Parliamo spesso di Africa, citando la “sua” fame e le aspre battaglie. Siamo consapevoli del razzismo che ancora vige riguardo a questo continente; organizziamo spedizioni, conferenze, aiuti umanitari per mettere a tacere la nostra coscienza; concerti di importanza mondiale per combattere le malattie. Ma gli africani rimangono un popolo lontano, con la loro vita che a stento riusciamo ad immaginare. Forse è per questo che fa un certo effetto imbattersi nelle parole di chi ha visto scorrere sotto ai propri occhi eventi tanto drammatici; parole appena sussurrate, più spesso gridate e trasformate in poesia.
Anche quello che noi chiamiamo “Terzo Mondo” ha la sua tradizione letteraria, sebbene l’alfabetizzazione si sia diffusa nell’Africa sub sahariana solo nel XIX secolo ad opera dei missionari cristiani. Prima dell’incontro con le culture europee, era costituita interamente da una tradizione orale, che si tramandava di padre in figlio. Soprattutto, nei testi poetici del popolo africano, dominano disillusione e tristezza e la certezza che qualcosa cambierà.
Abbiamo preso ad esempio tre poeti di questo magnifico Paese. Tre autori che hanno risentito della civiltà europea, dove hanno contribuito a portare i riflessi della loro terra.NDJOCK NGANA è nato in Camerun nel 1952. Nel 1973 ha lasciato il suo paese per trasferirsi in Italia. Attualmente vive a Roma. Il suo nome italiano d’adozione è Teodoro. Ha seguito la strada dell’impegno politico, sociale, culturale per la conservazione delle culture africane e per la diffusione delle altre culture. A Roma lavora come operatore interculturale. È autore della raccolta di poesie “Nhindo Nero”, Edizioni Anterem, 1994. Sua è la poesia:
“Prigione”.
Vivere una sola vita
in una sola città
in un solo Paese
in un solo universo
vivere in un solo mondo
è prigione.
Amare un solo amico,
un solo padre,
una sola madre,
una sola famiglia
amare una sola persona
è prigione.
Conoscere una sola lingua,
un solo lavoro,
un solo costume,
una sola civiltà
conoscere una sola logica
è prigione.
Avere un solo corpo,
un solo pensiero,
una sola conoscenza,
una sola essenza
avere un solo essere
è prigione.
Il termine “prigione” non esisteva in Camerun prima dell’arrivo degli occidentali. È stato creato da una radice che significa “maledizione”. Nei versi il desiderio di aggirare il rischio della stasi in cui l’emigrante può cadere, nel tentativo di preservare le sue origini per non farsi assimilare dalla cultura ospitante. Per Teodoro la prigione è data proprio dal riconoscersi in un solo modo, mentre invece l’identità è vista come qualcosa di dinamico in perenne costruzione.
MARTIAL SINDA, poeta dell’Africa centrale, è nato nel 1935 in Congo. La sua è la voce di un africano di oggi, maturato nella coscienza dei suoi diritti, che non si commisera per il colore della pelle e per le modificazioni subite, ma si proclama fiero della sua razza e del mistero in essa racchiuso, cupo e insieme luminoso come la vita. Di Martial Sinda abbiamo riportato.
“Silenzio”:
Sempre silenzio.
Non parliamo più.
Non danziamo più.
Non gridiamo più.
Perché non siamo liberi.
Perché non siamo più liberi in casa nostra.
O Africa d’un tempo!
O Africa domata!
O Africa, Africa nostra.
Tam- Tam, Tam- Tam- Tu
senza sosta, per sempre.
Africa, paese delle tristezze!
Africa, paese senza danze, senza canzoni!
Africa, paese di pianti e lamenti…
Tam- Tam, Tam- Tam- Tu
Senza sosta,
suonati per sempre ,
per rianimare tutta l’Africa.
Per risvegliare quest’Africa addormentata,
fino alla creazione d’un’Africa Nuova,
ma sempre Nera.
Roli Hope Odeka
ROLI HOPE ODEKA ha scritto poesie fin da quando aveva sei anni e viveva con la famiglia in Nigeria. Del 2000 è la prima raccolta “Reviving Eco”, dove la poetessa esprime su carta la rabbia che ha nei confronti della società dove è cresciuta, poco attenta alle esigenze delle donne.
È chiamata la “poetessa Primitiva”, poiché nelle sue poesie si legge ancora la sensazione infantile che l’ha sempre salvaguardata dalla società in cui ha vissuto. Si tratta di un’artista poliedrica, poiché è scrittrice, poetessa e compositrice. Di Roli Hope Odeka abbiamo scelto la poesia:
“Vita Galleggiante”
Che cosa vivrò per l’oggi o il domani
Una vita dolce, un dolce cammino, senza problemi.
Vedere, incontrare volti sorridenti
Evitare cose che portano problemi
Non una vigliacca ma augurandomi il meglio
andare insieme alla corrente galleggiando
e a volte andare contro corrente.
La mia vita sta galleggiando liberamente nel nulla
Non mi piace cercare gli ostacoli
Stendo le mie mani per raggiungere soltanto
ciò che posso ottenere e toccarlo forte
Guarda, o vieni con me che galleggio
Non voglio annegare
La mia vita è un galleggiare.
In particolare, le poetesse trovano parole nuove per esprimere quello che non poteva essere detto sulla relazione uomo- donna, sul corpo, sull’amore anche inteso come sentimento per se stesse, il primo imperativo cui ogni donna dovrebbe ubbidire. Attraverso la poesia, avviene il loro riscatto.