Compleanno 1999
Resta un filo d’ombra indecifrabile nella mente
Come l’orgoglio che s’attarda sulle rovine
Abbandonato l’ingannevole incanto delle parole
La mia trincea di resistenza
E non sospetti la leggerezza della memoria
Senza difese alla deriva degli anni.
Ora faccio le cose di tutti i giorni
E inciampo nelle parole dei libri
Che inserrano il tempo della rassegnazione
A celebrare la cerimonia del disarmo
E so che tutto non è mai accaduto
Perciò provo a tentare la vita con lentezza
E questa premura di scrivertelo.
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Vorrei chiederti
Vorrei chiederti di darmi un giorno
Senza mattina né mezzogiorno
Né il farsi tardi
Ma un giorno solamente fatto di giorno
Di pioggia di nebbia e di moltissime ore
Di certe parole
Un giorno alto e bello e solitario
Un giorno con moltissime notti
Vivere con quel giorno per un giorno
Per inventare un mondo dove
Tu puoi scegliere e io tacere
Tu camminare e io rimanere
Un giorno copioso di minuzie
Come una poesia d’addio
O una promessa d’amore.
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Se dalla sponda increspata
Se dalla sponda increspata
Della tua lontananza
Inventi la mia allegria
A festeggiarti
Sull’orlo che appena trabocca.
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Annotazioni
Sola è l’angoscia di chi ripete le proprie sconfitte
Come aggrapparsi alle siepi per non restare indietro
D’uno strepitoso solstizio d’estate
Dissipato nel tramonto
Legati e insieme inesistenti per giorni
Sperimentati nel loro finire
Come a un passaggio di cometa.
S’accampa nel lago del cuore dopo lungo tracorrere sotterra
Un filo d’amore contro il vuoto pieno degli oggetti
Un’immagine fissa che morde nella mente
Ora che un c’entro non c’è più erba d’una volta
Solo agli inganni alla prosa quotidiana
Nell’assidua finzione di vivere.
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A Finibus Terrae
Dell’ultimo agosto di lunga pazienza
Questa è la pioggia
Sospesa felicità del luogo antico
Per centinaia di leghe di distanza
Da canale kilometrotre.
Lo spartito del tuo volto
Se giunge d’improvviso
Come la sera cade tra gli ulivi
Sul filo d’una rotta in linea d’aria
Ma non sai quante lune ci vorranno
Per qualche ora d’immisurata grazia
Urbino di dolcezza mio alto amore.
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Brani tratti da L’alibi del clown (poesie 1962 – 2001) di Antonio Barbuto, edito da Calabriae Academia Historica Atque Litteraria, Associazione culturale “La Radice”, Badolato Marina (CZ).
Sull’autore:
Antonio Barbuto (Soverato 1936): laurea in Lettere presso l’Università di Urbino dove dal 1971 – dopo aver insegnato nelle Scuole Superiori del suo paese – diventa assistente ordinario di Letteratura italiana e (dal 1975) professore di Sociologia della Letteratura, per passare poi alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” come docente di “Storia della critica letteraria”.
Si è occupato, con volumi e saggi, di autori e argomenti di letteratura italiana moderna e contemporanea e a margine dell’attività critica ha scritto numerose raccolte di poesie.
Nota redazionale: grazie al professore per il dono della sua ultima silloge, dalla Calabria fino in Irlanda.
Featured image, Raffaello Sanzio, l’Urbinate.
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