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Polveri Afghane

Creato il 11 maggio 2011 da Faprile @_faprile

mercoledì, 11 maggio 2011 Polveri Afghane

Da un reportage di Danilo Calogiuri

Un racconto. O meglio. Un raccontare, sezionare, analizzare e, poi, ancora correre nella direzione del racconto. Del vissuto odierno dell’Afghanistan. In tempo di guerra. Di guerre. Che si susseguono l’una all’altra. Si chiamano, sembrerebbe. Il Salento, il nostro territorio, ci insegna come una storia e la sua forza – o quel che di essa e da essa conviene – possa nascondere tutte le altre storie. Otranto e gli ottocento martiri. «V’è una nostalgia delle cose che non ebbero mai un cominciamento. Affondare la propria origine – non necessariamente connessa alla nascita – in terra d’Otranto è destinarsi un reale-immaginario. [...] Ora, quando si narra una sia pur sintetica autobiografia, che fondandosi sul proprio non-esserci, sull’abbandono, sulla mancanza, non può che lasciarsi stilare dall’immaginario di questo stesso reale si vuol dire che Otranto fu visitata da una storia che, inclusa la strage dei Turchi, fu e continua ad essere il culto (cultura) di tutte le altre storie che quell’evento storico estromise. Otranto. Culla delle storie estromesse. Lutto oltremare.» [Bene, C., Sono apparso alla madonna, Bompiani, Milano 2006, pp. 7-8]. Il 2 maggio il presidente degli Stati Uniti, Obama, dava al mondo la notizia dell’uccisione di Bin Laden. Ma un colpo di spugna a tutta la vicenda Afghana era già stato assestato dalla guerra in Libia. L’obiettivo delle camere si sposta. I telegiornali cambiano l’angolazione delle loro notizie. La vicenda Afghana svanisce definitivamente dalle nostre vite, come se non ci fosse nessuna guerra. Niente truppe in “missione di pace” inviate da governi a capovolgere l’uso indiscriminato delle parole, selvagge schegge impazzite, lamine che tagliano e affondano la percezione inconscia dei dati trasmessi dal massmediatico elettronico che seduce e persuade. Penetra nella visione quotidiana del vivere umano. Alterandola. E con essa l’intero scorrere delle nostre vite. Il 2 maggio la notizia che apre una nuova finestra e cancella completamente, per ora, l’intera vicenda. L’uccisione di Osama Bin Laden, così come la vicenda degli ottocento martiri rese Otranto patria delle storie estromesse – luogo e rifugio di tutte quelle storie dimenticate che riposano, si adagiano, all’ombra «dell’ultimo sole», come cantava De Andrè, rende, oggi, l’Afghanistan un dimenticatoio, affidato all’intervento militare delle truppe in missione di “pace” e cancellato dal quotidiano scorrere delle notizie sugli schermi teleguidati delle nostre esistenze. Perché oggi non è più la guerra in Afghanistan. Perché oggi è l’uccisione di Bin Laden. Non è più il militare italiano in missione da mesi e mesi, estromesso dalla quotidianità dell’informazione, cancellato dal colpo di teatro dell’ultima ora. Cancellato dalle altre guerre che insidiano il naturale prosieguo delle nostre esistenze. E la missione di pace si apre ad una finestra sul dimenticatoio, verso le storie estromesse. Ma ci sono racconti. Che sono immagini, perché a volte le parole non rendono l’idea, lo strazio e la comunione che anche in zone di conflitto lo sguardo teso altrove degli esseri umani può contribuire a creare. Allora gli scatti davanti a me, di Danilo Calogiuri (fotografo del team Whiroo.com, progetto che nasce dall’idea di alcuni fotoreporter salentini che, dopo una lunga esperienza in altre regioni e nazioni, decidono di ritornare a casa e investire il proprio tempo nello sviluppo della cultura fotografica nel Sud Italia; ufficializzando il progetto trasformandolo in una vera e propria agenzia, inglobando nel team giornalisti, addetti stampa e altre figure professionali), mi raccontano un Afghanistan lontano dall’anonimato di oggi, dalle “trasmissioni” oscurate dall’uccisione di Osama, un Afghanistan più vivo e vicino alla realtà di una zona di conflitto, di pericolo, in eterno contrasto fra i resti di un uomo sezionato dilaniato sul terreno, sulla strada, dopo un attentato – dallo stesso uomo portato a termine e con lui come unica vittima, a testimonianza dell’assurdità dei fondamentalismi, di ogni sorta e dimensione – e quattro occhi di bambini incastonati fra i sorrisi dell’innocenza e la tristezza che una situazione così non è adatta al vivere. Quattro occhi e due sorrisi che parlano di riconoscimento e apertura all’altro tessendo trame che sono speranze, affievolite però dall’estromissione comunicazionale della vicenda Afghana in quel contesto di storie dimenticate perché non appetibili dopo il colpo di teatro, l’uccisione scenica. Della vita come notizia da vendere. Quattro occhi e due sorrisi che spingono ed impongono il pensare la pluralità in una dimensione ermeneutica del linguaggio umano letto come luogo d’incontro.

Francesco Aprile
2011/05/09

pubblicato su Il Paese Nuovo in data 2011-05-11

per scaricare la versione pdf di Paese Nuovo:
polveri afghane, da un reportage di Danilo Calogiuri


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