di Anneke per spingerla verso il vuoto.

REWIND

La sta fissando ma non la vede davvero: saltano sul primo gradino e Anneke cerca inutilmente i suoi occhi. Dove sei, Steffan, io sono qui con te, guardami. Come se l’avesse sentita abbassa lo sguardo nel suo: Anneke si incolla a lui, sente la pancia che li separa e cerca di annullare la distanza. Una manciata di centimetri che diventano galassie perché si sente goffa e pesante come mai prima, il corpo di una marionetta che non risponde agli impulsi del cuore. Impaurita, stanca, Anneke simula allegria, mentre fruga sul viso di Steffan alla ricerca del suo sorriso, quella smorfia giocosa che sembra fuggita da tempo. Lo abbraccia forte per trattenerlo, ma quella pancia indecente li separa; preme, allora, gli si strofina addosso, non mi importa del bambino, io voglio Steffan, lo voglio com’era prima. Prima di questa storia che mi sta succhiando l’aria, che mi sta uccidendo in un assedio di noia. Quando fanno l’amore Steffan è attento e teso, ogni gesto sembra essere intriso di paura, la naturale passione stemperata, liquidata dal timore. Non è questo che vogliamo per noi, Steff… Anneke gli tocca le labbra, e vorrebbe baciarlo, quando la fulmina improvviso il pensiero di Monika, la ragazza che lavora con lui da qualche mese. Da quanto con precisione Steffan è cambiato? È riservata a lei la smorfia delle labbra, è con lei che Steffan scherza e fa l’amore ora? Quelle domande che non ha il coraggio di formare con i suoni le si affollano sulla lingua, apre la bocca e sente Steffan baciarla: uno schifo impulsivo, inatteso la sommerge, la saliva di lui –scopa con un’altra, ne sono certa-  le dà la nausea, ride di furia per non urlare; il mondo gira attorno mentre la scala sta per fermarsi e Anneke alza entrambe le mani per colpirlo al volto.

REWIND

Saltano insieme sullo stesso gradino, leggeri e belli. Io sono giusto dietro, li guardo storto, ma non se ne accorgono. Vorrei spingerli, scavalcarli e correre via, ma respiro a fondo e mi trattengo, non devo dare nell’occhio, ho tutto il tempo che mi serve per uscire da qui prima che… Prima che. Non voglio pensarci. Il centro commerciale è pieno di gente, sparsa ovunque: bambini, vecchi, piccoli gruppi e coppie. Per quanti siano, sono sempre soli e comprano, comprano come se non contasse altro, ficcare nella loro vita oggetti a riempire il vuoto dentro di loro. Questi due invece non sono soli, lei lo sta guardando fisso e lui le risponde con gli occhi, un filo rosso lega le loro mani, io lo vedo. Sono chiusi in una bolla di comprensione e pazienza e futuro. Galleggiano nelle parole che non hanno bisogno di dirsi, nelle certezze dell’amore, certezze stupide, rosa, infantili. Tutto finisce, che sia per noia o per una bomba, tutto ha una fine; io lo so, ma se glielo dicessi pensate che mi crederebbero? Lei gli punta la pancia contro come un proiettile, e lui si lascia colpire, curvandosi su quello che sarà suo figlio. O non sarà mai. Guardo l’orologio centrale tra cartelloni di salumi rosso sangue e pubblicità di biancheria a prezzi stracciati: il momento rallenta, invischiato nei meccanismi del terrore, la scala si è appena mossa, questi due si baciano, io sono bloccato dietro di loro e il tempo non va avanti. Il panico mi prende: come morirò? Come moriranno? Sarà la pressione improvvisa a schiacciarci al suolo o schegge di vetro e metallo a squarciare vene e tessuti? Spero di non avere il tempo di vederli soffrire, spero di farcela a chiudere gli occhi prima. Ho la maglietta attaccata alla pelle, rivoli di sudore rancido sulla schiena. La ragazza lo guarda, si stringe attorno a lui, è una gara di protezione tra due condannati a morte, ignari di tutto. Le mani di lei sono lunghe come le tue, dolci come le tue attorno alle mie spalle al funerale di mio fratello. Madre, consolami ora, dovrei essere felice della mia vendetta, e non lo sono.  Mi morde una pena feroce, e vorrei che finisse.

Si baciano per un attimo troppo breve, poi si staccano bruscamente: hanno sentito la mia presenza, un rumore… non so, qualcosa li ha separati, rompendo la bolla. In quell’istante, prima che la scala finisca di muoversi, prendo la mia decisione. Apro le ali come l’angelo della morte, li abbraccio entrambi mentre il mondo esplode e li porto via con me. Ovunque sarà.


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