L'eredità monoteistica religiosa degli Anunnaki
Al momento della partenza finale, chi fra i grandi Anunnaki rimase sulla Terra? A giudicare dalle citazioni nei testi e dalle iscrizioni dei periodi successivi, possiamo essere certi solo di Marduk e di Nabu degli Enkiti; fra gli Enliliti troviamo Nannar/Sin, la sua sposa Ningal/Nikkal e il suo aiuto Nasku; probabilmente rimase anche Ishtar.
In ciascuna fazione della grande fazione religiosa c'era solo un grande Dio di Cielo e Terra: Marduk per gli Enkiti, Nannar/Sin per gli Enliliti. La storia dell'ultimo re di Babilonia rifletteva le nuove circostanze. Era stato scelto da Sin nel suo centro di culto di Haran, ma aveva bisogno del consenso e della benedizione di Marduk a Babilonia e la conferenza celeste con l'apparizione del pianeta di Marduk; portava il nome di Nabu-Na'id.
Questo co-regno divino avrebbe potuto essere un tentativo di "monoteismo duale" (per coniare un'espressione); ma la conseguenza non intenzionale fu la nascita del seme dell'Islam.
Le testimonianze storiche indicano che né gli dèi, né il popolo erano soddosfatti di questa situazione. Sin, il cui tempio ad Haran era stato restaurato, chiese che venisse ricostruito anche il suo grande zigurrat a Ur e che diventasse il centro di adorazione; a Babilonia i sacerdoti di Marduk erano furiosi.
Il testo di una tavoletta ora conservata al British Museum, che gli studiosi hanno intitolato Nabunaid e i sacerdoti di Babilonia, contiene un elenco di accuse da parte dei sacerdoti babilonesi nei confronti di Nabunaid. Le accuse andavano da faccende puramente civili (<<legge e ordine non sono promulgate da lui>>), al fatto che trascurava l'economia del paese (<<gli agricoltori sono corrotti>>, << le vie del commercio sono bloccate>>)fino alla mancanza di pubblica sicurezza (<<i nobili vengono uccisi) e alle accuse più gravi: sacrilegio.
Ha fatto l'immagine di un dio,
che nessuno ha mai visto prima nel paese.
L'ha messo nel tempio,
in cima a un piedistallo, l'ha chiamato Nannar.
Con lapislazzuli l'ha adornata,
l'ha incoronata con un tiara che ha forma di falce di luna,
la sua mano, il gesto di un demonio. L'accusa proseguiva affermando che si trattava di una statua ben strana, di una divinit mai vista prima, <<con capelli che arrivavano giù fino al piedistallo
>>. Era talmente insolita e sconveniente, scrisse il sacerdote, che nemmeno Enki e Ninmah (che finirono con l'essere raffigurate con strane creature - simili a chimere - nell'atto di forgiare l'uomo) <<avrebbero potuto concepirla>>; era così strana che <<nemmeno Adapa l'erudito>> (icona della conoscenza umana) <<ne conosce il nome>>.
A peggiorare le cose, due insolite bestie erano scolpite al suo fianco, a mo' di guardiani: uno era il "Demonio-Diluvio" e l'altro un Toro Selvaggio. Aggiungendo l'insulto al sacrilegio, il re collocò questo abominio nell'Esagil di Marduk e annunciò che non sarebbe stata più celebrata la festività di Akitu (Nuovo Anno), durante la quale si mettevano in scena la quasi-morte, la resurrezione, l'esilio e, infine il trionfo di Marduk.
I sacerdoti annunciarono che <<la divinità protettrice di Nabunaid gli era diventata ostile>> e che <<colui che un tempo era il favorito degli dèi era ora destinato alla sfortuna>> e costrinsero il re a lasciare Babilonia <<per una spedizione in una "regione lontana">>.
