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Pollock e gli Irascibili a Palazzo Reale: Espressionismo astratto, Pollock e l’action painting – di Cristina Palmieri

Creato il 13 ottobre 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo
Pollock mostra Milano Palazzo Reale

Jackson Pollock

Pollock e gli Irascibili a Palazzo Realemostra a Milano aperta fino al 16 febbraio 2014, orari: lunedì 14.30 – 19.30, da martedì a domenica 9.30 – 19.30, giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietti al > LINK - Espressionismo astratto, Pollock e l’action painting – di Cristina Palmieri per Milano Arte Expo - Gli anni del secondo dopoguerra sono pervasi da profonde inquietudini, le cui radici vanno ricercate in un altalenante cinquantennio, di cui ci sono note le alterne vicende politiche, economiche e sociali. Le trepidazioni che scuotono l’Europa del periodo hanno la loro origine nella rovina materiale di tutto il “Vecchio Continente”, che porta con sé la caduta della fiducia nel mondo liberale a cui il nuovo secolo aveva spalancato. La conclusione della seconda guerra mondiale apre sempre più alla consapevolezza – oltreché di profonde divisioni interne – della fine di un “primato”, istituzionale e culturale. A ben considerare, la svolta decisiva della coscienza europea è connessa già con l’evento della “grande guerra”, la prima tappa della tragedia del mondo. > 

S’infrange infatti, in quel momento, l’illusione di una sicurezza raggiunta per sempre, di un progresso lineare indefinito. Il vero mutamento culturale, soprattutto a livello di paradigmi filosofici, viene più chiaramente determinandosi nel periodo tra le due guerre, momento in cui entrano in crisi i dettami dell’idealismo e degli storicismi ottimistici; è in tal contesto che si sviluppa la fenomenologia, si affermano le filosofie esistenziali e si fanno strada le esigenze di approfondimento delle correnti neopositivistiche . Il dopoguerra non vede un netto e radicale mutamento di prospettive. Diventano invece più limpide idee e teorie che vivono da tempo una vita sotterranea. Inoltre si accendono, proprio in quegli anni, nutriti e impegnativi dibattiti sulle teorie di Einstein e di Freud.

I turbamenti degli intellettuali americani non sono granché distanti da quelli che agitano gli ideologi europei, anche se, ovviamente, dato il differente contesto economico-politico, non possono che avere una matrice più individualistica, essendo i primi meno toccati dalla tragedia collettiva vissuta dall’Europa.
Nel decennio che va dal 1935 al 1945, negli Stati Uniti la novità è rappresentata dalla ricerca della conoscenza dell’ “Io interiore”, dall’analisi delle motivazioni consce ed inconsce dell’agire umano e, contemporaneamente, dall’interesse per i comportamenti sociali e di massa.
Questo breve inquadramento storico-culturale si dimostra necessario per comprendere meglio il fenomeno artistico che venne denominato “Espressionismo Astratto”.
Le teorie psicanalitiche di Sigmund Freud, basate sull’individuo, nonché quelle basate sulla definizione di un “inconscio collettivo” (una sorta di comportamento sociale basato su pulsioni inconsce comuni, riscontrabili in tutta l’umanità e non solo nel singolo) di Carl Gustav Jung costituiscono spesso lo sfondo delle azioni artistiche, soprattutto dopo l’arrivo del Surrealismo e degli artisti europei stabilitisi negli Stati Uniti al tempo del nazismo. Dobbiamo infatti considerare che le tensioni sociali, verificatesi in seguito alla grande depressione del 1929, anche negli Stati Uniti innescano riflessioni e inclinazioni alternative rispetto al sistema dominante.

