Anna Lombroso per il Simplicissimus
Spettacolo nella spettacolo, è andata in onda domenica la sacra rappresentazione manichea del millenario contrasto tra bene e male, morale e spregiudicatezza, sobrietà e esagerazione, belli e bestie, perfino alti e bassi.
E come al solito ha vinto l’ipocrisia: tutti si sono festosamente e automaticamente schierati con l’abatino compunto che l’aveva avuta vinta contro lo sgangherato interprete più antipatico e virulento del regime, colpevole di “sgarbismo”, maleducazione, aggressività, perfino di bassa statura, caratteristica ieri nuovamente al centro del dibattito in rete, come allegoria del risarcimento estetico offerto alle vittime della sopraffazione del potere o come simbolo di una condanna della natura comminata all’empio Berlusconi e ai suoi, visto che quella giudiziaria non c’è verso di applicarla.
Così, soddisfatti per l’andamento del ridicolo duello tra la faziosità becera di Brunetta e quella – di nome e di fatto – leziosamente velenosa di Fazio, si sono dispersi anni e memoria di una battaglia per l’informazione, che, proprio nella Rai, aveva il suo terreno di contesa esemplare.
Ci sarebbe da sospettare che la liturgia del battibecco, ormai rituale nella consueta commedia all’italiana, sia un accorgimento studiato a tavolino per nascondere più che per portare alla luce, per distrarre più che per indirizzare i riflettori sulla completa realizzazione del sogno berlusconiano – e diversamente berlusconiano dei suoi soci in affari: il superamento cioè del dualismo per arrivare a quella trionfale ricomposizione che potrebbe andare sotto il nome di Raiset, cui possiamo annettere il “non è la Rai”, ma poco ci manca de la 7, con quell’apoteosi del ricongiungimento, quel “servizio pubblico” offerto da Santoro a Berlusconi.
Perché altrimenti non si spiega come mai nessuno di quell’antica formazione, caduta in desuetudine e chiamata centro sinistra, i suoi esperti di settore, i frecceri, i vita, gentiloni, i mucchetti, si siano disarcionati da soli dal cavallo di Viale Mazzini e abbiano ammainato la bandiera del pluralismo, del doveroso servizio offerto ai cittadini.
Proprio come il conflitto d’interesse, anche quelli sono fronti superati dai fatti, o consolidati da nuovi poteri: l’oscena legge Gasparri faceva dipendere il governo dall’azienda dall’esecutivo e dai partiti, grazie a Monti è stato consegnato ai contabili, alla Tarantola, a Gubitosi, messi là a badare alla raccolta pubblicitaria drenata, come ad altre tv generaliste, nelle forme più varie e insidiose, ai buchi neri della Sipra, ai costi di gestione diminuiti a fronte dell’aumento di quelli per il personale saliti del 150%, ai proventi del canone di abbonamento, il più basso d’Europa ma anche, meritatamente, il più evaso, a conferma che proprio come per i governi che si avvicendano nel paese, a contare sono i quattrini da tagliare o quelli da elargire ai propri cari e famigli, a discapito di qualità e interesse generale.
E’ stata dimenticata perfino dai sacerdoti neo liberisti la tanto auspicata o denigrata privatizzazione. E lo credo bene: se privatizzare significa corrispondere a interessi personali, esercitare o subire pressioni opache, stringere alleanze trasversali e consolidare anche qui il passaggio accelerato dal compromesso alla coincidenza di profitti e rendite, beh allora i giochi sono già tutti fatti.
Da anni la Rai non è più giacimento di competenze e professionalità, penalizzate dal clientelismo, non produce in favore della giostra di appalti e incarichi ai soliti noti, società buone per la marmellata di tutte le reti, tutti i pubblici, tutte le emittenti, non inventa preferendo acquistare, scopiazzare, replicare format e programmi già testati da audience di bocca buona e telecomandi distratti.
È che alla fine l’Italia si accontenta delle imitazioni, quelle di Crozza, rimaste l’unico graffio dispettoso e irriverente, ma anche delle parodie dell’informazione tramite talkshow ridotti a doverose passerelle degli squallidi figuranti dei consigli di amministrazione della nazione, delle copie taroccate dell’approfondimento culturale con la maestrina Concita, che tira giù dalla sua bibliotechina Salani i sacri testi della “società civile”, magari segnalati dai consiglieri d’amministrazione delegati all’uopo, Tobagi e Colombo, delle contraffazioni dell’intrattenimento profondo e della riflessione sui grandi temi, affidati alle melense sceneggiature del Fazio che risorge dal tappeto solo in presenza di uno più in basso di lui, o che lo tocca nel portafoglio, possibilmente pescato nello sprofondo dei grandi odiosi, fico o brunetta, tanto i potenti poi li invita a Sanremo, o alla signorina delle Coop che fa opposizione eversiva tramite parolacce come i bambini dispettosi: culo culo cazzo cazzo. E della fantasiosa riproduzione della democrazia, offrendo una tribuna a scomodi diventati comodissimi e a oppositori diventati stampelle accondiscendenti.
È un peccato che le parole d’ordine dell’esigenza di una informazione trasparente e moderna e di un intrattenimento intelligente, per contrastanti interessi e travagli, per l’approssimazione dei 5stelle o per una loro indole all’integrazione arrendevole a fronte di esternazioni teatrali, sia pur traviate e avvilite, passino di mano e siano impugnate dall’improntitudine improbabile e inattendibile di Brunetta. Che, duole dirlo, perde lo scontro per i conclamati vizi suoi personali, ma soprattutto per quello tutto italiano che si chiama ipocrisia, così da considerare normale e non disdicevole un compenso stellare, così da ritenere legittima una raccolta pubblicitaria che lo remunera grazie agli spot girati dagli stessi conduttori, così da valutare come accettabile l’ostinata opacità di costi e bilanci.
È proprio vero, in troppi piangeranno per l’eclissi di Berlusconi, anche quelli che di lui hanno fatto il loro brand.