E' un fatto storicamente accertato che Nabunaid abbandonò davvero Babilonia e che nominò reggente suo figlio Bel-Shar-Uzur-Baldassar nel libro di Daniele. La "regione lontana", destinazione di Nabunaid, era l'Arabia. Come confermano numerose iscrizioni, il suo entourage includeva gli Ebrei deportati ad Haran. La sua base principale era una città chiamata Teima, un centro carovaniero in quella che è attualmente la regione del nord-occidentale dell'Arabia Saudita, citata ripetutamente nella Bibbia.
Scavi recenti condotti in quei luoghi hanno riportato alla luce tavolette cuneiformi che confermano la presenza di Nabunaid. Il re creò altri sei insediamenti per i suoi seguaci; mille anni dopo gli scrittori arabi citarono cimque di quelle città come città ebraiche. Una di queste era medina, la città dove Maometto fondò l'Islam.
La "componente ebraica" nella storia di Nabunaid è stata corroborata dal fatto che un frammento di testo scoperto a Qumran, fra i rotoli del Mar Morto, riferisce che <<a Teima Nabunaid fu colpito da una spiacevole malattia della pelle>>, dalla quale guarì solo dopo che <<un Ebreo gli aveva detto di onorare il Dio altissimo>>.
Di conseguenza alcuni credono che Nabunaid stesse meditando sul monoteismo; ma per lui il Dio Altissimo non era certo Yahweh degli Ebrei, bensì il suo benefattore Nannar/Sin, il dio della Luna, simbolizzato dalla mezzaluna, un simbolo adottato dall'Islam; non vi è dubbio sul fatto che le radici di questa scelta facciano riferimento alla presenza di Nabunaid in Arabia.
Finito il periodo di Nabunaid, Sin scompare dai documenti della Mesopotamia. Testi venuti alla luce a Ugarit, un sito "cananeo" sulla costa del Mediterraneo in Siria, oggi chiamato Ras-Shamra descrivono il dio della Luna ormai "in pensione", ritiratosi dalla vita attiva, insieme alla sua sposa, in un'oasi alla confluenza di due corpi d'acqua, <<accanto alla fenditura fra i due mari>>.
Riflettendo sul motivo per cui la penisola del Sinai venne battezzata in suo nome e il crocevia principale venne battezzato in onore della sua sposa Nikkal (il luogo si chiama ancora oggi in arabo Nakhl), ho ipotizzato che l'anziana copia si ritirò da qualche parte sulle coste del Mar Rosso o del Golfi di Eilat.
I testi ugaritici chiamavano il dio della Luna El - semplicemente "dio" - un precursore dell'Allah dell'Islam; e il suo simbolo di falce di luna fa bella mostra di sé in cima a ogni moschea. Come richiede la tradizione, le moschee, ancora oggi, sono fiancheggiate da minareti che simulano le navicelle a più stadi pronte al lancio.
L'ultimo capitolo nella sga di Nabunaid è collegato alla comparsa sulla scena, nell'antichità, dei Persiani un nome dato a un'accozzaglia di popoli e stati dell'altopiano iraniano che includevano le vecchie Anshan ed Elam sumere e la terra degli ultimi Medi (che ebbero un ruolo decisivo nella disfatta dell'Assiria).
Nel VI secolo a.C. una tribù che gli storici greci chiamarono Achemenidi emerse dai confini settentrionali di quei territori, ne assunse il controllo e li unificò facendoli diventare un impero nuovo e possente. Pur se considerati "indoeuropei" dal punto di vista etnico, il loro nome tribale derivava dai loro antenati, Hakham-Anish, che significava "uomo saggio" in ebreo semitico - un fatto che alcuni attribuiscono all'influenza dei deportati ebraici delle Dieci Tribù, portate in quella regione dagli Assiri.
Dal punto di vista religioso, i Persiani achemenidi adottarono un pantheon sumero-accadico, simile alla versione hurrita mitannica, che segnava il primo passo verso l'Indo-ariano dei Veda sanscriti - una sorta di miscuglio semplificato per conversione, affermando semplicemente che credevano in un Dio Supremo che chiamavano Ahura Mazda ("Verità e Luce").