Jackson Pollock - 1943 - The she-wolf - Oil, gouache, and plaster on canvas -  106x 170 cm. - The Museum of Modern Art, New York

Jackson Pollock – 1943 – The she-wolf – Oil, gouache, and plaster on canvas – 106x 170 cm. – The Museum of Modern Art, New York

L’Espressionismo Astratto affonda le proprie radici agli albori degli anni Quaranta, quando una nuova generazione di artisti si ritrova a discutere a New York sul futuro dell’arte, sul ruolo dell’artista, sulle motivazioni che stanno alla base del suo operare.
Necessitante diventa il concetto di impegno: a dispetto di quanto si potrebbe pensare considerando l’apparente mancanza di soggetto dell’arte astratta (concetto purtroppo da molti condiviso anche oggi e utilizzato per lungo tempo al fine di denunciarne la facile scorciatoia del disimpegno), il problema di chi fa arte è quello di individuare un nuovo interesse , identificato nell’uomo moderno alle prese con la scoperta della sua intima essenza, senza tempo, da rapportarsi invece con un presente condizionante.
E’ perciò nel cupo periodo della congiuntura degli anni Trenta e Quaranta, e poi nel tempo di guerra, che fiorisce, in America, una nuova pittura, energica, matura, dalle connotazioni – per la prima volta nella storia americana – indiscutibilmente originali. Fondamentale il contributo di artisti immigrati e cosmopoliti come l’ebreo Rothko, l’armeno Gorky che, nell’ambito della pittura astratta, rigettate le algide geometrie del costruttivismo, cercano di rileggere in chiave lirica e profonda le novità dell’espressionismo orfico di Kandinsky.

Arshile Gorky – 1944 - The Liver is the Cock's Comb, Albright-Knox Art Gallery in Buffalo, N.Y .

Arshile Gorky – 1944 – The Liver is the Cock’s Comb, Albright-Knox Art Gallery in Buffalo, N.Y .

Ma basilare è anche la ricerca di artisti “autoctoni, come Barnett Newman, Adolph Gottlieb, e Jackson Pollock che, affascinati da Picasso e dalla sua ricerca sull’arte primitiva e preistorica, affrontano a loro volta indagini personali. Newman, in particolare, dedicandosi a studi sulle origini dirompenti della creatività umana nel paleolitico; Gottlieb aprendosi all’arte orientale, ma soprattutto andando in cerca, nel deserto dell’Arizona, di scritture rupestri; Pollock – come vedremo – riscoprendo i miti, le sculture di sabbia e le danze rituali degli indiani Navajo.
Nonostante le palpitanti epifanie di colore di Rothko, le sciabolate nere di Franz Kline, la grazia fragile delle calligrafie di Tobey, la prorompente energia del dripping di Pollock possano apparire stilisticamente distanti, quanto è innegabile è che dall’incontro di queste differenti personalità e percorsi prende vita, nel nuovo continente, un’arte “non oggettiva”, che si oppone nettamente all’accademismo della pittura figurativa e da cavalletto. E’ da questo comun denominatore (anche se mai del tutto esplicitato) che Rothko e Gottlieb lanciano il celebre manifesto della scuola di New York e che alcuni muralisti, come Diego Rivera e David A.Siqueiros, cominciano a discutere di una nuova pittura sociale, che rompe la prospettiva spaziale dell’affresco.
Nonostante, appunto, le profonde differenze che caratterizzano la loro opera – diversità che non possono che accentuarsi sensibilmente nel tempo – il substrato comune va, perciò, ricercato nell’ esplorazione di un’ intima coscienza di sé, nella volontà di manifestare la complessità dell’individuo contemporaneo attraverso inusitate modalità espressive, nuovi strumenti linguistici. Non si rinnega la realtà; la finalità è piuttosto quella di ampliarne l’orizzonte, come avevano fatto i Surrealisti pochi anni prima, immettendo nel territorio dell’arte l’inconscio, con il suo misterioso andamento narrativo.

