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Poeti, naufraghi, pellegrini: Dante e Ungaretti

Creato il 10 luglio 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Cos'hanno in comune Dante Alighieri e Giuseppe Ungaretti, personaggi tanto distanti nel tempo? Non il semplice fatto che il secondo abbia letto e commentato la Commedia, non solo l'esser stati, oltre che protagonisti della storia letteraria italiana, anche uomini coinvolti nelle vicende militari delle loro nazioni (definendo tale la Firenze comunale). C'è di più: entrambi sono stati poeti e, nella descrizione poetica del loro dramma, hanno usato immagini, metafore e simbologie molto vicine, talvolta sovrapponibili. Sono stati entrambi uomini smarriti, sebbene per ragioni diverse: il padre della lingua italiana e il più incisivo narratore della Grande Guerra sono stati, per la loro epoca, simboli di una condizione esistenziale.

Poeti, naufraghi, pellegrini: Dante e Ungaretti

Alberto Savinio, Ulisse e Polifemo (1929)


E tale situazione è, per entrambi, paragonabile a quella del naufrago, di colui che, travolto da eventi troppo grandi per opporvi un'efficace resistenza, si vede improvvisamente soverchiato e poi inaspettatamente salvato. Per l'Alighieri il mare in tempesta è il peccato, per Ungaretti la guerra. In ogni caso, qualcosa che per i due uomini rappresenta l'allontanamento dall'armonia, dalla razionalità, dal concetto stesso di Dio: il peccato e la guerra - il Male, in una parola comune - negano Dio e l'uomo si scopre solo in balia delle onde. Ma Dante e Ungaretti non si arrendono alla distruzione, lottano, si sottraggono alle onde e provano la gioia del sopravvissuto, tendendo ad una nuova salvezza. Entrambi sono pellegrini alla ricerca di armonia e salvezza, reduci che cercano la strada della sicurezza e della pace.
Cominciano a dialogare dai primi versi delle loro opere questi personaggi divisi da oltre mezzo millennio di storia.
Il canto I dell'Inferno ci consegna il più noto ritratto di Dante, uomo sperduto in una selva e aggredito dalla rappresentazione dei vizi umani. Fra il suo smarrimento e l'apparizione delle tre fiere, però, il sorgere del sole, segno della presenza divina, lo conforta, illuminando un colle che rappresenta la salvezza. È a questo punto che Dante si presenta come un naufrago (vv. 22-27):
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor dal pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse indietro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Dante si sente al sicuro, è come un superstite gettato dalle onde su una spiaggia che, ancora senza fiato, si volge ad osservare il mare (la selva che lo ha impaurito) che quasi lo ha ucciso. Il richiamo all'acqua e a miti che con essa hanno a che fare è costante nella Commedia, basti pensare all'importanza dei fiumi oltremondani, alle numerose descrizioni geografiche utili a collocare nello spazio reale le vicende delle anime (la più famosa è forse la descrizione della foce del Po fatta da Francesca da Rimini in Inf. V, 97-99) o ai miti di ambientazione marina, fra cui quello di Glauco, trasformato in divinità marina, che apre il Paradiso (I, 67-69) o quello degli Argonauti, che chiude la stessa cantica (XXXIII, 94-96). E poi c'è, naturalmente, il mito di Ulisse, il vero naufragio cui assistiamo nella Commedia (Inf. XXVI, 136-142), che non può non riecheggiare la condizione di Dante nel momento in cui, cedendo al peccato, si è ribellato alla legge di Dio.

Poeti, naufraghi, pellegrini: Dante e Ungaretti

Théodore Géricault, La zattera della Medusa (1818)


Dante e Ulisse, insomma, dialogano a distanza, ma nel loro tacito colloquio si insinua a pieno titolo anche Ungaretti, travolto dalla tragedia della guerra, testimone della morte dei suoi compagni e, proprio per questo, strenuamente attaccato alla vita, al bisogno di una salvezza tanto desiderata quanto quella di Dante. Basta confrontare la brevissima poesia Allegria di naufragi (14 febbraio 1917), che dà il titolo alla raccolta in cui confluiscono le poesie della guerra, per notare immediatamente la sovrapposizione con Dante:
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
Il titolo ossimorico Allegria di Naufragi, che Ungretti mitigherà nell'edizione del 1931 in favore della componente positiva dell'antitesi, rimanda al sentimento di vitalità insito nel naufrago superstite: a colui che è scampato al disastro della guerra rimane un'energia che lo fa sentire felice, che gli prospetta la possibilità di trovare una nuova pace e armonia. Anche in questo caso, come per Dante, la gioia è frutto di una situazione quasi di ebbrezza, di uno scatenarsi di emozioni contrastanti quando al buio subentra la luce.
Non possiamo, del resto, dimenticare che, nelle sue poesia di guerra, Ungaretti esprime talvolta un amore per la vita che stride con la morte cui egli assiste ogni giorno. Ne I fiumi (16 agosto 1916) il poeta rievoca il senso di armonia che lo coglie quando si immerge nelle acque dell'Isonzo, svestendo i «panni / sudici di guerra» e fondendosi con la natura fino a sentirsi come uno dei sassi levigati dall'acqua in cui si intrecciano tutte le età della sua vita, dall'infanzia alessandrina cui allude il Nilo, alla giovinezza parigina, richiamata dalla Senna, alle sue radici toscane, laddove è citato il Serchio. Nel rapporto con la natura rappresentato dall'immersione delle acque il poeta ritrova l'armonia la cui mancanza gli provoca un supplizio (vv. 27-41).
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
Questa rara felicità non è, in fondo, la pace che ricerca Dante con il suo viaggio oltremondano? Di nuovo i due poeti si avvicinano, pellegrini sulla strada della vita. Quella dissoluzione nel tutto della natura che Ungaretti prova immergendosi nell'Isonzo per Dante si attua nel grande momento della visione di Dio, nella cui immagine tutto si ricompone, eppure anche l'autore della Commedia passa attraverso il medium essenziale del fiume: l'acceso al Paradiso e, quindi, a Dio, è subordinato alla purificazione di Dante, che avviene anch'essa attraverso l'acqua, prima quella del Lete, poi quella dell'Eunoè. E non sarà un caso, dato l'amore di Ungaretti per Dante e data la loro comune condizione di naufraghi aggrappati alla vita, che gli ultimi versi del Purgatorio, in cui Dante descrive la sua uscita dalle acque dell'Euonè (Pg. XXXIII, 141-145), trovino un'eco proprio nei versi citati de I fiumi:
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.

Poeti, naufraghi, pellegrini: Dante e Ungaretti

Dante Alighieri (1265-1321) e Giuseppe Ungaretti (1888-1970)


In questo 2015 ricorrono i settecentocinquanta anni dalla nascita dell'autore fiorentino e, al contempo, il centenario dall'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale. Se aggiungiamo il fatto che in questo 2015 scocca anche il nuovo giubileo, si unisce alla doppia ricorrenza un legame con quel 1300 in cui è ambientato il viaggio di Dante. Coincidenze, certo, è suggestivo pensare che, idealmente, Dante e Ungaretti, accomunati dalla ricerca dell'armonia e della vita, si trovino insieme a compiere un pezzo del loro e del nostro pellegrinaggio.
C.M.

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