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Poesia – Er carro mio me s’è sfasciato (Il carro mio si è sfasciato) di Cristiano Torricella

Da Maclamente @liberamentenet

Riflessoni, domande e pensieri senza peli sulla lingua nella poesia che abbiamo il piacere di ospitare tra le nostre pagine quest’oggi.

Cristiano Torricella torna con Er carro mio me s’è sfasciato (Il carro mio si è sfasciato)!

   

Er carro mio me s’è sfasciato Il carro mio si è sfasciato

   

"er carro mio me s’è sfasciato, "il carro mio si è sfasciato,

‘n do stà a scienziato che, mò, m’o rripara?" dovè lo scienziato che, adesso, lo ripara?"

- me chiedo e ddico, io, - mi chiedo e dico,

‘mprecanno, imprecando,

tutt’ essudato. tutto sudato.

   

"se n’è ito all’estero, "è fuggito all’estero,

che quà nun magnava n’ cz!" - che qui moriva di fame!"

m’ arisponne, ‘nsolente, ‘n regazzino. mi risponde, insolente, un ragazzino.

   

Eh già, pecchè, mò, Eh già, perchè ora,

ste gravi cose, questi gravi fatti,

de ‘st’ Itaglietta mmia, di questa Italietta mia,

‘e sanno puro, oggi, le sanno, anche, oggi,

anche li regazzini, e li munelli!. anche i ragazzini ed i monelli!.

   

E cchi nun ‘o sa, oggi, E chi non lo sa, oggi,

che va avanti solo, e sortanto, hodie, che vanno avanti solo, e soltanto, hodie,

er vil dellinquente, il vil delinquente,

er servo furbo, il servo furbo,

‘a parentocrazia? la parentocrazia?

   

Che er merito è, oggi, communemmente, sputo? E che il merito è, oggi, comunemente, uno sputo?

   

Che ‘a celere ggiustizzia, sovente, Che la celere giustizia, sovente,

addorme e latita, addorme e latita,

propio llà, proprio là,

addentro a sti ffaldoni?

dentro a questi faldoni?

   

E che er vile e l’abbusivo E che il vile, e l’abusivo

so’ sì fforti, ccor ppovero, son così forti, nei confronti del povero,

usanno, usando,

proprio ppè questo, proprio per questo,.

tutta ‘a loro fforza, le maniere forti, e tutta la loro forza,

abbruta, astuta, bruta, astuta,

e ffalsa ttestimmonianza, e persino la falsa testimonianza,

e ppreppotenza, e la prepotenza,

e ‘nfammia, e l’infamia,

mentre strisceno, mentre strisicano,

ccor ricco e ccor potente, davanti al ricco ed al potente,

a fà, llesti, ssalamelecchi, a far, lesti, molti salamelecchi,

lli vil servi, ‘sti llecchini! questi vil servi, questi lecchini?

   

Se vede proprio, oggi, Si vede proprio, al giorno d’oggi,

che st’ italo servo che quest’italo servo

nun tiene più, manco, non ha più, nemmeno,.

‘n becco dde ‘n quatrino, un becco di un quattrino,

e pur de dignità, oggi, e che anche di dignità, oggi,

pur minimma, difetta: seppur minima, difetta:

ruberebbe, perzin, ruberebbe, perzin,

isso, oggi, esso, oggi,

li denti d’oro, a lli morti, i denti d’oro, ai morti,

dd’ anniscosto, di nascosto,

s’ej fuzze, addavero, s’egli fosse, davvero,

llui, er bbecchino! lui, il becchino!

   

O mores o tempores, O mores o tempores,

schifidi e vil, dde oggi! schifosi e vili, d’oggi!

   

Poveri nnoi e vvoi, Poveri noi e voi,

onnesti e labboriosi, onesti e laboriosi,

cittadin, rommani! cittadin romani!

   

Ssento arivà mmaretta! Sento arrivar maretta (tempesta)!

Chi sse serva è bbravo! Chi si salva è bravo!

