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Poeti-cantautori russi: Vladimir Vysotskij, Aleksandr Galich, Novella Matveeva

Da Paolo Statuti

 

Tre poeti-cantautori russi tradotti da Paolo Statuti

 

Vladimir Vysotskij

Vladimir Vysotskij

 

   Vladimir Vysotskij (1938-1980), poeta-cantautore e attore la cui creazione ha avuto una grande e durevole influenza sulla cultura russa. Le sue canzoni esplorano una vasta gamma di temi, dalla commedia al campo sociale e politico. Nel 1990, dopo un incontro con il poeta-cantautore Aleksandr Galič, si dedica alla chitarra e comincia a cantare testi sui diseredati e sulla malavita. Nel 1967 conosce sul set di un film l’attrice francese di origine russa Marina Vlady (Marina Vladimirovna Poljakova-Bajdarova), che due anni dopo diventerà la sua terza moglie. Grazie al suo matrimonio con Marina, iscritta al Partito comunista francese, ottiene il passaporto e può viaggiare all’estero, ma non approfitterà mai di tale libertà per fuggire oltre la cortina di ferro. Muore nel 1980 per arresto cardiaco, dovuto pare anche ad eccessi alcoolici e all’uso di droghe. Ai suoi funerali, svoltisi a Mosca, parteciparono centinaia di migliaia di persone, malgrado la notizia fosse stata taciuta dalla stampa. In circa venti anni, Vysotskij ha creato più di 2000 testi, tra canzoni e poesie. Ancora oggi egli rimane un’icona per il popolo russo e un modello per i musicisti del suo paese.

 

*  *  *

Ogni sera mi accendono le candele,

E la tua immagine è offuscata dal fumo, -

E non voglio sapere che il tempo guarisce,

Che tutto passa insieme con esso.

 

Io non perderò più la pace:

Tutto ciò che era sull’anima un anno fa,

Senza saperlo l’ha preso lei con sé –

Dapprima in un porto, e poi sull’aereo.

 

Nella mia anima – un solo grande deserto, -

Cosa cercate nella mia anima vuota!

Troverete solo squarci di canzoni e ragnatele, -

Tutto il resto l’ha preso lei con sé.

 

Nella mia anima – solo mete senza strada, -

Frugate in essa – troverete soltanto

Qualche mezza frase, dialoghi incompiuti, -

E il resto – la Francia, Parigi…

 

Che la sera mi accendi pure le candele,

E la tua immagine sia offuscata dal fumo, -

Ma non voglio sapere che il tempo guarisce,

Che tutto passa insieme con esso.

 

1968

 

La visita della Musa

 

Ora io esploderò, come cento tonnellate di tritolo, -

Ho una carica di furore non creativo.

Oggi la Musa è venuta a farmi visita,

E’ venuta, è rimasta un po’ e se n’è andata.

 

Aveva certo i suoi buoni motivi.

Io non ho il diritto di lamentarmi.

Pensate, la Musa di notte con un uomo!

Dio solo sa cosa avrebbero insinuato.

 

Eppure mi dispiace, mi sento solo,

Questa Musa, la gente lo conferma,

Passava giorni interi con Blok,

E Bal’mont non lo lasciava mai.

 

Sono corso al tavolo – impaziente,

O Signore, pietà di me, salvami!

Ma se n’è andata, è scomparso l’estro,

E tre rubli che le servivano per il taxi.

 

Come belva furiosa giro per la casa.

Dio benedica la Musa, io la perdono.

Mi ha lasciato per qualcun altro

Io, a quanto pare, non l’ho bene ospitata.

 

Un’enorme torta, con le candele infilate,

Seccatasi dal dolore, e sono essiccato anch’io.

Coi vicini di bassa lega ho bevuto,

Il cognac alla Musa destinato.

 

Son passati gli anni, come gente nella lista nera.

Tutto è nel passato – sbadiglio di noia.

Lei se n’è andata in silenzio all’inglese,

Ma due versi ha lasciato.

 

Eccoli, – sono un genio, senza dubbio!

Per me applausi, lauri e fiori!

Ecco i due versi: “Ricordo il magico momento,

Dinanzi a me apparisti tu!”

