Quel che colpisce nella disputa su Pomigliano e sul futuro di quella fabbrica Fiat è l’assenza, nella quasi totalità di commenti e dichiarazioni, di un interesse per i contenuti. Sul palcoscenico c’è da una parte una Fiom, ricettacolo di avventuristi irresponsabili. Dall’altra una truppa di innovatori: la Fiat, la Cisl, la Uil, il Governo, la Confindustria, Il Corriere, 24 ore, il Tg1 e il Tg2 e chi più ne ha più ne metta. Qualche volta si assegna una parte anche alla Cgil chiamata solo a mettere ordine tra le fila dei disobbedienti.
Non si fa cenno alle motivazioni di chi dissente. C’è voluto uno studioso come Luciano Gallino a spiegare su “Repubblica” quali enormi mutamenti comporta l’accordo in discussione alla condizione degli interessati. Non è una novità. La storia delle ristrutturazioni in Italia, è ricolma di accordi d’ogni tipo. Accordi che parlano di esuberi, mobilità, flessibilità, turni, sacrifici. Contrattati, concordati. Per salvare le fabbriche, lo sviluppo, per far andare a pieno ritmo gli impianti e anche le persone. Non c’è stata solo la Fiat del 1980. Storie che testimoniano quale sia la cultura di Cgil, Cisl e Uil.
Nemmeno nel caso di Pomigliano nè la Fiom e tantomeno la Cgil hanno abbassato la saracinesca di fronte alla conclamata necessità di far lavorare pienamente gli impianti adottando diciotto turni settimanali, di combattere fenomeni di assenteismo (più appartenenti al passato visto che ai giorni nostri alla Fiat di Pomigliano la cassa integrazione obbliga ad un forzato assenteismo). La novità sta nel fatto che i dirigenti Fiat hanno negato ogni negoziazione. Prendere o lasciare. Qualcuno ci deve lasciare le penne. O i lavoratori campani o i polacchi (di cui nessuno parla). E la globalizzazione bellezza, sembrano dire.
Ma il punto vero del dissenso, ribadito ieri dalla Cgil, non riguarda i sacrifici richiesti, l’intensificazione dello sfruttamento. L’obiettivo principale rimane, infatti, quello di mantenere un’ isola di sviluppo in quella già desertificata terra meridionale. Lo scambio è tutto lì. Quello che però non si può sottoscrivere è una dichiarazione comune di abolizione del diritto di sciopero e di altri dispositivi di legge.
Ed ora che succederà dopo i rilievi della Cgil e il no netto della Fiom? La speranza è che se ne tenga conto. Il rischio, se passasse in qualche modo un’intesa non corretta, un accordo separato, sarebbe quello di creare nell'azienda non certo il clima necessario alla svolta produttiva, all'impegno solidale di tutto il corpo del lavoro salariato. Certo i lavoratori finirebbero con l’accettare l'intesa, sapendo che senza il posto di lavoro ci sarebbe l’assenza e non il peggioramento di ogni diritto. Sarebbe, però, come gettare nella ripresa del lavoro, il seme della discordia, del malumore. Altro che collaborazione tra capitale e lavoro. Un rischio, altrettanto pesante, è che la Fiat decida a favore dei lavoratori polacchi. Sarebbe, ad ogni modo, una sconfitta per tutti.
Magazine Lavoro
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