Corri a annisconne er pupo! Corri a nascondere il bambino! (vedi nota *1)

   

Così m’allento ‘a cravatta, Così mi allento la cravatta,

cche me sento soffocà er grugno, che mi sento soffocare il grugno, (vedi nota *2)

e spegno ‘sta ‘nfernal tivvù, e spengo questa infernale TV,

sì mmaleddetta, così maledetta,

e sto teleggiurnal, e questo telegiornale,

mmnotono, così monotono,

che mme fa, sì, che mi fa, così,

mal, così, a la testa! male alla testa!

   

Pur ‘issa, n’ ce credi? Anche questa, ci credi?,

sta mala cravatta, questa cattiva cravatta,

na ‘a sopporto ppiù… non la sopporto più…

e mmò me ‘a levo, ed adesso la tolgo

e ‘ a bbutto via. e la butto via,

Vvia! Ggiù! Via! Giù

   

Ttanto che llavoro a ffà, Tanto, che lavoro a fare?

e che mme sacriffico, A che serve che mi sacrifichi,

ppiù, ccosì, ppè gnente? ancora di più, per niente?

   

Chi sò ppiù, io, ormai, Chi sono io, più, oramai,

tra ‘a mmia, vvinta, perso tra la mia vinta,

poppolare, addisperata, popolare, disperata,

e rrional, ggente? e rionale, gente?

   

Gnente de gnente, Niente di niente,

più gnente, semo, perchè più niente siamo, * (vedi nota 3)

nnoi che llavoramo! noi che lavoriamo!

   

Mha… Mha…

a cche serve, ed a che serve,

ancora, oggi, ancora, oggi,

llavorà?! lavorare?

   

Mbhè, Mbhè?

e mò, tu, E adesso,

che vvoi, che vuoi, tu,

dda mi? ancora, da me?

   

Che ci hai dda gguardà, Cos’hai da guardare,

qqui, ancor ttu, qui, ancora qui, tra i piedi,

o monello? o monello?

   

A cravatta, mmia, ner secchio? La cravatta mia, nel secchio?

   

Mmejo a ccravatta mmia, Meglio la cravatta mia,

nner ssecchio, nel secchio,

che ttutto er mmio cervello! che tutto il mio cervello!

   

Note esplicative dell’autore del testo:

* nota 1) bambino, inteso qui, in dialetto romanesco gergale figurato, come qualcosa di prezioso in genere: nascondere il bambino può essere inteso, qui, anche come nascondere del denaro illecito, oppure un gruzzolo di mala provenienza, spesso vinto, barando, al gioco dei dadi o delle tre carte.
Chiara allusione, da parte dell’autore, alla cattiva coscienza della parte peggiore del popolo, che ha, talvolta, e spesso, la coscienza sporca; avendo esso votato, al potere, della gentaccia, a governarlo,
ed essendo, proprio da essi, se medesimo, vessato, oggi esso stesso se ne lamenta, pubblicamente,
come s’esso stesso non avesse, affatto, contribuito ad eleggere tali malfattori, che oggi lo vessano.

* nota 2) non abbiamo più volti e visi, ma grugni: dice il poeta, qui, che la crisi economica in atto ci ha ridotti come delle bestie, abbrutendoci peggio degli animali, gli uni contro gli altri, imbestialiti in una feroce guerra tra poveri, una guerra di tutti contro tutti, senza fine e senza pietà alcuna, in cui il più debole soccombe, schiacciato dal più forte e prepotente, mancando, persino, gli ospedali ed i pronto soccorso di zona

* nota 3) “perchè più niente siamo, noi che lavoriamo!”: ci hanno tolto il lavoro e/o lo hanno reso più precario; ci hanno tolto la speranza, i diritti acquisiti, la pensione futura, la tranquillità;
ci hanno supertassato e destinati ad essere controllati elettronicamente, da un SuperFratello digitale ed onnipresente; hanno fatto dei giovani, degli over 40, delle donne, e di tutti noi, predestinata carne da macello, utile soltanto ad aumentare il PIL nazionale, annuale, prodotto! Addio speranze!

* nota 4) la cravatta, allusione all’attività lavorativa-impiegatizia, svolta dal poeta, a fine ’900,
per la Grande Distribuzione Organizzata, a Pomezia (RM), città industrial-commerciale alle porte di Roma, nel Sud Pontino


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