Ora che tutti riconoscono il ruolo determinante giocato dalla Rete e in particolare da blog e social network nella vita politica italiana delle ultime settimane, tanto da avere, via ironia, facilitato la campagna di Pisapia e sciolto come neve al sole gli attacchi morattiani, e via tasto "condividi", sensibilizzato il popolo italiano sui referendum del 12-13 giugno e gettato le basi perché si raggiungesse il fatidico quorum - proprio ora varrebbe la pena togliersi qualche sassolino dalle scarpe circa lo scetticismo, lo snobismo, spesso la mancanza di cognizione di causa con cui spesso si parla di Internet e di Facebook. "L’egocentrismo, grande male della contemporaneità. In un mondo di «io sento, io vedo, io penso» estremizzato dai social network", scriveva ancora qualche giorno fa Daria Bignardi, con lo stesso tono io che non c'entro niente con cui, dopo aver condotto il Grande Fratello, si affrettava a dire "ma io leggo Guerra e pace" (dove non ci sono personaggi egocentrici "io sento, io vedo, io penso", no no). E' indubbio che mezzi che amplificano la comunicazione amplifichino anche lo specchio continuamente rivolto su se stessi. Il punto è che non è così semplice per niente; che i giochi non si chiudono così.La velocità con cui schiacciamo il tasto "mi piace" su Facebook è spesso superiore a quella che impieghiamo a leggere ciò che stiamo "laikando"? E' ben possibile che sia così. Il fatto è che quello stesso mezzo può essere messo al servizio della politica: che il supposto individualismo esasperato che ci fa apparire agli altri ha, in realtà, ricreato anche uno spazio comune cosmopolitico in cui ciascuno, mostrandosi agli altri e dicendo di sé e di quel che pensa, si mette perciò stesso in relazione, crea legami, riconduce al comune istanze personali - lo può fare. Il problema non sono i social network (non sono mai i media di per sé), il problema, se c'è, è la misura, l'orizzonte del "mi piace". Allora ricorro ai mezzi che ho per spiegarmelo, e penso a Immanuel Kant, e alla Critica della capacità di giudizio. Detto in parole povere, ché questo è solo un blog, il piacere o il dispiacere (Kant preconizzava già il tasto "dislike" che noi non abbiamo ancora), comunicati, secondo il filosofo, da un giudizio di Gusto, possono esprimere un semplice godimento, legato ad un interesse personale, oppure, al contrario, avere un valore diverso: essere disinteressati, generalmente validi, universali. Poiché il giudizio di Gusto non si basa su una conoscenza (tecnicamente è un giudizio riflettente, non determinante), non si impone agli altri come una verità; ciò non toglie che possa avanzare la pretesa, nel momento in cui è espresso, di valere per tutti. In altri termini, nel momento in cui dico "questo mi piace" (per Kant ciò è limitato al giudizio estetico, ma in filosofia contemporanea molti hanno lavorato per ampliare il valore della sua riflessione) sto facendo qualcosa di più che rendere edotti gli altri di un punto di vista personale. Sto offrendo una valutazione comune. Ciò è possibile per Kant da un lato perché l'accordo tra le mie facoltà conoscitive che produce il mio piacere è uguale in tutti gli esseri umani, dall'altro perché in ognuno di noi è presente un principio soggettivo, il senso comune, che è definito, più precisamente, come un senso comunitario: in breve "sentiamo" che l'esperienza che stiamo facendo ha dei caratteri di condivisibilità. Il senso comune fonda, per Kant, la comunicabilità universale, la possibilità che abbiamo di mettere in comune, di condividere, di fare un'esperienza che vale per tutti. E' in base a queste condizioni di possibilità (trascendentali) che è appunto possibile l'esperienza empirica del vivere associato, in comunità. Di scambiare opinioni, discorsi, sul mondo (su ciò che non è sottoposto al vincolo impositivo del vero ma a quello più duttile e aperto del gusto) con gli altri. Per questo, tali giudizi sono definito da Kant pluralistici e pubblici. In questi termini, ciò che piace "piace con una pretesa al consenso di ogni altro, mentre l'animo è al contempo consapevole di una certa nobilitazione ed elevazione al di sopra della mera recettività di un piacere mediante le impressioni dei sensi e stima anche il valore degli altri secondo una massima simile della loro capacità di giudizio." Fino a giungere, per tale via, ad una "definizione" di umanità: "umanità significa da una parte il sentimento di partecipazione universale, dall'altra la facoltà di potersi comunicare universalmente e nel modo più intenso, proprietà che, collegate insieme, costituiscono la socievolezza adeguata al genere umano, con cui esso si distingue dalla ristrettezza animale."Detto in termini di Facebook, "I like" conduce a "I share" (e magari a "I care"). E' questo il passaggio che forse può spiegare perché i social network, lungi dall'essere solo teatro di una vacua sovraesposta individualità, offrono la possibilità di condividere idee, progetti, iniziative politiche. E questo è qualcosa che, personalmente, "mi piace" molto. Forse, sarebbe piaciuto anche a Kant.
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