di Stefania Piazzo
La politica chi vuole lapidare?
Chi è senza peccato in questa campagna elettorale? Chi può scagliare la prima pietra? Nessuno è vergine ma tutti scagliano la pietra sull’avversario adultero.
Tanto, anche Gesù l’ha scritto sulla sabbia. E siamo certi che l’abbia davvero scritto o, secondo le diverse letture filologiche, abbia fatto solo l’elenco di chi rinviare a giudizio tra i presenti, individuando uno a uno i peccatori, sputtanandoli, perdoni il Signore la licenza, sulla pubblica piazza? Oppure, invece, ha scritto l’elenco dei peccati di tutti i mortali, dalla corruzione all’abuso d’ufficio, dalla concussione alla distrazione di fondi, dalle tangenti ai mignottamenti politici, alle consulenze ai generi, alle amiche di letto, alle società di comunicazione?
E chi, allora, di quelli che sono in corsa, è arrivato all’ultima spiaggia a furia di lapidare, lapidare, lapidare persino il proprio convivente politico, interno o di coalizione? La lezione ai Farisei è moderna, e non l’hanno inventata né i magistrati che fanno o non fanno politica, né i moralizzatori riformatori né le scope. D’Alema è senza peccato? Napolitano è senza peccato? Bossi è senza peccato? Maroni è senza peccato? Grillo è senza peccato? Tosi è senza peccato? Monti è senza peccato? Casini è senza peccato? Bersani è senza peccato? Renzi è senza peccato?
Come tanti Narcisi i politici che si innamorano di sé, finiscono per morire del dolore di non poter possedere persino se stessi. Muoiono di fallimento, si suicidano.
E la politica che vediamo non si è forse suicidata da sola? Innamorata del riflesso e della sostanza dei beni terreni conquistati, non si è incartata con le proprie mani?
Non ha venduto i propri figli, non ha scaricato su di loro le colpe di altri, i generali non hanno mandato a morte i propri soldati, uno a uno, sacrificandoli, pretendendo che altri fedelissimi continuassero a combattere?
Da destra a sinistra, l’ultimo anno di politica non è l’allegoria del mito, della mancata parabola biblica? Quanto è bello quel Tintoretto di Palazzo Barberini che rappresenta proprio Gesù e l’adultera. Non si legge quanto c’è scritto sulla sabbia, ma quel pavimento a rombi, gioco di prospettiva che ci fa sentire dentro il movimento camminando davanti alla scena, è un’altra metafora di come cambi ciò che si vede nel soggettivo modo di porsi davanti alla realtà. Là siamo dentro il colorismo veneto, che stacca la scuola veneta da quella romana, da quella lombarda… Qui purtroppo, non è la pittura che crea la forma, e le scuole lombarde, venete, romane… sono così uguali tra loro nel lapidare, prendere e dare una sola prospettiva, un solo colore alla campagna elettorale, in cui si parla solo di tangenti, derivati, corruzione presunta, dimissioni respinte, perquisizioni. Chi può scagliare la prima pietra?
Stefania Piazzo