Franz Kline – 1956 – Mahoning -  Whitney Museum of American Art, New York

Franz Kline – 1956 – Mahoning – Whitney Museum of American Art, New York

Nel background di tutti questi artisti è certo basilare anche l’esperienza della lettura dell’ “Ulisse” di Joyce. Lo stream of consciousness letterario appare facilmente associabile e avvicinabile al flusso della vernice del dripping. Ad essere quindi superato è il confine della mediazione intellettuale dell’arte. Ora essa diviene gioia del fare, interazione diretta e immediata con la materia, la superficie, il gesto, un gesto che ha la medesima importanza dell’opera finita (evidente la contiguità con le affini sperimentazioni dell’ Informel europeo).
Nell’ambito storico-artistico si è soliti far coincidere l’inizio dell’ “Action painting” con la mostra che Pollock tenne nel 1943 alla Galleria “Art of this Century”, aperta da Peggy Guggenheim l’anno precedente.
Nei lavori esposti in questa occasione non riscontriamo ancora la tipologia di opere per cui l’artista è divenuto famoso. Agli occhi della critica più attenta, come alla Guggenheim medesima, non sfuggì comunque la portata rivoluzionaria che già era presente, in nuce, nella sua pittura, la quale, non a torto, fu da subito considerata la prima vera espressione artistica originale nell’ambito dell’arte americana.
Innovativo in primis, già ora, il modo di affrontare lo spazio, la superficie della tela. Non esistono né un centro né una periferia. L’immagine appare una distesa piatta di segni che potrebbero tranquillamente superare il limite della tela medesima, quasi che l’artista lavori a tutto campo, “all-over”, per utilizzare una nota espressione proprio ad hoc coniata.

Jackson Pollock  - Number 8 - 1949 (detail) - Oil, enamel, and aluminum paint on canvas -  Neuberger Museum, State University of New York

Jackson Pollock – Number 8 – 1949 (detail) – Oil, enamel, and aluminum paint on canvas – Neuberger Museum, State University of New York

Il dipinto nasce come asserzione di uno stato d’animo, di una visione germinata nella propria interiorità. Il mondo esterno diviene la sorgente, ma anche il luogo di estrinsecazione delle pulsioni e delle forze violente.
Le tecniche che l’artista di Cody utilizza certamente non sono totalmente nuove. Erano state ampiamente sperimentate dai Surrealisti. Indiscutibile però il fatto che si debba a lui la caparbia abilità di sfruttarne le potenzialità, dando sempre maggior rilevanza all’aspetto dell’improvvisazione, pur partendo da un canovaccio iniziale. Un metodo che ci riporta a quanto stava accadendo, per esempio, nell’ambito della musica Jazz. La tela non rappresenta più uno spazio da progettare, quanto piuttosto una sorta vuoto ideale da riempire in uno stato quasi di trance, lasciando libero spazio all’inconscio.
Ma facciamo un passo indietro, per comprendere il percorso dell’artista.
E’ già sul finire degli anni Trenta che i suoi quadri iniziano a rappresentare teste stravolte, frammenti scomposti di natura, brandelli di corpi o presenze-feticcio; la scrittura rapida surrealista si associa ad un impianto dell’immagine di derivazione cubista e ad un uso del colore che ricorda il Picasso maturo. Queste matrici si affiancano consapevolmente, come accennato, ad altri due aspetti tra loro fortemente connessi. In primis l’adesione alla psicanalisi di Karl Gustav Jung. Pollock la sperimentò personalmente dal ’39 al ’43, per cercare di liberarsi dalla depressione e dal conseguente abuso di alcool. Da Jung assimila il concetto della condivisione, da parte dell’umanità, di un inconscio collettivo, che si concretizza in precisi archetipi, forme primarie che hanno uno stesso significato per tutti.

Jackson Pollock – 1953 - Blue Poles (Number 11) - 212.1 x 488.2 cm - National Gallery of Australia, Canberra, Australia

Jackson Pollock – 1953 – Blue Poles (Number 11) – 212.1 x 488.2 cm – National Gallery of Australia, Canberra, Australia

