Poltrone al museo

Creato il 01 ottobre 2012 da Filelleni

Oggi compio mezzo secolo. So bene che è notizia troppo personale per un blog collettivo come questo, ma mezzo secolo non è uno scherzo e non può passare sotto silenzio. Va celebrato. Da bambina ho sempre festeggiato andando a scuola perché il primo ottobre era il primo giorno di scuola per noi “di una certa età”: usavo la scuola per riunire tutti i miei compagni e il pomeriggio far festa. Oggi invece per i miei cinquant’anni voglio andare al museo, assieme a chi mi vuole seguire.

A dir la verità, mi sarebbe piaciuto andare al museo di Capodimonte dal 21 al 23 settembre ma sospetto che non mi avrebbero mai presa: cercavano persone digiune il più possibile di mostre e musei per visitare in anteprima le nuove sale dedicate all’Ottocento, e notare in un taccuino le proprie impressioni. Ora si stanno usando le indicazioni raccolte per preparare pannelli e didascalie, che verranno nuovamente testati a fine mese da altrettanti esseri “digiuni”. L’idea non è nuova e si può per esempio leggere una rassegna di esperimenti simili nei post più recenti del blog di Nina Simon Museum 2.0. Fioccano però anche le critiche da chi pensa che, in questo modo, la professionalità dell’allestitore museale venga sminuita se non annullata. Io credo invece che l’idea sia vincente perché saper cogliere le esigenze del pubblico è compito fondamentale del professionista dei musei. Se il pubblico si trova di fronte a un museo “muto”, sicuramente non coglierà tutto quel che il museo vuole comunicare, ma svilupperà anche curiosità che magari l’allestitore non avrebbe mai preso in considerazione. Verificheremo ovviamente i risultati di tale esperimento, però pare un bel modo per far conoscere di più il museo (Capodimonte ne ha tanto bisogno) e coinvolgere la gente in modo non banale.

Mi auguro che qualche visitatore-pilota abbia anche chiesto di avere più sedie e poltrone al museo. Noi che andiamo al museo da sempre e sin da piccoli siamo abituati a soffrire, non immaginiamo neppure che si potrebbero ammirare le stese cose con maggiore comodità e tranquillità. Alcuni curatori di museo credono persino che troppe panchine possano disturbare la visione delle opere. Ma la stanchezza, per non dire lo sfinimento, non disturbano ancor di più? In realtà negli ultimi anni diversi musei hanno voluto creare zone di confort all’interno dei propri percorsi, e merita leggere il post del blog Museum Newspaper che passa in rassegna alcune soluzioni in musei statunitensi, anche se un po’ datate. Vi aggiungo il Museo nazionale del Bahrain, ristrutturato nel 2002 da Shaikha Mai allora Ministro della cultura dell’isola, e personaggio illuminato a differenza dei suoi parenti più potenti. “La mia idea è semplice: tratto il museo come casa mia”, mi disse tempo fa la Sceicca. Che accoglie i visitatori al museo come se fossero suoi ospiti, come li accoglierebbe a casa, col medesimo calore. E infatti il suo museo sembra un salotto di casa arredato con tocco molto femminile: arredi, fiori e profumi in ogni sala, e ovunque angoli per il riposo, il colloquio, la lettura. E libri e giornali a disposizione accanto a ogni poltrona. Non so cosa sia accaduto ora a quel museo incantato, ma fino a poco tempo fa la gente lo frequentava anche solo per il piacere di stare in un luogo bello.

Manco da qualche tempo anche da Palazzo Barberini a Roma, forse perché non conservo un bel ricordo della mia ultima visita un paio di anni fa. Avevo raggiunto il palazzo con molta fatica perché reduce da un brutto incidente con lo scooter che mi causa tuttora seri problemi alla schiena. Allora avevo ricominciato a muovermi da poco dopo mesi d’immobilismo, sapevo che una visita al museo sarebbe stata per me un azzardo, però volevo a tutti i costi vedere la nuova grande Galleria di arte antica rinata dopo anni di precariato, quando aveva dovuto dividere il palazzo con il Circolo ufficiali delle Forze Armate. E infatti la nuova Galleria era proprio bella, veramente rinata con le nuove sale appena restaurate: peccato che costringesse alla precarietà i suoi visitatori. Vi assicuro non c’era una sedia, nulla di nulla. E io avevo maledettamente bisogno di una sedia, una panca, qualsiasi cosa per riposarmi un poco e non collassare. Ero però ancora tranquilla perché sapevo però di poter contare nei divanoni del salone Pietro da Cortona, quelli dove una volta, ai tempi bui del “precariato”, ti distendevi (e ti riposavi) per ammirare al meglio quel fantasmagorico soffitto. L’ho raggiunto stremata ma fiduciosa: li avevano tolti! Il salone era vuoto che più non si può. Sono quasi impazzita per la delusione, oltre che per la stanchezza e i dolori. Era quella l’innovazione della nuovissima Galleria? Togliere gli unici divani comodi che c’erano? Perché è vero che non tutti sono come me incapaci di sollevare il capo al punto da ammirare con agio un soffitto dipinto, ma è altrettanto vero che sollevare il capo in quel modo è faticoso per chiunque. E se io (allora più di adesso, ma anche adesso) percepisco particolarmente la fatica di stare ferma in piedi in museo e di prestare per lungo tempo attenzione a qualcosa, in realtà fa male a tutti i mortali anche se non se ne accorgono. Visitare un museo come abbiamo sempre fatto è un grave attentato alla salute. Possiamo, anzi dobbiamo farlo in modo diverso. Possiamo e dobbiamo inventare modi diversi di concepire il museo. Se è stato inventato in un certo modo, non deve per forza rimanere in eterno tale e quale. Se tutti i musei fossero luoghi belli, accoglienti e comodi, tutti li frequenterebbero più volentieri e sarebbe un bel vantaggio per tutti. Ascoltate una buona volta la voce dell’esperienza. Ascoltate chi ha già mezzo secolo di musei sulle spalle. E le pesa.

Effe



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