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Polemica tra ministro e linguista, l’Italia non è un paese per ricercatori

Creato il 17 febbraio 2016 da Trescic @loredanagenna
(Foto: Getty Images)

(foto: Getty Images)

Che cosa deve succedere perché i grandi giornali italiani si occupino un po’ di politica della ricerca? Semplice, deve esserci un conflitto, come quello che negli ultimi giorni ha visto la ministra dell’istruzione Stefania Giannini da una parte, e la linguista Roberta D’Alessandro dall’altra. Lo scorso giovedì sono stati infatti annunciati i 302  vincitori dei Consolidator Grants, cioè finanziamenti fino 2 milioni di euro che lo European Research Council assegna ad altrettanti ricercatori per portare avanti i loro progetti all’interno dell’Unione europea o in uno dei paesi associati. Quest’anno ben 30 vincitori sono italiani, tanti quanto i francesi. I vincitori britannici sono 32, mentre quelli tedeschi staccano tutti con ben 48 grant assegnati. Ora, non si può che essere contenti per il successo dei nostri connazionali, ma un’altra cosa è usare il loro lavoro per vantarsi dei successi dell’Italia, come sembra aver fatto la ministra dell’istruzione Stefania Giannini con un post su Facebook pubblicato giovedì sera:
Un’altra ottima notizia per la ricerca italiana. Colpisce positivamente il dato del numero di borse totali ottenute dai… Pubblicato da Stefania Giannini su Venerdì 12 febbraio 2016
Ma sempre da Facebook è arrivata a stretto giro la risposta di una delle persone direttamente interessate. Roberta D’Alessandro, che da anni lavora all’Università di Leiden in Olanda, è tra i 30 ricercatori tirati in ballo la ministra. Nel post di Giannini manca un dato fondamentale: su 30 Consolidator Grant assegnati a italiani, solo 13 ricercatori li spenderanno in Italia e faranno, quindi, ricerca italiana. Gli altri, li spenderanno all’estero, come D’Alessandro.
Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati. La mia ERC e quella del collega Francesco Berto sono olandesi,… Pubblicato da Roberta D’Alessandro su Sabato 13 febbraio 2016

La ritirata strategica della ministra è stata:

“I ministri non si vantano, i ministri esprimono soddisfazione e apprezzamento per il risultato di una comunità scientifica, di cui la dottoressa D’Alessandro, come tutti gli altri, fa parte”

Il succo dello sfogo scritto di D’Alessandro dovrebbe essere piuttosto comprensibile a chiunque abbia dimestichezza con la lingua italiana, ma nelle ore successive la linguista ha argomentato meglio quello che intendeva dire in diverse interviste, come quella di sabato scorso su Uninews24. La stessa testata, già giovedì notte, aveva infatti spiegato perché le parole del ministro erano grottesche, e infatti tale articolo era stato linkato da D’Alessandro nel suo post, diventato virale. Leggendolo, si scopre un’altra informazione essenziale: il problema non è tanto che solo 13 italiani vincitori italiani porteranno avanti il loro progetto in Italia (è normale e sacrosanto che i ricercatori si spostino), ma che nessun vincitore col passaporto di un altro paese porterà il suo finanziamento in Italia. Ecco perché Roberta D’Alessandro ha tutte le ragioni del mondo invitando la ministra a non appropriarsi del suo successo e di quello dei 16 connazionali che lavoreranno all’estero facendolo diventare “Un’altra ottima notizia per la ricerca italiana“. Forse in pochi se lo ricordano, ma la cosa davvero tragica è che si tratta di un film già visto. Una situazione praticamente speculare si è verificata coi Consolidator Grant del 2013. Nonostante le capacità dei nostri ricercatori, e l’ottima qualità della ricerca italiana, esistono infatti problemi strutturali che vanno anche oltre la questione del merito sollevata nel post dalla linguista. Lo dimostrano, tra gli altri, i dati e gli articoli dell’associazione Roars (Return on Academic ReSearch), e non si tratta nemmeno di questione solo italiana: ricordate l’appello dei ricercatori europei Hanno scelto l’ignoranza? E abbiamo già dimenticato la petizione lanciata dal fisico Giorgio Parisi nei giorni scorsi? Dal giorno alla notte Roberta D’Alessandro si è trovata sotto i riflettori per aver avuto il coraggio di sottolineare qualcosa che, evidentemente, era sfuggito ai principali mezzi di informazione. Accanto alle immediate interviste sono però anche spuntati un paio di buffi articoli che, al contrario, prendono di mira proprio la ricercatrice. In un articolo viene invitata a non sputare nel piatto dove ha studiato (cosa che la ricercatrice non ha mai fatto), mentre nell’altro si dice che è anche colpa sua se “la ricerca in Italia fa schifo”. Del resto, come evidenziato da Roars, molta stampa sembra specializzata nel presentare l’istruzione superiore in modo a dir poco caricaturale. Quante volte abbiamo sentito, per esempio, che non serve andare all’università perché, tanto, ci sono moltissimi posti liberi da panettiere e pizzaiolo che nessuno vuole? Tutte balle naturalmente, ma i cui effetti purtroppo vanno ben oltre il racimolare un pugno di click in più. Forse per capire che l’Italia non è un paese per ricercatori non servivano le scivolate di un ministro: bastava seguire i giornali.


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