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Polentine: viaggio nel fritto misto alla piemontese

Da Lilimadeleine

Sfritto misto alla piemonteseapete cosa sono le polentine fritte? Sicuramente sì. E sicuramente saranno qualcosa di diverso da quel che vi racconta questo post.

O meglio, che vi racconta Cristina. 

E’ con viva e vibrante soddisfazione che ospito una bravissima giornalista nonché curatrice del blog Ottomilanovantadue: non state a scervellarvi (come un tempo ho fatto io), vi dico subito che il numero corrisponde a quello dei comuni italiani.

Perché Cristina questo fa: ogni settimana racconta un piccolo pezzo d’Italia, quello che di solito non fa notizia e raramente finisce sui giornali, come i safari in risaia.

E lo fa con una maestria che…beh, il modo migliore per farvelo capire è lasciare che sia lei a raccontarvi del suo Piemonte, di sua nonna Margherita e delle polentine fritte. 

Piemonte

di Cristina Peroglio

L’altro giorno parlavo di rane.
Rane fritte a Vercelli, per la precisione.

Quando Lili Madeleine mi ha offerto l’opportunità di essere ospite sul suo blog, sono passata rapidamente dall’euforico al terrorizzato.
Io ho tante buone qualità, ma… non so cucinare. Proprio non mi viene. Mi ci impegno anche: leggo la ricetta, faccio così e così come è ben descritto nelle foto e… mi viene una schifezza.
D’altra parte, io sono la ragazza con la valigia, mica la ragazza in cucina. 
Scrivere su un blog di food… ma io? Ma che vi racconto, io?

Vi racconto del fritto. Di quello vi racconto.
Perché sono piemontese, e per noi il fritto (misto) sta fra la cultura e la religione. E perché, fra i tanti posti che ho visto e fra le tante cose che ho mangiato, il fritto misto è tornare a casa.
Il fritto misto alla piemontese è, innanzi tutto, molto misto. Nel senso che si frigge qualunque cosa: credo manchino solo la suola delle scarpe e una cintura di cuoio, per il resto si frigge tutto.
Carne, di vari tipi; salsiccia; fegato, cervella, filone; rane; verdura come se piovesse; frutta di stagione e non. E poi dolci: semolino, amaretti, pavesini ripieni di marmellata. Ogni pezzo impanato secondo la sua tipicità: infarinato, in pastella, con il pan pesto e l’uovo.
Arriva in grandi vassoi. Pochi, pochissimi ce la fanno a mangiare tutto. 
Io seleziono.
Tre i bocconi prediletti: cervella (e lo so…), rane fritte (e lo so-2), e ‘polentine‘.

Le ‘polentine’ sono una variazione sul tema che mi cucinava mia nonna Margherita.
Invece di impanare e friggere il semolino dolce (che ha quell’aria triste da semolino), la nonna ha creato una crema pasticcera un po’ più soda, con un pochino di farina in più. Scodellata in piatti fondi, la crema va messa in frigorifero per una mezza giornata, che si rapprenda bene.
Si impana poi due volte nell’uovo e nel pan pesto e si frigge.
Ed è un miracolo!
Io e mio fratello, che bambini non siamo più, abbiamo un ritorno all’infanzia ogni volta che la mamma con pazienza ci prepara le ‘polentine‘: si fa la gara a chi ne mangia di più, completa di conta (“ne hai mangiate già quattro, io solo tre. Sciagurato!“) e condita da agguati con forchetta alla mano a chiunque osi avvicinarsi al vassoio con intenzioni mangerecce.
Il fritto misto in casa noi non lo facciamo. Troppo da lavorare, troppo da fare.
Solo le ‘polentine’ restano, testimoni, del Piemonte a tavola.
Ps: ristoranti dove mangiare un buon fritto misto su per le colline vicino a Torino ce ne sono. E alcuni fanno anche le ‘polentine’. Basta avere la pazienza di cercare.

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