Il secondo elemento essenziale è costituito dall’attenzione, che diventa passione quasi ossessiva, per le espressioni artistiche degli indiani d’America. Pollock è in particolare affascinato dalle pitture di sabbia colorata (sand paintings) dei Navajo, nelle quali ravvisa i segni incontaminati dell’subconscio primigenio. Mutuerà proprio da queste soprattutto elementi coloristici e iconografici (il totem, ad esempio). Ma quanto è sostanziale per l’artista è la valenza che assume un’opera fatta con la sabbia: la labilità. Ecco che diventa chiaro che in essa non può che essere fondamentale ed imprescindibile il gesto, molto più del risultato finale.
Fu certo anche affascinato dalle produzioni dei grandi muralisti messicani; frequentò l’atelier che David Alfaro Siqueiros aveva aperto a New York nel ’36, un ambiente dove era particolarmente viva la sperimentazione su materiali e tecniche non convenzionali.
Come è noto, la maggior parte dei futuri Action Painters maturano le loro poetiche all’incirca tra il 1942 e il 1950, durante discussioni e mostre nelle poche gallerie disposte ad accoglierli: tra queste, come accennato, la galleria-museo Art of thisCentury.
La Guggenheim, che innegabilmente costituì, dal punto di vista artistico, la personalità a cui si deve il collegamento tra Europa ed America, ebbe la lungimirante capacità di intravedere in questa tendenza – come nel Surrealismo – la contemporaneità e il futuro dell’arte.
E’ però Jackson Pollock colui che, appunto, meglio incarna il rapporto essenziale tra arte e vita, così come l’intricata complessità dell’esistenza (affermata nei grovigli e negli intrecci del suo segno), riuscendo a risolverla soltanto nel momento magico dell’azione pittorica. Questo perché l’esigenza che più di ogni altra lo muove non è tanto, o soltanto, quella tipicamente surrealista della liberazione dell’inconscio, ma quella, appunto, del ritrovamento dei grandi archetipi collettivi, che riconducono ad una sorta di caos primordiale, di situazione originaria in cui tutto è ancora indistinto e in cui, proprio per questo, è presente ed esprimibile il sentimento della totalità.
Dal 1947 Pollock dipingerà grandi opere secondo il procedimento del dripping (sgocciolamento), che consiste nel lasciar cadere liberamente sulla tela, per la prima volta appoggiata a terra, il colore gocciolante dai pennelli e da altri strumenti . Se non inventa egli stesso la tecnica, certo è colui che ne sonda sino all’estremo le potenzialità espressive e linguistiche. Capisce che l’artista non deve più assoggettarsi ai confini limitanti della pittura da cavalletto. Può invece immergersi nella superficie del quadri, anzi girarci intorno, quasi come in una danza, vivendo letteralmente “dentro il quadro” (in qualche modo, anticipando il concetto di “performance”), in quel connubio indissolubile che rende arte la vita e vita l’arte. Una danza che affida all’ agilità precaria del gesto, fortuito e inconsapevole, il compito di tracciare tratti avviluppati, ingarbugliati e fluttuanti. Peraltro il colore, colato direttamente sulla tela, si addensa in stratificazioni che paiono dilatare e fermare il tempo nell’istante magico della creazione dell’opera.
Parrebbe, in un primo momento, esserci, nella sua pittura, un’incongruenza. Egli infatti afferma: “Non lavoro mai in base a disegni o a schizzi: la mia pittura è diretta. Quando sto dipingendo ho un’idea generale di ciò che faccio. Posso, così, controllare il flusso pittorico: non c’è posto per il caso, come non c’è un principio né una fine”.
Come possiamo perciò trovare un equilibrio tra alcuni fra gli elementi principe dei dipinti dell’artista, quali appunto il “flusso pittorico”, l’espressione gestuale automatica, e la necessità – asserita – di controllare la casualità dello sgocciolamento, senza minare, nel medesimo tempo il desiderio di valicare i limiti del finito? La risposta è rintracciabile proprio in quei precisi riferimenti culturali, prima accennati, che rendono, da un lato, primaria la necessità del pittore di essere a contatto con l’opera nel modo più diretto, cercando di interporre tra sé e la tela il minor numero di filtri possibile, dall’altro vivo e presente il proposito di non abbandonarsi al gesto automatico ed incontrollato di certi surrealisti. Per Pollock è piuttosto fondamentale la consapevolezza che la casualità sia parte integrante del nostro universo, in grado di contribuire a dar forma a questo stesso universo non meno di altre cause.