 

1969

 

Aleksandr Galich

Aleksandr Galich

 

   Aleksandr Galič (1918-1977), pseudonimo di Aleksandr Ginzburg, poeta-cantautore e drammaturgo. La sua attività letteraria iniziò molto presto e il suo talento fu notato da Eduard Bagrickij. Terminato lo “Studio di opera e dramma Stanislavskij”, durante la guerra lavorò nel teatro, prima a Groznyj, poi a Taškent. Ha scritto diverse opere teatrali, rappresentate con successo nell’Unione Sovietica, e la sceneggiatura per alcuni film. Agli inizi degli anni ’60 diventò con Vladimir Vysotskij e Bulat Okudgiava (v. quest’ultimo nel mio blog musashop.wordpress.com) uno dei più famosi cantautori. Le sue critiche al regime sovietico gli causarono molti problemi, Nel 1971 fu espulso dall’Unione degli Scrittori dell’URSS. Nel 1974 fu costretto a emigrare. Visse un anno in Norvegia, in seguito si trasferì a Monaco di Baviera, dove aderì all’organizzazione anticomunista “Alleanza nazionale dei solidaristi russi”. Infine si stabilì a Parigi. In occidente pubblicò due raccolte di poesie e un libro di ricordi. Fu trovato morto nella sua abitazione, ufficialmente ucciso da una scarica di corrente elettrica, ma secondo un’opinione diffusa la sua morte fu un omicidio o un suicidio.

 

La romanza di Tonečka

 

Lei raccolse le sue cose e disse sottovoce:

“Dunque ami Tonečka, proprio Tonečka, mio Dio!

Non lei ti ha sedotto con gli umidi baci,

Ma suo padre e gli agenti sotto le finestre.

Suo padre e la sua casa di campagna,

Suo padre, i suoi lacchè e le segretarie,

Suo padre e i suoi agganci col partito,

E nei giorni di festa il cinema privato!

E poi quella tua Tonečka è così brutta –

Ma non ascoltarmi, io sono quella di ieri!

Dormirai con una tavola da stiro,

Per usare la sua macchina privata…

 

Questo solo hai voluto, e lo sai bene,

Lo sai bene, e non ti vergogni,

Per amore, ripeti, per fiducia,

Per altri motivi elevati!

Ma negli occhi hai la casa di campagna,

I lacchè, gli agenti e le segretarie,

E pensi ai film che vedrai in famiglia,

E alla gioia sulla bocca – caramellosa…”

 

Ora vivo nella mia casa – nulla mi manca,

Ho anche i pantaloni con la lampo,

E in casa abbiamo fiumi di vino,

E dieci cessi abbiamo in casa…

Suo padre torna a mezzanotte,

Agenti e servi tutti in fila!

E io gli porto una vodca,

Gli racconto una storiella sugli ebrei!

Ma quando vado a letto con la sciocca Tonečka,

Ricordo l’altra, l’altra voce sottile…

Oh, lei non scende a compromessi,

Le telefono, ma lei non dice una parola…

 

Autista, portami dunque a Ostankino,

A Ostankino dov’è il cinema Titan,

Dove lavora come mascherina,

Sta sulla porta tutta congelata,

Tutta congelata, tutta intirizzita,

Ma lei il suo amore ha domato,

Tutta assiderata, tutta infreddolita.

Ma senza tradire e senza perdonare!

 

1962

 

Quando io tornerò

 

Quando io tornerò…

Non ridere – quando io tornerò,

Quando passerò, sfiorando la terra, sulla neve di febbraio,

Lungo un’esile traccia – verso il calore e il rifugio -

E, trasalendo di gioia, al tuo richiamo d’uccello mi volterò –

Quando io tornerò.

Oh, quando io tornerò!..

 

Quando io tornerò…

Ascolta, ascolta, non ridere,

Quando io tornerò,

E dalla stazione, sistemata in fretta la dogana,

E dalla stazione – irromperò nella buia, futile,

Burattinaia città, che mi tormenta e maledico,

Quando io tornerò.

Oh, quando io tornerò!..

 

Quando io tornerò,

Andrò in quell’unica casa,

Dove il cielo non può competere con l’azzurra cupola,

E il profumo d’incenso, come profumo di pane d’ospizio,

Mi colpirà e sguazzerà nel mio cuore –

Quando io tornerò.

