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Jackson Pollock e Michelangelo, a Palazzo Vecchio confronto tra due geni "furiosi" Una grande mostra in primavera dove saranno visibili disegni e dipinti del pittore americano
Jackson Pollock, l’indiscusso maestro dell’action painting, arriva a Firenze per un confronto virtuale con il genio del Rinascimento, Michelangelo Buonarroti. Si tratta della mostra ‘La figura della furia’ che, prendendo spunto dagli studi giovanili del pittore statunitense e dal suo interesse per l’opera michelangiolesca mette in relazione stili, soggetti, storie e mondi diversissimi. L’informe di Pollock sarà così allo specchio con il non-finito di Michelangelo, il Rinascimento della forma classica fiorentina e italiana sarà idealmente messo in dialogo con quello dell’anti-forma dell’artista statunitense, in un’esposizione che si trasforma in un evento-esperimento epocale.
La mostra nasce in occasione del 450/o anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti, avvenuta a Roma il 18 febbraio 1564 e si svolgerà tra Palazzo Vecchio, che ospita nel Salone dei Cinquecento il Genio della Vittoria di Michelangelo e dove saranno esposti disegni e dipinti di Pollock, e l’ex tribunale di San Firenze, dove invece verrà allestita la parte multimediale, con spazi interattivi e didattici sulla vita e l’arte del pittore. La mostra sarà inaugurata a primavera.
“Un progetto ardito – sottolinea il sindaco Matteo Renzi – che sarà una straordinaria occasione di conoscenza, arte, cultura e approfondimento da parte dei cittadini e dei turisti che vorranno visitare la mostra. Investire sulla cultura è da sempre una priorità dell’amministrazione: basti pensare ai progetti di ampliamento di Palazzo Vecchio e della biblioteca delle Oblate, al raddoppio dei visitatori dei musei civici, all’apertura di nuovi spazi museali e a breve all’inaugurazione definitiva del nuovo teatro dell’Opera e quella del museo del Novecento. Questa mostra si dimostra un ulteriore tassello del nostro impegno”.
Jackson Pollock, spiegano i curatori della mostra Sergio Risaliti e Francesca Campana, è riconosciuto come il fondatore dell’action painting, ovvero di una pittura realizzata poggiando la tela direttamente sul pavimento per poi operare con una serie di gesti furiosi, come in trance, lasciando sgocciolare il pigmento molto diluito direttamente sul piano di rappresentazione, senza un disegno progettuale o un riferimento naturale precedente. I suoi dripping risultano in effetti contrari, se non perfettamente opposti, a quanto realizzato dal Buonarroti sulla volta della Sistina, dove l’artista era costretto a lavorare secondo i canoni figurativi e dogmatici dell’epoca, sebbene poi la pittura fosse stesa sulla volta come se questa fosse un piano orizzontale posto a un’altezza irraggiungibile e non su una tela, posta verticalmente sul cavalletto a poca distanza dal riguardante e in asse col proprio corpo.
Ma i due mondi hanno però un trait d’union negli studi giovanili di Pollock, quando il futuro protagonista della pittura americana del XX secolo è ancora indeciso se essere pittore o scultore. Sappiamo dai documenti grafici conservati al Metropolitan Museum di New York che il giovane Pollock studiava e rifletteva sull’opera di Michelangelo. Esistono fogli con disegni eseguiti da Pollock - Sketchbooks I e II- che riproducono gli ‘ignudi’ della Sistina, la Sibilla Cumana e il profeta Giona, alcune figure del Diluvio, perfino l’Adamo nella sua celebre posizione e studi di posizioni e panneggi dal Giudizio. Preziose informazioni si ricavano da un saggio di Katharine Baetjer, pubblicato dal museo americano nel 1997, in occasione di una mostra dedicata a questi preziosi taccuini da disegno. Esporre Pollock a Firenze assume quindi, sottolineano i curatori, un significato veramente epocale. Si tratta di porre a confronto due mondi e due epoche: una appare incentrata sulla trascendenza della figura e sulla sublimazione della materia nel movimento del corpo; l’altra sulla fenomenologia dell’informe e sulla mistica geometria del caos. Pollock come il Buonarroti può essere definito “artista universale” e come il geniale scultore fiorentino sembra aver lavorato ad ogni opera in preda al furore. “Quando sono ‘dentro’ i miei quadri, non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo”, sosteneva
Pollock, mentre Michelangelo dichiarava nelle Rime che “I’ sento in me non so che grand’amore, che quasi arrivere’ ‘insino alle stelle”. (edl)
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