Egli infatti afferma: “ Quando sono “dentro” i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di “presa di coscienza” mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l’immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e scadente. Altrimenti c’è una pura armonia, un semplice scambio di dare ed avere e il quadro riesce bene.”
Nelle opere della sua maturità artistica riesce a raggiungere la sintesi metafisica tra gli opposti, tra l’ordine e il caos, tra la ragione e il sentimento. L’azione sulla tela diventa la rappresentazione stessa, un rito teso al recupero del significato primario dell’esistenza.
Il caotico intreccio di segni colorati, che sostituisce la forma, altro non è che la più sincera allegoria della condizione umana.
Proprio nel decennio che precede la sua morte, avvenuta precocemente per un incidente automobilistico nel 1956, epilogo di una vita da poète maudit, distrutta dall’alcool, dall’isolamento, da un’inquietudine mai sopita e sanata, la sua pittura attraversa il mondo con un effetto dirompente. Come resistere, infatti, all’ebbrezza che emanano le sue imponenti tele? Quel sovrapporsi dei colori, quegli intrichi labirintici di tinte o smalti industriali che si accumulano e stratificano, impastati con sabbie o vetri – liberi come libera può essere solo l’opera di chi non teme di mettersi totalmente in gioco, anima e corpo – ci schiudono ad un universo inusitato ed inesplorato, che pur è così vivo e profondamente radicato in noi. I dripping sono astrazioni di pura energia, impresse sulla tela in uno scontro titanico che racconta il talentuoso estro di una tormentata personalità.
Paradossalmente sono gli anni in cui l’ “Informale” europeo pare entrare in una fase di stanchezza, una sorta di manierismo che lo porta all’implosione.
Ecco che, come affermò la nota critica americana Barbara Rose, il successo diJackson Pollock consiste proprio “nell’aver conquistato un ordine trascendente nel caos primitivo”.
Senza volermi spingere oltre, chiudo con una curiosità che può ulteriormente evidenziare l’originalità della ricerca di questo genio artistico. Alcuni studiosi hanno analizzato la natura della sua tecnica, nella convinzione che talune opere propongano le medesime caratteristiche dei “frattali”, soprattutto con il progredire degli anni. L’ipotesi che formulano è che in qualche modo l’artista potesse essere consapevole delle caratteristiche del moto caotico e stesse tentando di ricreare quella che percepiva come una perfetta rappresentazione del caos matematico con un decennio di anticipo più rispetto alla formulazione della “Teoria del caos”. Che sia verità o meno, quanto rimane indiscutibile è l’assoluto fascino magnetico che certi suoi lavori esercitano su chi si sofferma ad osservarli.

Cristina Palmieri

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Andy Warhol Palazzo Reale Milano

Si ricorda che, sempre a Milano a Palzzo Reale, a partire dal 24 ottobre 2013 e fino al 9 marzo 2014 di terrà la mostra Andy Warhol, padre della Pop Art americana, parte del cosiddetto Autunno Americano a Milano che si è aperto il 24 settembre con la mostra Pollock e gli Irascibili.

Infoline e prevendita singoli e gruppi
02 54913
informazioni 24 ore su 24
preacquisti con operatore dal lunedì al venerdì
dalle 10.00 alle 17.00

Orari
Lunedì dalle 14.30 alle 19.30
Martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 9.30 alle 19.30
Giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30
la biglietteria chiude un’ora prima della chiusura della mostra

sito ufficiale della mostra di Warhol a Milano: www.warholmilano.it

Warhol Milano Palazzo Reale

Warhol Milano Palazzo Reale

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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Cristina Palmieri per il testo Espressionismo astratto, Pollock e l’action painting in occasione della mostra a Palazzo Reale di Milano Pollock e gli Irascibili. Vedi al >LINK< tutti gli articoli di Cristina Palmieri.

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