Oh, quando io tornerò!..

Quando io tornerò,

Fischietteranno gli usignoli a febbraio –

Quel vecchio, antico, dimenticato motivo.

E io cadrò,

Colpito dalla mia vittoria,

E urterò la testa, come contro una banchina –

contro le tue ginocchia!

 

Quando io tornerò.

 

Ma quando tornerò?!

 

1973

 

Novella Matveeva

Novella Matveeva

 

   Novella Matveeva è nata nel 1934 a Tsarskoe Selò (oggi Puškin). Cominciò a scrivere grazie all’influenza esercitata su di lei dalla madre Nadežda – una donna colta che amava molto la poesia. Inoltre in casa la musica risonava senza sosta e la madre cantava canzoni zigane, russe e napoletane con la sua bella voce. Novella Matveeva compose i suoi primi versi durante la guerra, quando era ancora una bambina. La prima ad essere pubblicata nel 1957 fu una parodia della canzone “Cinque minuti”, dal film “Notte di carnevale”. Dal 1959 le sue poesie cominciarono a essere pubblicate regolarmente da importanti riviste letterarie.

Nerl 1962 la poetessa terminò i corsi superiori di letteratura, presso l’”Istituto A.M. Gor’kij”. Nella sua poesia prevalgono elementi lirico-romantici. Ella interpreta i più alti sentimenti dell’uomo, i suoi sogni, e il mondo della natura che lo circonda. Scrive molto anche per i bambini e traduce. Dalla sua penna sono usciti più di 30 libri di poesia, prosa e traduzioni. Dalla fine degli anni ’50 esegue le sue canzoni accompagnandosi con una chitarra a sette corde. Nel 2002 la sua raccolta di poesie “Il gelsomino” ha ricevuto il Premio della Federazione russa per la Letteratura e le Arti.

 

C’è una vita ripugnante e profetici esempi

 

C’è una vita ripugnante e profetici esempi,

Che benché importanti non entrano nel verso.

La legge del verso è severa: ci pone barriere

E dice: «Salta, ma soltanto da qua a qua».

 

Ci sono tesori di preziose lacrime, miniere, grotte

Di chimere diamantine e di fatti dorati,

Ma la musa non presta loro la minima fede,

Finché la luce dell’addobbo non li illuminerà.

 

Quanto spesso una forza oscura affligge il cantore!

Come se il canto alleviasse la sua pena!

Canta, sbrigati, Orfeo! Il tuo dono ti salverà!

 

La folla sotterranea già lo tira per la veste…

Egli può morire, finché prepara le parole!

Ma le parole non preparate non pronuncerà.

 

La ragazza della taverna

 

Senza ragione il mio amore temevi –

Io non amo in modo così orrendo.

A me bastava solo vedere

Che mi guardavi sorridendo.

 

E se te ne andavi da un’altra

O eri chissà dove, semplicemente,

A me bastava che il tuo cappotto

Fosse appeso al chiodo come sempre.

 

E dopo che tu, ospite passeggero,

Te ne andasti, cercando un terno al lotto,

A me bastava che quel chiodo

Fosse lì anche senza il tuo cappotto.

 

Lo scorrere dei giorni, il fruscio degli anni,

La nebbia, la pioggia, il vento, e di sicuro

In casa non poteva succedere di peggio:

Hanno staccato il chiodo dal muro.

 

Lo scorrere dei giorni, il fruscio degli anni,

La nebbia, il vento e il suono della pioggia,

A me bastava che di quel chiodo

Fosse rimasta almeno un’impronta.

 

Quando anche l’impronta è scomparsa

Sotto il pennello di un vecchio pittore,

A me bastava che l’impronta

Del chiodo l’avessi vista ieri.

 

Senza ragione il mio amore temevi.

Io non amo in modo così orrendo.

A me bastava solo vedere

Che mi guardavi sorridendo.

 

E nel caldo vento cogliere di nuovo

Il pianto dei violini e dei timpani il suono…

Ma ciò che io avrò da tutto questo,

Tu non lo capirai mai di certo.

(C) by Paolo Statuti

 



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